Le geografie della notte non hanno segreti per il geografo Luc Gwiazdzinski che, da anni, ne ha fatto materia di studio e ricerca. Perché capire la luce (e l’oscurità) è fondamentale per prendere decisioni informate e sostenibili per le nostre città

Luc Gwiazdzinski è geografo e docente all'Ensa di Tolosa. I suoi lavori si concentrano principalmente sulla notte e sui tempi urbani. Ha pubblicato numerosi articoli e opere sul tema, tra cui La ville 24h/24, La nuit dernière frontière de la ville, La nuit en questions, Nuits d'Europe. Di quest'anno è il libro Night studies con Will Straw e Marco Maggioli, Editions Elia.

Nel 2002 lei ha parlato di ‘diurnificazione’: giorno e notte, nelle metropoli, diventano sempre più simili…

In effetti si può osservare un’accelerazione della colonizzazione della notte da parte delle attività e della luce. La notte come stop delle attività rappresenta solo tre ore della vita delle metropoli tra l’1:30 e le 4:30. In una società frenetica che sembra aver paura dei tempi vuoti, la notte così come la domenica sono sempre più animate e sottomesse ai ritmi senza sosta dell’economia, della finanza e dei media.

Quali sono le città dove il tempo della notte sta assumendo una crescente importanza?

Diciamo che più le città sono internazionali, più le attività tendono alla continuità dell'offerta e delle frequentazioni. In termini di 24/7 si pensa naturalmente a città come New York, Istanbul, Tel Aviv ma anche a territori consacrati alle feste come Ibiza. Ma tutte le città sono ormai interessate – in misura diversa – da questo fenomeno legato al cambiamento degli stili di vita, alla competizione territoriale nel quadro della globalizzazione e dell’utilizzo di nuove tecnologie. Nel dettaglio, non è l’intera città che funziona a ciclo ininterrotto, ma una parte, circoscritta a determinati quartieri.

Il modello di una società non stop h24 pone nuovi interrogativi nella politica dello sviluppo territoriale. Come far convivere le diverse esigenze?

Il pensiero territoriale e l'azione devono assolutamente integrare la nozione di tempo a scale diverse, quella di ritmo e quindi interessarsi alle 24 ore di vita di un luogo urbano, anche ai conflitti che ne risultano tra gli individui, le attività e i gruppi che non vi interagiscono più negli stessi orari. Si pongono delle scelte in termini di specializzazione dei quartieri o di diluizione delle attività. A partire dal momento in cui abbiamo lasciato che il lavoro e i servizi notturni si sviluppassero, si è posta doverosa anche una questione di governance dello spazio abitato e della cittadinanza. Le persone costrette a lavorare di notte devono avere accesso ai servizi. Si sta parlando di immaginare una dimensione di continuità temporale e ‘cittadinanza notturna’, un diritto alla città e alla notte che abbiamo sviluppato nel Manifesto della Notte. È una delle difficoltà di gestione della città di notte. Dobbiamo far coabitare la città che dorme e la città che si diverte. Al di là delle risposte in termini di insonorizzazione degli edifici, assistiamo allo sviluppo di Chartes de la nuit (Carte della Notte) a livello di quartieri e città che coinvolgono i residenti, le autorità pubbliche e gli utenti con impegni reciproci. L’istituzione di ‘sindaci notturni’ o ‘consulte notturne’ va in questa direzione su altre scale. Permette di ipotizzare soluzioni in termini di mediazione (pierrots della notte a Parigi, sussurratori all'uscita degli edifici), di slittamento degli orari perché tutte le strutture non chiudano contemporaneamente o di luoghi di ‘decantazione’ con l'apertura di parchi dove si possono incontrare i nottambuli.

In questo quadro di consumo, come si ottimizza l’utilizzo dei dispositivi luminosi?

La moltiplicazione dei dispositivi di illuminazione ha un costo ambientale, economico e anche culturale. Tra le soluzioni c’è senza dubbio il rilevamento degli utenti e la visualizzazione del loro passaggio in un luogo. Ma più in generale, dobbiamo pensare all'utilizzo puntuale di sistemi illuminotecnici durante la notte. È una questione di saturazione dell'attenzione nello spazio pubblico e di privacy. È anche un problema di inquinamento luminoso. Il proliferare di dispositivi di illuminazione non permette più di vedere il cielo stellato, la luce delle stelle... uno spettacolo gratuito che dovrebbe essere accessibile a tutti. Possiamo anche immaginare di non illuminare più e di equipaggiarci gli uni e gli altri di dispositivi individuali, come le lampade tascabili della nostra infanzia.

Lei ha collaborato con Jean Nouvel al progetto della Greater Paris che amplia le linee metropolitane esistenti per alleggerire il traffico del centro e velocizzare i collegamenti alle zone distanti. Come sta evolvendo?

La nostra partecipazione al team di Jean Nouvel ha consistito nell’evidenziare l'importanza dell'approccio temporale della città, dell'immersione e della marcia verso la scoperta della Grande Parigi; e, altresì, nel sottolineare la necessità di far partecipare a questa riflessione anche coloro che lavorano a Parigi o la visitano, senza mantenere un focus solo sui residenti. Per il resto le escavatrici sotterranee sono all’opera e, cosa interessante, gli artisti sono coinvolti nell'esplorazione della rete e delle stazioni.

Invece, qual è la sfida per un futuro luminoso della notte nella grande Milano, secondo lei?

A Milano, come ovunque, la questione della luce va integrata in una più ampia e condivisa riflessione sulla città di notte. Con il mio amico e collega artista Gianni Ravelli e gli studenti del Politecnico di Milano abbiamo attraversato la città di notte e siamo giunti ad elaborare qualche linea-guida. L’esperienza dovrebbe essere rinnovabile e permettere di mettere a punto nuove strategie. Da parte mia, ricordo un divario tra la forte immagine internazionale della città della moda e il côté ‘vintage’ e relativamente omogeneo della sua illuminazione. Ma questo è anche l’espressione di una identità. In tutti i casi Milano, dove la problematica della città che vive h24 esiste, dovrebbe avviare un ampio dibattito pubblico sulle sue notti in termini di accessibilità e ospitalità. Come disegnare insieme le notti milanesi? È un bel cantiere!

Sopra, l'installazione Torre Velasca in Blu, ideata da Ingo Maurer e Axel Schmid con lo studio CastagnaRavelli e realizzata con Urban Up – Unipol Projects Cities, in occasione dell'evento Interni Human Spaces 2019.

In apertura e nel testo, il progetto di illuminazione urbana de iGuzzini per Copenaghen, nel quadro del CPH 2025 Climate Plan (leggi qui).