La grande fotografa, attivista per i diritti, se ne è andata. La ricordiamo con questa bellissima intervista che ha rilasciato a Francesca Esposito in occasione del progetto site specific Meraviglioso Reale a L’Aquila

Per ricordare Letizia Battaglia, che ci ha lasciati qualche ora fa, riproponiamo questa intervista, originariamente pubblicata il 2 febbraio 2022.

"Non me ne accorgevo di essere libera, di volere cose diverse. Ho sempre vissuto per quello che sentivo, non per gli altri. Io stessa non sapevo che stavo lottando, mi sembrava normale".

"Ho provato a cercare la bellezza interiore. Ho cercato di imporre alla mia macchina fotografica soprattutto la parte che spera, quella che vuole lottare".

Un nome, un destino quello di Letizia Battaglia: che “fotografa la bellezza interiore”, è convinta che “bisogna essere di parte” e “prendere sempre una posizione”.

La incontriamo in occasione del progetto site specific Meraviglioso Reale a L’Aquila: gigantografie di suoi scatti campeggiano sui ponteggi della futura Casa delle Donne dell’associazione Donne TerreMutate. L’iniziativa è a cura di Camilla Carè di Off Site Art che, dal 2014 accompagna i lavori di riedificazione del centro storico dopo il sisma.

Ma chi è Letizia Battaglia?

Classe 1935, fotogiornalista palermitana pluripremiata, nel 1985 Letizia Battaglia è la prima donna europea a ricevere il premio Eugene Smith per i suoi scatti di impegno sociale. Nel 2017 viene inserita dal New York Times tra le 11 donne più influenti al mondo.

Ha esposto le sue fotografie in musei e istituzioni, dalla Francia al Canada, passando per il Brasile. Sulla sua vita è stato realizzato il documentario Shooting the Mafia (2019), diretto dalla regista britannica Kim Longinotto. Dal 1991 dirige la rivista di sole donne «Mezzocielo» e dal 2017 il Centro Internazionale di Fotografia di Palermo, per cui organizza workshop e incontri. Roberto Andò ha da poco finito di girare una serie tv dedicata alla sua vita.

In Meraviglioso Reale possiamo dire che il mezzo è il messaggio: cosa pensa delle donne di oggi?

Potrebbero fare molto di più, per loro stesse e per l’umanità. Questo mondo ha bisogno che le donne amministrino, che governino. Non 4 su 100, ma 50 e 50: insieme devono gestire il mondo a secondo delle loro qualità. Devono imparare a imporsi nei partiti, nei luoghi di lavoro. Ovunque le donne in qualche modo accettano. Non ne posso più della retorica, le donne devono gestire la loro vita. La nostra, quella di tutti.

Perché?

Il problema è che le donne non votano per le donne. Lavorano meno degli uomini, sono costrette spesso a lasciare l’impiego quando hanno dei figli, hanno salari più bassi dei colleghi maschi. Serve un cambiamento nel nostro atteggiamento, dobbiamo esigere rispetto per il lavoro che facciamo. Serve solidarietà umana per vincere questa battaglia.

Lei è femminista?

Sono più che femminista. Non è vero che le femministe siano dispettose con le altre donne, sono donne che fanno comunità. Non possiamo più accontentarci perché poi va avanti il pensiero maschile che naturalmente è diverso quello femminile. Se lavorassimo insieme le cose avrebbero più armonia. Noi siamo più generose, più coraggiose, più amanti dell’ambiente e della natura.

Lo storico Alessandro Barbero si è chiesto se le donne manchino di quella aggressività, spavalderia e sicurezza di sé che aiutano ad affermarsi.

Governare è un dovere, il dovere di esserci e di occuparsi del pianeta che va in malora, dell’inquinamento, dei popoli oppressi. Le donne non sarebbero lì solo parlare, ma farebbero meglio.

Come si fa contro il patriarcato?

Nel loro privato le donne devono essere decise, ma anche nei partiti. Con fiducia e certezza, il ricatto con gli uomini bisogna farlo. E dobbiamo uscirne, altrimenti c’è la disperazione.

Impegno civile, giustizia e libertà. Tanti i suoi valori, più di tutto la bellezza. Cosa è per lei?

Sono anni che fotografo la bellezza. È innocenza, freschezza del comportamento. Con la macchina fotografica cerco lo sguardo puro, nel senso più ampio del termine.

Dove trovare la purezza?

La purezza sono le bambine, le donne. Ho fotografato recentemente alcune donne che hanno il cancro, arrivavano da tutta Italia. Ho provato a cercare la bellezza interiore. Ho cercato di imporre alla mia macchina fotografica soprattutto la parte che spera, quella che vuole lottare.

Lei come si sente?

Meravigliosa. So che sono così. Il punto qui è amare se stessi. Ho quasi 87 anni, ammalata con tanti problemi. Sono euforica per il fatto di aver condotto una vita come la mia. Sono felice di aver lottato.

Lo scrittore Emanuele Trevi dice che tenderemo ad assomigliare al nostro nome.

Non mi piace il mio cognome, è troppo esplicito.

Lei si definisce una fotografa militante. Cosa significa?

Denunciare al mondo quello che il mondo non vuole vedere, vuol dire non avere scrupoli nel raccontare e denunciare. Bisogna essere di parte. Prendere una posizione. Non sono una che fa le foto per venderle ai giornali, per metterle nei libri o per fare le mostre. Ho sempre scelto da che parte stare. Ho sempre sentito questa urgenza.

Di fotografare?

Non sono una brava fotografa, ho riconosciuto errori e pensato che avrei potuto fare meglio. Più che una fotografa sono una persona che fotografa, ho avuto una vita incredibile. Ho fatto volontariato psichiatrico, teatro, ho avuto l’amore.

L’amore per Santi Caleca, un punto di riferimento ancora oggi. Poi quello per Franco Zecchin. Come andò?

Ero andata a vedere uno spettacolo di Grotowski, partita da Palermo con il treno per Venezia. Uno dei componenti della compagnia, mentre ero nel pubblico, è venuto da me e mi ha chiesto di partecipare a uno stage promosso dalla Biennale di Venezia.

Dopo qualche mese sono partita, mi hanno chiamata e lì ho conosciuto Franco Zecchin.

C’erano francesi, giapponesi. Era proibito fotografare, invece io trasgredii e feci qualche scatto. Fecero la spia e mi chiesero i rullini. Franco, di corsa, uscì fuori da questa villa e mi comprò dei rullini con cui scambiarli. Era stato coraggioso e solidale. Pochi giorni dopo siamo usciti in barca a Venezia, lui fece scolare un po’ di acqua del mare sulla mia mano. Era un tipo così, timido non stucchevole. E questo fu il suo gesto d’attenzione. Quella notte, anziché dormire insieme agli altri con il sacco a pelo, ci spostammo da soli in una stanza che ospitava un allestimento scenico pieno di foglie secche sul pavimento. Quella notte cominciammo a conoscerci.

Cosa è l’amore?

Non posso raccontare l’amore di chi ho fotografato. Però posso dire che non è innamoramento, che è non vero e pericoloso. L’amore è rispetto ed empatia. È piacersi molto, anche fisicamente. Fotografare, ad esempio, è un atto d’amore.