Di fotografare?
Non sono una brava fotografa, ho riconosciuto errori e pensato che avrei potuto fare meglio. Più che una fotografa sono una persona che fotografa, ho avuto una vita incredibile. Ho fatto volontariato psichiatrico, teatro, ho avuto l’amore.
L’amore per Santi Caleca, un punto di riferimento ancora oggi. Poi quello per Franco Zecchin. Come andò?
Ero andata a vedere uno spettacolo di Grotowski, partita da Palermo con il treno per Venezia. Uno dei componenti della compagnia, mentre ero nel pubblico, è venuto da me e mi ha chiesto di partecipare a uno stage promosso dalla Biennale di Venezia.
Dopo qualche mese sono partita, mi hanno chiamata e lì ho conosciuto Franco Zecchin.
C’erano francesi, giapponesi. Era proibito fotografare, invece io trasgredii e feci qualche scatto. Fecero la spia e mi chiesero i rullini. Franco, di corsa, uscì fuori da questa villa e mi comprò dei rullini con cui scambiarli. Era stato coraggioso e solidale. Pochi giorni dopo siamo usciti in barca a Venezia, lui fece scolare un po’ di acqua del mare sulla mia mano. Era un tipo così, timido non stucchevole. E questo fu il suo gesto d’attenzione. Quella notte, anziché dormire insieme agli altri con il sacco a pelo, ci spostammo da soli in una stanza che ospitava un allestimento scenico pieno di foglie secche sul pavimento. Quella notte cominciammo a conoscerci.