Domitilla Dardi, Marco Sammicheli e Federica Sala sulle grandi tematiche per il design nel 2024. Tre sguardi diversi e un focus unico su un concetto bellissimo e necessario: ritrovare la lentezza

Ha senso chiedersi cosa può fare il design di fronte alle grandi sfide che il mondo dovrà affrontare nel 2024?

L'emergenza climatica, le guerre, le disparità sociali, il manicheismo del pensiero globale, le grandi questioni etiche legate all'intelligenza artificiale generativa sono tematiche così complesse e pervasive che è difficile pensare di proporre progetti per affrontarle che non siano più di meri manifesti di (buone) intenzioni. E di questi forse non abbiamo più realmente bisogno.

C'è allora qualcosa che i designer possono fare per dare il loro contributo concreto alla costruzione di un mondo migliore?

Lo abbiamo chiesto a tre curatori di design - Domitilla Dardi, Marco Sammicheli e Federica Sala - e le risposte che ci hanno dato, seppur diverse, indicano una direzione precisa che possiamo sintetizzare con una parola: Lentezza.

Lentezza come condizione fondamentale per affinare il pensiero (anche, in modo solo apparentemente paradossale, quando si usa l'AI), ricercare un senso in quello che si progetta, evolversi dismettendo certezze precostituite per apprendere altri modi di vedere il mondo.

Quello che trovate qui sotto non sono quindi ricette per salvare il mondo, né tutorial how to come quelli che vanno per la maggiore sui social ma riflessioni: le considerazioni di tre grandi osservatori della storia e della contemporaneità del design che indicano direzioni su cui posare il nostro sguardo in questo 2024 che si sta aprendo.

 

Le sfide del design secondo Domitilla Dardi, storica del design, fondatrice e curatrice EDIT Napoli

"La sfida più urgente come esseri umani è senz’altro quella climatica, ma non credo che il design possa incidere realmente in questo se non è preceduto da chiare scelte politiche globali.
Il rischio nel pensare che il design da solo possa essere incisivo è - come avvenuto anche di recente in occasione della pandemia - di mettere in scena una sfilata di buone intenzioni, che magari ricevono il plauso e qualche premio, ma che non risolvono nei fatti problemi sistemici che vanno appunto affrontati in maniera complessa.
Vengo quindi alla sfida che il design secondo me deve urgentemente affrontare di per sé: ritrovare se stesso attraverso la preparazione, lo studio e la ricerca del senso. 
Di recente abbiamo abbattuto barriere, fruito di contaminazioni con altre discipline, beneficiato di trasversalità.
Ma ora credo sia importante tornare al design e fare chiarezza, studiare e prepararsi. Ci sono tanti modi di fare design, ma ognuno richiede la sua conoscenza puntuale e specifica.
Sento urgente l’esigenza di fermarsi prima di fare e pensare al perché, al senso del fare. Perché fare un libro, una mostra, una collezione, una fiera, un prodotto? Non rispondere velocemente alla richiesta di un committente, ma cercare il senso di quell’azione.
Per questo ritorno al sempre geniale schema di Munari sul processo della Creatività. Proprio allo step “Creatività” Munari dava pochissime spiegazioni, diceva che era una sintesi del lavoro precedente, quello pre-progettuale. E soprattutto che tutto parte dalla corretta “enunciazione del problema”.
Ecco, mi sembra che sia urgente ripartire dall’enunciazione dei problemi, anche quando non siamo chiamati a risolverli, ma a porli come fa il design critico e speculativo. Chiarezza nel senso, più preparazione. Le intuizioni hanno senso se sono precedute dalla preparazione, altrimenti sono espressioni dilettantesche, non professionali. Ripartirei da queste sfide".

Le sfide per il design nel 2024 secondo Marco Sammicheli, Direttore del Triennale Design Museum, Milano

"Per molti anni si è pensato che il design fosse una disciplina balsamica capace di risolvere molti problemi e facilitare l’attuazione di altrettanti processi.

La complessità della realtà contemporanea ci ha messo di fronte al fallimento di questo assunto e alla consapevolezza di cosa il design sia incapace di fare, o anche di favorire, rispetto a grandi eventi determinati dalla crisi della politica e dalla catastrofe ambientale.

Se c’è rimasta una speranza nelle mani del cittadino, dell’utente, del lettore e qui del designer è appunto la sfida della conoscenza davanti all’accelerazione della performance degli strumenti di apprendimento e sviluppo del pensiero creativo.

La questione dell’Intelligenza Artificiale come strumento per la gestione del repertorio e per la raffinazione del pensiero è uno strumento che si deve aggiungere e non sostituire all’esistente.

AI è una matematica che può fare leva sulla pigrizia dello standard se è non maneggiata con la cautela della fatica, con la misura del tempo.

La chimera della velocità e della sintesi precostituite sono una minaccia al libero arbitrio se non si hanno gli strumenti per fronteggiare i canoni e i calcoli che determinano un risultato tanto accattivante quanto fragile.

Esso deriva da una grammatica preimpostata. Le Università - con corsi che combinino le competenze di diverse facoltà - sono i luoghi dove approfondire questa sfida affinchè quella che gli studiosi chiamano visione artificiale (computer vision) non sia né trascurata né celebrata né etichettata come una scorciatoia cognitiva.

L’azione più urgente, come ha scritto Alessandro Aresu, è tradurre i testi di studiosi come Fei-Fei Li, Tomaso Poggio e Pietro Perona per comprendere il fattore umano della rivoluzione dell’AI.

Le sfide del design nel 2024 secondo Federica Sala, curator & design advisor

"Penso che la sfida più grande che ci aspetta nei prossimi anni sia quella di disimparare.

Con questo non voglio dire che debba trionfare l’ignoranza, al contrario, dico che mi sono resa conto che dobbiamo dismettere alcune nostre certezze per tornare ad apprendere altri modi di vedere le cose.

È una sfida difficile, perché siamo già abituati all’idea della formazione perpetua in molti campi e, proprio per questo, è complicato abbracciare con umiltà l’idea di dover disimparare alcune cose date per assodate.

L’idea stessa del progresso, che dal dopoguerra in poi ha mosso molte aziende, ha insita l’idea dell’andare avanti, del superare gli ostacoli.

Superare non vuol dire rimuovere, vuol dire andare oltre e lasciare indietro. Ora credo invece che sia importante pensare a un progresso sociale, che preveda dei passi laterali o che, ancor meglio, sia una danza a più voci, in cui imparare a muoversi allo stesso ritmo senza pestarsi i piedi.

Il mondo del progetto può dare un nuovo significato al concetto di globalizzazione, lontano da quello negativo di oggi ma che insista sul globo stesso, con una visione eco-sistemica e multi-naturistica che non sia imperniata sulla logica del profitto e che sappia superare il dualismo che contrappone gli esseri umani alla natura (ed agli elementi animati ed inanimati che la popolano) nella cultura occidentale.

E il design in quanto strumento di dialogo e di sintesi, ha una bella sfida davanti a sé e gli strumenti per affrontarla: i libri, i dibattiti, gli articoli, le mostre, gli oggetti, i viaggi…"

 

Foto di copertina: National Taichung Theatre, Taiwan, 2016. Architettura di Toyo Ito & Associates. Ph Iwan Baan alla mostra Architettura Abitata al Vitra Design Museum fino al 3 marzo 2024