Come è mutata nei secoli l’idea di ‘classico’ e la sua rappresentazione nell’allestimento museale? Giuseppe Zampieri di David Chipperfield Architects Milano sul progetto di allestimento della grande mostra dei Marmi della Collezione Torlonia a Villa Caffarelli, Roma

“Ogni epoca, per trovare identità e forza, ha inventato un’idea diversa di classico.

Così il classico riguarda sempre non solo il passato ma anche il presente e una visione del futuro. Per dar forma al mondo di domani è necessario ripensare le nostre molteplici radici”. Il professor Salvatore Settis lo scrive nel suo celebre libro Futuro del ‘classico’ (Einaudi, Torino 2004).

L’architetto Giuseppe Zampieri ripercorre con noi questi codici di lettura riconducendoli alla genesi dell’allestimento museale per I Marmi Torlonia. Collezionare Capolavori, la grandiosa mostra ospitata dall’ottobre 2020 al febbraio 2022 a Villa Caffarelli, Roma, sede dei Musei Capitolini, curata proprio con il progetto scientifico di studio e valorizzazione della collezione eseguito da Salvatore Settis con Carlo Gasparri.

Che cos’è il classico per un architetto oggi?

Il classico, per estensione, con il richiamo ai più importanti autori delle architetture anche moderne, ma non solo, è ciò che è di valore esemplare, che è tale da poter servire come modello, ma è anche ciò che forma e che è legato alla tradizione, punto di riferimento importante.

Ci sono dei modelli ispirati dalla storia dell’architettura che restano paradigmi di riflessione per uno studio come David Chipperfield Architects?

I modelli non sono stabiliti a priori, ma variano a seconda della tipologia, della scala e della realtà in cui il progetto si deve inserire, diventando precise fonti di ispirazione e di interpretazione.

Il contesto, la situazione complessiva in cui si verifica un progetto; il luogo, l’ambito spaziale dove materialmente si trovano il progetto e l’architettura; gli elementi strutturali, funzionali ed estetici con cui il progetto si confronta suggeriscono sempre soluzioni e situazioni emblematiche per ognuno.

Capisco. A Roma avete lavorato in dialogo con opere di una bellezza senza tempo, un’eredità che andrà oltre noi e la nostra epoca nel futuro. Che cosa ha significato esporre e soprattutto far sentire un Marmo della Collezione Torlonia, anche in relazione alla crescente virtualizzazione del mondo che ci circonda, una grande seduzione soprattutto per le giovani generazioni?

Da decenni gli oltre 600 marmi giacevano celati al mondo, conservati in un luogo che conferiva ai pochi che potevano visitarlo la sensazione di compiere una scoperta archeologica, lasciandoli sorpresi e incantati da tanta quantità e qualità.

La loro esposizione, attraverso l’allestimento, ha espresso il tentativo di far rivivere al pubblico emozioni simili e analoghe con i soli 100 marmi messi in mostra in un altro luogo.

L’allestimento potrebbe restituire un modello da riproporre con altre modalità in altre sedi?

Il progetto di allestimento, presso Villa Caffarelli a Roma, ha rappresentato una soluzione unica, difficilmente riproducibile in altre situazioni perché concepito in dialogo con il luogo e la storia del luogo stesso, ispirandosi alla città e al sito del Monte Capitolino, di cui anela a diventare una ulteriore stratificazione.

La prima idea, non realizzata, è stata quella di esporre i marmi sulle fondazioni in blocchi di cappellaccio dell’Aedes Iovis Optimi Maximi Capitolini, ancora visibili sotto al pavimento di Villa Ioannes Petrus Cafarellius; mentre la seconda idea, poi realizzata, è stata quella di esporre i marmi su pavimentazioni in mattoni di argilla, sia in riferimento alle architetture romane in laterizio, sia in riferimento alle fondazioni in pietra dell’edificio capitolino.

Quali altri input ha seguito la narrazione?

Il Catalogo a stampa della Collezione Torlonia, redatto dal Principe Alessandro Torlonia nel 1875, nel quale le sculture vengono rappresentate su uno sfondo nero, ha suggerito di seguire una esposizione nella quale astrarre le opere per esaltarne carattere e dettagli.

Scegliendo una rappresentazione organizzata non per tipologia ma per acquisizione, allo sfondo neutro, il denominatore, sono stati accostati anche sfondi colorati, i numeratori, cinque capitoli che narrano l’evoluzione della collezione dei marmi nel tempo.

Come si bilancia questa declinazione in una ricerca di dispositio e di inventio dentro uno spazio chiamato ad amplificare il valore dei contenuti esposti sul piano temporale dell’esperienza?

La ricerca di idee attraverso il richiamo a temi codificati – l’inventio – si ritrova nello studio dello storico catalogo della collezione che ha ispirato l’esposizione delle opere su uno sfondo neutro.

L’idea di organizzare il racconto – la dispositio – si ritrova nella narrazione attraverso la disposizione delle opere su sfondi colorati.

L’espressione stilistica delle idee – l’elocutio – si ritrova nella ricerca di un lessico appropriato attraverso i plinti, veri e propri basamenti. Lo sfondo neutro, gli sfondi colorati, i plinti e l’illuminazione hanno l’intento, sfruttando la loro combinazione, di amplificare la percezione, calibrandone l’intensità, utilizzando materialità e fisicità insieme ad astrattezza e immaterialità.

Così il sistema espositivo riesce a isolare una singola opera dal rumore di fondo, anche di prossimità, restituendo all’unicum un valore semantico puro foriero di altre costruzioni e dialoghi?

Il sistema espositivo è costituito da plinti, strutture architettoniche con funzione di basamento, più che di piedistalli, strutture scultoree con funzione di sostegno, nel tentativo di svincolarsi da strutture decorative a favore di strutture fondative, ricercando e dando un senso di staticità e tettonicità.

I plinti sono immaginati sia come singole estrusioni emergenti dalla pavimentazione sia come parti di una struttura che si articola nelle diverse aree, cercando di limitare le perturbazioni ambientali nelle singole opere esposte e al contempo di non perdere il significato complessivo di tutte le opere.

Riflettendo a posteriori, cosa vi auspicate che questo allestimento abbia lasciato nel visitatore?

Ci si augura che, con questo allestimento, si siano potute leggere le opere attraverso un sostegno e un sussidio e si sia potuta evitare una posizione di supremazia dell’allestimento rispetto alle opere stesse, permettendo al pubblico di leggerle sia ad una ad una, singolarmente e individualmente, sia distinte le une dalle altre, unitamente e congiuntamente, ma riunite in modo da formare una storia nella coralità della collezione.

Il successo di pubblico della mostra potrebbe far presagire la creazione di un museo permanente dell’intera collezione Torlonia, come era stato annunciato durante la presentazione dal ministro Franceschini?

Nella sua interezza la collezione è un patrimonio così significativo da non poter restare celato.

È una collezione che va riscoperta da un pubblico ancora più ampio, al di là delle scelte discrezionali per mostre temporanee; è di tale valore da imporre la necessità di essere riacquisita in una mostra permanente.

La collezione Torlonia è forse una eredità così straordinaria proprio perché è rimasta nascosta così a lungo da sembrare una nuova scoperta.

Foto di Alberto Parise / Collezione Torlonia copyright Fondazione Torlonia