È strano parlare con Ippolito Pestellini Laparelli, architetto tanto interessato alla ricerca quanto al progetto.
Poco più che quarantenne, partner di OMA fra il 2006 e il 2020, ha fondato 2050+, agenzia multidisciplinare che privilegia la pratica spaziale in ambiti ultracontemporanei fra digitale e reale.
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Eppure Ippolito Pestellini Laparelli ha un portfolio di tutto rispetto in materia di architettura. All’attivo molti interventi su edifici storici come La Rinascente di Piazza Fiume a Roma, edificio firmato nel 1961 Franco Albini e Franca Heig. O il Multertor di San Gallo, icona urbana delle fiorenti attività tessili del territorio elvetico costruita a fine Ottocento. O ancora lo spazio The Pillars per il nuovo Museo Nazionale Norvegese di Oslo. E la recente scenografia per il Diluvio Universale al Teatro Donizetti di Bergamo
“Ma 2050+ è innanzi tutto un’agenzia interdisciplinare che lavora all’intersezione fra design, tecnologia e pratiche e politiche ambientali. La sua agenda è animata da domande ampie e il suo obiettivo fondante è la ricerca e lo spazio è la lente attraverso la quale analizzare le trasformazione del contemporaneo”, precisa Pestellini.
Occorre quindi una nuova definizione per la professione dell’architetto?
Ippolito Pestellini Laparelli: “Credo che la complessità delle crisi, a partire da quella climatica, richieda nuove definizioni e domande più ampie. E che sia un’occasione perché l’architettura sieda a tavoli multidisciplinari, insieme a imprenditori, politici, ingegneri, scienziati, per partecipare a discussioni da cui finora è stata sostanzialmente esclusa.
Molti nostri progetti partono dallo spazio, ma l’output non è forzatamente il progetto. È più facilmente un libro, un cortometraggio, una mostra.
Semmai la disciplina architettonica è un mezzo per osservare i fenomeni e raccontare lo sviluppo o l’impatto delle tecnologie nello spazio digitale e reale.
Ci occupiamo molto di curatela, curiamo mostre, eventi, biennali, ed è un modello interessante di ricerca perché costringe a negoziare con voci disciplinari diverse.
Il tema è cambiare per svincolare il progetto da contenuti dogmatici e allontanarsi da un approccio soprattutto formale ed estetico. Credo che sia più interessante focalizzare l’attenzione sull’idea di performance.
Ad esempio: nel campo della scenografia come può essere utilizzato il progetto a fine vita, come confrontarsi con la scarsità e il risparmio di materiale. Sono applicazioni molto specifiche della disciplina architettonica”.
Il dialogo fra mondo reale e digitale sembra essere un focus progettuale per 2050+...
Ippolito Pestellini Laparelli: “Nel suo libro A Geology of Media, Jussi Parikka ci ricorda che per comprendere la cultura dei media contemporanei dobbiamo cercare quelle realtà materiali che precedono i media stessi: la storia della Terra, le formazioni geologiche, i minerali e l'energia, da cui dipendono i media stessi.
Per diverso tempo mi sono occupato di una ricerca intitolata Data Matter insieme agli studenti del Royal College of Art di Londra. Uno studio dedicato all'investigazione dell'intreccio tra realtà digitali e mondo fisico, a partire dall'anatomia spaziale di tutte le infrastrutture fisiche, i flussi energetici e le supply chain dei materiali che sottendono la nostra quotidianità digitale. E che fra le pratiche di 2050+ ha acceso l’interesse per altri ambiti di ricerca, sfociati in progetti come Riders not heroes nel 2020 o Dancing in transit nel 2022.
Riders not heroes e Dancing in transit sono legati all’idea di attivismo?
Ippolito Pestellini Laparelli: "Il Filosofo Spagnolo Paul B. Preciado scrive delle nuove soggettività digitali emerse durante la pandemia: da un lato i consumatori digitali equipaggiati di carte di credito, nascosti a casa dietro i codici dello loro interfacce; dall'altro le comunità invisibili di "essential workers" a servizio dei primi. Entrambe governate da un'architettura algoritmica.
Qualsiasi progetto ha una missione politica, in un modo o nell'altro. Riders Not Heroes è un progetto ai margini dell'attivismo militante, ma mi interessa di più portare alla luce la frizione sociale invisibile.
È difficile fare mente locale sulle problematiche che si nascondono nell’uso del digitale. Riders not heroes ha raccontato la città pandemica attraverso i food delivery drivers, nello strano nodo fra una piattaforma digitale e la sua ricaduta sul reale.
Questo progetto ha generato due short film che raccontano la condizione dei rider nell'incontro tra piattaforme tecnologiche, politiche immigratorie, e spazio urbano in quel preciso momento storico. Ci ha consentito di mettere a confronto due poli della società, uno privilegiato e l’altro no, connessi solo dallo schermo del cellulare.
Molta della nostra ricerca indaga le frizioni, spesso invisibili o immaginabili, che si nascondono dietro un semplice "tap" sui nostri telefoni..
Analizzare Il caso dei rider è servito a mettere a sistema i temi pungenti della società contemporanea, perché molti dei network creati dal digitale non sono visibili”.
Il tema di Dancing in transit invece è decisamente il cortocircuito tra spazio digitale e spazio fisico. È questo che significa ampliare la definizione di architettura?
Ippolito Pestellini Laparelli: “Il "feedback loop" tra ambienti digitali e fisici produce dei territori inesplorati in cui in entrambe le direzioni si perdono o guadagnano delle cose. E' uno spazio nebuloso che offre potenziali inesplorati.
Dancing in transit è un progetto realizzato durante la Milano Design Week 2022 focalizzato sul mondo del gaming. Un esercizio fondamentale per mettere in crisi l’idea impalpabile ma presente che i giochi assorbono molte istanze del mondo fisico stesso, decontetualizzando e appiattendone l'originale carica politica e specificità culturale.
Abbiamo fatto una raccolta di oltre duecento emote di Fortnite. Sono le danze che si possono acquistare sulla piattaforma e che sono copiate da contesti culturali specifici: mosse di danza provenienti dalla cultura afro-americana, o da contesti vernacolari del Sud America, o ancora dalla cultura rave degli anni '90.
Ne abbiamo fatto un film e lo abbiamo installato allo Spazio Lancetti, all’interno del circuito della metropolitana milanese, per ribaltare il processo ri-contestualizzando queste danze in uno spazio specifico e invitando le persone di passaggio e tre comunità di urban dancers ad interagire con gli Avatar di Fortnite.
Un tentativo di ribaltare il processo di appropriazione da parte della piattaforma digitale, riposizionando la danza in un luogo fisico”.
2050+ si sta occupando del nuovo master Design Digital Cultures alla Scuola Politecnica di Design. Di cosa si tratta?
Ippolito Pestellini Laparelli: “È un percorso che si snoda fra tre tecnologie cruciali e l’approccio critico al loro utilizzo: il rapporto di collaborazione creativa con l’AI, le tecniche di cinema immersivo e il world building applicato al gaming.
È un master che nasce dall’idea di considerare lo spazio digitale come un campo di sperimentazione ambientale, politica e sociale in cui operare con le competenze interdisciplinari della pratica spaziale.
Come scriveva la scrittrice di fantascienza Ursula K. Leguin "Dio Solo sa quanto sia difficile inventare un universo".
Sono positivo rispetto al potenziale immaginativo di queste tecnologie, ma bisogna aver ben presente quali sono le problematiche implicate nel loro utilizzo”.
Accade che la ricerca si concretizzi in un’architettura nella pratica di 2050+?
Ippolito Pestellini Laparelli: “L’architettura è un reality check fondamentale, ma sono convinto che tutte le ricerche che facciamo siano in osmosi totale con i nostri progetti fisici.
In questo momento stiamo lavorando alla trasformazione di 10 Corso Como Milano. Uno spazio iconico e storico che vedrà potenziato sui tre capisaldi di moda, arte e design.
Un altro progetto è la Trasformazione della Palazzina dei Principi, l’edificio settecentesco di fronte al Museo Reggia di Capodimonte che ospiterà la collezione di Arte Povera, la più grande del mondo, che Lia Rumma ha donato qualche anno fa allo stato.
Per entrambi questi progetti c’è un riferimento a un’idea contemporanea di museo e di spazio culturale fluido, multidisciplinare, aperto al pubblico, rapido nel cadenzare eventi e mostre.
Il nostro ruolo è di lavorare con la dinamicità di questi luoghi trasformandole in piccole macchine teatrali capaci di accomodare un repertorio molto ampio di scelte curatoriali e di continui scambi con altre realtà”.