Ilaria Capua è una scienziata, ma con una visione decisamente progettuale – più da FabLab che da studio tradizionale – sulla salute: multidisciplinare invece che settoriale, e sviluppata da gruppi di lavoro internazionali e connessi

Cosa c’entra Ilaria Capua con il design? La domanda è pertinente ma la risposta è meno complicata di quanto si potrebbe immaginare. Perché la virologa, full professor e direttrice del Centro d’Eccellenza One Health presso l’Università della Florida, è simbolo di due valori e approcci che sono molto cari a chi si occupa di progetto nell’era digitale: la condivisione e la multidisciplinarità.

Ilaria Capua è infatti la scienziata che, nel 2006, con un gesto di ribellione passato alla storia come l’incipit del movimento della Scienza OpenSource, ha pubblicato la sequenza genetica del primo virus H5N1 africano sulla piattaforma aperta GenBank invece che sul database protetto da password come le era stato ordinato. Capua promuove anche da sempre la visione secondo cui non esiste una salute umana senza quella animale e ambientale: un concetto che ha spiegato nel suo libro Salute Circolare (Egea, 2019), come Circular Health, che riprende nel suo Il dopo (Mondadori, 2020). Condivisione significa anche, per Ilaria Capua, allargare la platea di persone che hanno accesso alla conoscenza, iniziando dai bambini. Il suo ultimo libro (Ti conosco mascherina, ed. La Coccinella, da oggi nelle librerie) spiega infatti, attraverso il gioco, come affrontare i virus in modo sicuro, perché i più piccoli possano vivere in serenità la propria infanzia.

L’impressione, quindi, è che Ilaria Capua sia una scienziata, certamente, ma con una visione decisamente progettuale – più da FabLab che da studio tradizionale – sulla salute: multidisciplinare invece che settoriale, e sviluppata da gruppi di lavoro internazionali e connessi.

La salute circolare. Cos’è?

È un concetto che parte dall’idea che dobbiamo pensare alla vita sulla terra come a un acquario, quindi un sistema chiuso in cui tutto è collegato. Se continuiamo a distruggere la biodiversità e gli ecosistemi del nostro acquario in nome degli interessi umani alla fine saremo noi stessi a soffrirne. Salute Circolare vuol dire che la salute dell’uomo, quella degli animali, delle piante e dell’ambiente sono interconnesse e che ogni nostro gesto ha un impatto sul sistema chiuso che è la Terra. È necessario quindi attivarsi per avere una visione lungimirante e trasversale su questo tema e smettere di barattare la salute del futuro in cambio di un vantaggio immediato ma che a lungo termine ci annienterà.

Leggendo il suo ultimo libro, Il dopo, si ha l’impressione che la pandemia ce la siamo un pochino andati a cercare. È così?

Le pandemie fanno parte della vita dell’uomo da sempre, non sono eventi eccezionali, meteoriti che ci cadono sulla testa. Nel Novecento ce ne sono state quattro. Ma l’accelerazione che abbiamo imposto alla nostra esistenza ha fatto sì che questa pandemia si diffondesse a una velocità inaudita, come mai nessuna in precedenza. Ora sta a noi fare tesoro di quello che è successo e ristabilire gli equilibri che abbiamo perduto stabilendo un nuovo punto di partenza. Che potrebbe essere la nostra casa.

Perché la casa?

Perché è il luogo da cui tutto si organizza, in cui si affrontano le difficoltà insieme. Durante il lockdown l’abitazione è diventata, oltre che un rifugio, anche un luogo di aggregazione: da vivere in pieno, accudire, rispettare. Questo non vuol dire che le case saranno riprogettate per il Covid, visto che spero che entro un paio d’anni ne saremo usciti. Ma che sicuramente avremo bisogno di adattare le nostre case, re-inventare il modo in cui le usiamo a seconda del momento.

Dal suo punto di vista di scienziata, quali cambiamenti è giusto aspettarsi nel mondo dell’abitare post Covid?

È inutile pensare che il mondo del lavoro tornerà a essere quello di prima. Perché non è solo una questione di Covid. Si è capito che le persone possono lavorare anche da casa, risparmiando tempo, inquinando di meno. Chi potrà portare avanti la sua professione in remoto continuerà a farlo. E questo significa che la casa dovrà poter accogliere questa esigenza. In questo senso, la casa diventa lo strumento per affrontare un esercizio collettivo di riflessione su come affrontare la situazione della salute ambientale in senso lato (non solo quella di prevenzione della diffusione del virus).

Pensa a un vademecum su come progettare la casa per poter portare avanti uno stile di vita più sostenibile?

Penso che l’emergenza – insieme ai cataclismi naturali sempre più frequenti e sotto gli occhi di tutti – ci abbia fatto capire il senso della parola vulnerabilità. E che ora quando si dice virus la gente non pensa più a quelli informatici. Siamo tornati sulla terra, non più invincibili e legati alle macchine ma animali. Abbiamo tutti molta più attenzione all’igiene domestica e dobbiamo anche averla nei confronti dell’ambiente con le scelte che compiamo per le nostre case. Del resto è anche una questione di business: se la mia generazione già tollera a fatica lo spreco e l’inquinamento, quella dei nostri figli ha tolleranza zero. La pandemia, questa pallina uncinata che è il Coronavirus, ha messo a durissima prova dei sistemi fragili e noi li dobbiamo mettere a posto. Anche nel mondo dell’arredo. Non mi stupirei se arrivassimo entro breve a un sistema di classificazione come quello che esiste ora per gli elettrodomestici, quello della AAA. O se venisse forzata una nuova cultura del verde domestico, fondamentale nei momenti di solitudine e per ristabilire un contatto con la natura.

Design e salute. Pensa che i progettisti dovrebbero collaborare di più con il personale sanitario?

Sulla multidisciplinarità con me sfonda una porta aperta. Io credo che ognuno debba fare il suo pezzettino, in questo cammino verso la Salute Circolare e il cambio nel sistema. Ci sono tante imprese che già lo fanno, penso alle B Corp (leggi qui). Ma dall’altra parte sono anche convinta che le competenze vadano messe in rete. Penso a reti trasversali internazionali che si dedicano a situazioni che hanno problemi analoghi. Ho partecipato a uno dei meeting del C40 e spiegato come, per esempio davanti al virus, alcune città abbiano mostrato fragilità maggiore rispetto alle altre. È un problema che va analizzato da un lato verticalmente, negli ospedali, ma anche secondo un’ottica trasversale perché la malattia è anche e soprattutto quello che accade fuori dai centri medici. Lo scopo deve essere agire con sistemi di prevenzione per un’eventuale nuova prima ondata. Bisogna evitare, cioè avere in operazione, sistemi che permettano di affrontare le fragilità delle singole metropoli nel modo che serve loro. Scomponiamo quindi i problemi – per esempio io mi sto occupando al momento della questione di sesso e genere applicata alla gravità dell’infezione Covid – e intessiamo connessioni tra professionisti, accademici e persone di competenza interessate a proporre un modello interdisciplinare per avere un’altra prospettiva che si intersechi a quella medica. Il progetto di quel gruppo prende una forma che non è un blocco di marmo ma una scultura lavorata. In questa ottica, c’è certamente molto spazio per chi progetta.

Nelle immagini, Villa Ortizet, l'onirico, rilassante e rigenerante progetto in 3D ideato da Charlotte Taylor in collaborazione con Anthony Authié di zyvastudio; scultura di Jacqueline S. Nero.