Ha lavorato sul palco di Springsteen, Prince e Frank Zappa, da 30 anni illumina gli show di Vasco. Giovanni Pinna è un lighting designer doc e a Interni ha raccontato come si arriva a fare un lavoro come il suo

Italianissimo ma cresciuto a New York dove i genitori si erano trasferiti per il lavoro del papà, Giovanni Pinna è uno di quei professionisti il cui lavoro è visto da milioni di persone ma il cui nome è conosciuto solo da chi sta dietro le quinte.

Che poi, nel suo caso, sono gente come Bruce Springsteen, Prince, Frank Zappa, Vasco.

Giovanni Pinna è un lighting designer: sui set dei grandi della musica costruisce storie usando la luce. Come i lighting designer negli interior, solo che Pinna pensa a racconti da condividere in decine di migliaia di persone che stanno tutte insieme, vicine, a bocca aperta, proprio davanti a quell’effimera opera luminosa.

Che oltre a incantare, per sua natura ha la caratteristica di non durare, di agganciarci, farci stupire per un attimo e poi andarsene.

Giovanni Pinna, come sei diventato lighting designer?

Come per tanti, la casualità e il suggerimento di amici hanno dato il via al mio primo contatto con il mondo degli spettacoli dal vivo.

Ho iniziato a collaborare nei primi anni 80 con chi gestiva gli stage hands di Milano, cioè tutta la manodopera specializzata necessaria all’organizzazione dei concerti live.

Quali sono le doti imprescindibili che deve coltivare chi vuole diventare un lighting designer?

Nel mio caso, essere praticamente madre lingua inglese era un valore aggiunto. È stato grazie alla conoscenza di questa lingua che sono finito direttamente sul palco e ho lavorato per gli show di Springsteen, Prince e Frank Zappa.

Mi sono subito appassionato a quel mondo e ho capito che un altro grande pregio era la capacità di essere autonomi, così ho iniziato a interessarmi, scoprire e studiare tutto ciò che riguardava il reparto luci, che mi attirava molto di più rispetto ad audio o video.

Dal 1984 per un paio di anni ho fatto il facchino in occasione di tantissimi concerti italiani, da Vasco Rossi a Venditti finché hanno cominciato a cercarmi e mi sono legato a un service, il Milano Music Service, passaggio fondamentale per chi vuole entrare come professionista nel mondo dei live show.

Da facchino ho cominciato, così, a essere chiamato come tecnico e nel 1988 ho fatto le prime tournée come responsabile luci. Che, attenzione, ancora non significa essere un lighting designer, ma saper programmare uno spettacolo.

Tra il '95 e il '97 mi sentivo pronto per intraprendere la strada in autonomia e mi sono staccato dal service: ho capito l’importanza di saper diversificare, altra dote fondamentale. Così, ho lavorato nel mondo della moda, della televisione e delle convention aziendali, aumentando via via le mie capacità tecniche.

L’unico, vero insegnante in questo settore, infatti, è l’esperienza diretta. Non ho mai lasciato, però, il mio primo amore, cioè quello dei concerti, tanto è che da oltre 30 anni seguo i tour di Vasco Rossi come lighting designer.

La conoscenza dell’inglese, l’autonomia, la diversificazione e l’esperienza: ma quando i ragazzi ti chiedono che cosa studiare per diventare lighting designer, come rispondi?

Devo ammettere che ogni volta la mia prima risposta a questa domanda è deludente. In Italia, infatti, siamo ancora molto indietro da questo punto di vista. Oggi, per fortuna, ci sono diversi corsi, anche interessanti, ma quasi sempre manca la parte di esperienza diretta che, invece, è davvero insostituibile.

Il gesto del fare è il fondamento di questo lavoro: puoi anche imparare a memoria tutta la teoria, ma poi è necessario prendere in mano le luci, imparare a puntarle e a cablarle. A Londra, per esempio, la London School of Art è perfettamente attrezzata da questo punto di vista.

Considerando, invece, la lacuna nostrana mi sono attivato negli anni per sviluppare il settore del lighting design in Italia e ho cominciato a insegnare: tuttora collaboro regolarmente con il Politecnico del Design, l'Accademia della Scala di MilanoLa Sapienza di Roma e lo IED.

Come funziona il rapporto col cliente, come riesci a spiegare, ogni volta, il progetto che hai in mente, a tradurre la tua idea in parole?

In effetti, una volta acquisite tecnica ed esperienza, questa è la parte più difficile del mio lavoro. Forse la conseguenza alla poco cultura che c’è in questo settore in Italia, è molto più semplice farsi capire con gli stranieri.

Qui, spesso ti imbatti in persone che considerano lo spettacolo di luci una conseguenza di quello musicale, come se nascesse direttamente dai suoni, senza immaginare il progetto creativo che c’è dietro. Per fortuna, con gli anni, questo equivoco è sempre meno frequente e il mio spazio interpretativo è ampissimo.

Nel caso di eventi privati, il cliente dà il brief e poi, può capitare che chieda dei render per il direttore creativo. È fondamentale, infatti, che tutto il processo proceda nella massima sinergia.

Il lighting designer sul campo è responsabile del visual, deve avere, perciò, una visione a 360° dell’allestimento: occorre imparare a confrontarsi continuamente, tra responsabili delle luci, del set design, del palco e dell’audio.

C’è poi il fattore tempo che è un’altra chiave importante del lavoro: non si può prescindere, infatti, dalla conoscenza né dal rispetto dei tempi di produzione.

Vademecum: come si diventa lighting designer

Riassumendo: sei un giovane attratto dal mondo dello spettacolo e vorresti capire come fare a diventare lighting designer? Il consiglio di Giovanni Pinna, uno dei pochi (si contano sulla dita di una mano) che lavorano in Italia al livello più alto del business è di sviluppare e concentrarsi su:

  • conoscenza perfetta della lingua inglese
  • intraprendenza e autonomia, anche nello studio tecnico
  • diversificazione dei settori
  • fare esperienza all’estero
  • lavorare sull’autorevolezza (spesso bisogna esporre la propria idea creativa durante riunioni di più persone e riuscire a mantenere il proprio punto di vista)
  • imparare a lavorare in una squadra: soprattutto in tournée - spiega Giovanni - la serenità del gruppo è fondamentale per ottenere il risultato migliore, se la squadra non è unita, il risultato vacilla
  • non contare sull’improvvisazione: quello dello spettacolo non è un mondo in cui si improvvisa.

Cover photo: Ralph Lauren Denim & Supply Amsterdam Event 2011