Come usare gli strumenti del design negli ambiti fragili della società per realizzare spazi sicuri in cui vige un pensiero di accoglienza: ne parliamo con l'architetta e ricercatrice Francesca Gotti

Progettare con gentilezza è la pratica quotidiana di Francesca Gotti, architetta esperta in pratiche di autoproduzione spaziale e gestione condivisa.

Il suo intervento il 15 marzo al public program ideato per presentare l’evento Fuori Salone 2024 We will design di Base Milano è il workshop Urban device for Abitare via Padova. Una proposta molto concreta per dimostrare come gli strumenti del design trovano terreno fertile negli ambiti fragili della società, attraverso la creazione di spazi sicuri in cui vige un pensiero gentile di accoglienza e relazione fra individui.

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Cosa succede durante un workshop come Urban device for Abitare via Padova?

Francesca Gotti: “Il workshop da Base Milano nasce dall’esperienza di una winter school all’ex carcere Sant’Agata di Bergamo: dieci giorni intensivi di convivenza e autocostruzione per tradurre e declinare i temi della convivialità e della cogestione. La curatrice Erica Petrillo mi ha invitato al Public Program di Base Milano per We will design 2024, che quest’anno si intitola The convivial laboratory.

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Capofila di questo esperimento pragmatico è l’associazione Abitare via Padova. L’obiettivo è di lavorare insieme alle associazioni e ai collettivi già attivi sul territorio per definire un oggetto, un dispositivo condiviso capace di supportare pratiche e gesti di relazione e mutuo aiuto all’interno di uno spazio collettivo, partendo da esempi storici e contemporanei”.

Co progettare significa rinunciare all’autorialità a favore di un’idea di spazio più gentile?

Francesca Gotti: “È importante chiedersi cosa significa concretamente fare spazio a tutti, costruire luoghi in cui l’attivismo ha una ricaduta concreta sulla vita di molti. In questi contesti l’ascolto e la pratica del mutuo aiuto portano a creare spazi e oggetti realmente collettivi, che effettivamente escludono l’autorialità. Non è una posizione punitiva, ma una condizione piuttosto spontanea di rinuncia alla produzione individuale”.

Quali sono i riferimenti progettuali nella costruzione di spazi urbani collettivi?

Francesca Gotti: “Il lavoro di Ugo La Pietra sui dispositivi di riappropriazione di spazi urbani è molto interessante. Parte da oggetti e strumenti comuni che caratterizzano la città per rilanciare la possibilità di una progettazione urbana non formale, in costante ascolto della fragilità.

Da citare anche il lavoro di ricerca della filosofa Silvia Federici e il suo libro Calibano e la strega (Feltrinelli, 2004). Come anche Céline Condorelli e il suo Support Structures (Sternberg Press, 2009).

Altro punto fondamentale è il lavoro dei numerosi collettivi, quasi esclusivamente under 35, che lavorano quotidianamente nei territori marginali. A Milano i riferimenti per l’autocostruzione sono tanti: Hyperden, Zattere, Forme tentative, Curaa, Camposaz. È una dimensione ricca di esperienze sul campo che crea punti di incontro fra welfare istituzionale e progettazione architettonica”.

Parliamo di attivismo. Ha sempre a che fare con la dimensione politica?

Francesca Gotti: “Esiste un’idea preconcetta che non tiene conto dell’evoluzione storica dell’attivismo politico. In realtà il motore è sempre personale, oltre che politico. Siamo molto lontani dalle modalità e dalle esperienze dei centri sociali degli anni Ottanta e Novanta.

È un movimento trasversale che supera il concetto di istinto di sopravvivenza individuale per abbracciare invece l’idea evolutiva di mutualità, di collaborazione. Aiutare e chiedere aiuto sono competenze relazionali che riguardano non solo gli esseri umani, ma tutta la natura”.

La fragilità umana quindi è un patrimonio prezioso. Chi sono i soggetti fragili oggi?

Francesca Gotti: “È una categoria che riguarda ambiti sociali molto più ampi di quanto si pensi. Sono fragili le persone in difficoltà economica, psicologica, familiare. Ma sono fragili anche gli studenti, i neolaureati, il grande numero di persone che vive sulla soglia della povertà.

Il tema della fragilità nel contesto urbano è molto esteso e genera una marginalizzazione non solo economica ma relazionale. Quindi i collettivi organizzano e creano spazi per fare rete, aree protette e sicure in un momento in cui ce n'è estremamente bisogno”.

Il tema del welfare istituzionale è fondamentale. Esiste una politica della gentilezza?

Francesca Gotti: “Ci sono due tipi di politica in questo contesto. Una, fondamentale, che lavora sul territorio. Più è piccola la scala urbana, più è facile che si crei una dimensione di gentilezza e di ascolto.

Gli interventi sui beni collettivi si basano sempre sulla relazione con l’assessore e con il tecnico comunale perché un'associazione che vuole aprire uno spazio sociale deve sottoscrivere un patto di collaborazione basato anche sulla fiducia e i rapporti umani.

Poi esiste la politica nella sua dimensione più ideologica che, in Italia, è storicamente e culturalmente distante dall’idea di gentilezza. Non è solo responsabilità dei diversi governi, ma anche di una generica sfiducia nei confronti delle istituzioni”.

Al netto dell’ideologia, qual è il motore della gentilezza in ambito collettivo?

Francesca Gotti: “È una domanda che mi faccio spesso. Nella mia ricerca di dottorato ho incontrato architetti che si dedicano con grande dispendio di tempo e energie personali a un lavoro francamente difficile, con ottimismo. Il collettivo Stalker di Francesco Careri a Roma, Recetas Urbanas a Madrid, Ateliermob a Lisbona.

Professionisti che avrebbero potuto avere una carriera professionale più facile e comoda e che invece hanno scelto la strada dell’impegno civile.

La mia esperienza personale è che esiste il bisogno di stare insieme, un bisogno di condivisione trasversale a qualsiasi contesto politico o confessionale in opposizione alla narrativa storica che vuole vederci come individui che cercano di sopravvivere anche a discapito degli altri.L’istinto di sopravvivenza è centrato nella condivisione, nel mutualismo e nell’aiuto reciproco”