Il radicalismo contemporaneo? Essere pragmatici
Ma la cosa che distingue i due progettisti da tanti altri ‘critical designer’ è che questo loro radicalismo contemporaneo si esprime tanto nel pensiero quanto nel metodo di lavoro. Lo racconta la loro ultima grande mostra “Cambio”: un’esposizione focalizzata sul loro modo di approcciare un tema come quello dell’industria del legno, assumendo una visione olistica e cercando di capire, con il contributo di scienziati, filosofi ed ecologisti, quali siano i meccanismi e le forze che danno forma a questo comparto produttivo. L’obiettivo è capirne approfonditamente le regole, perché solo così è possibile sovvertirle intervenendo nel processo.
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Ad Andrea Trimarchi e Simone Farresin abbiamo chiesto cosa significhi essere radicali oggi, quale sia il legame tra la loro visione radicale del progetto e quella dei maestri che per primi, negli anni ’70, ne fecero uno strumento di critica sociale e culturale. “Abbiamo scelto di studiare architettura a Firenze e non al Politecnico di Milano proprio perché il nostro riferimento era, in qualche modo, il Radical design nato in quella città per opera di Archizoom Associati e Superstudio. Anche se poi ci siamo accorti che quel tipo di radicalità non esisteva più. In realtà, per quanto presenti un importante aspetto speculativo, la nostra ricerca non ha nulla a che fare con la spinta utopica dei progetti radical. La nostra attitudine è molto più pragmatica. Bisogna però riconoscere che se la disciplina del design oggi include una serie di interventi più critici che progettuali è merito di designer e architetti che, negli anni ’70, hanno dimostrato come il progetto possa sviluppare un discorso teorico attraverso l’utilizzo dei propri strumenti e quelli di altre discipline. In questo senso siamo sicuramente debitori di quel passaggio, segnato dal movimento Radical, che ha aperto nuove opportunità”.
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