Il pensiero radicale trova oggi un’emblematica espressione nel lavoro dei Formafantasma. Non solo nella visione ma anche nel metodo. Con dichiarate incoerenze che permettono ai due designer di spaziare dalla ricerca critica ai progetti per l’industria

I Formafantasma sono soliti associare il termine “radicale” al loro lavoro. E “radicali” è l’aggettivo con cui più spesso vengono definiti. Se gli si chiede cosa intendono con questa parola rispondono: “Significa assumere la responsabilità delle conseguenze implicite della propria disciplina. Che nel caso del design hanno a che fare con la cultura, i cambiamenti sociali, lo sviluppo economico, la produzione, l’ecologia. A noi interessano soprattutto gli ultimi due punti. La domanda che ci poniamo, infatti, è: che senso ha produrre in un’epoca in cui l’impegno ambientale viene prima di tutto?”.

La visione critica prima del prodotto

Ogni lavoro dei Formafantasma mostra una visione critica del progetto che mette sempre in secondo piano il prodotto. Per Andrea Trimarchi e Simone Farresin il compito del design è soprattutto proporre riflessioni e individuare soluzioni alternative a quelle sinora percorse dal mondo della produzione di massa.

Per questo i loro prodotti hanno una forma ‘fantasma’, fatta più di ragionamento che di materia, perché la loro funzione primaria è quella di comunicare un messaggio.

Il radicalismo contemporaneo? Essere pragmatici

Ma la cosa che distingue i due progettisti da tanti altri ‘critical designer’ è che questo loro radicalismo contemporaneo si esprime tanto nel pensiero quanto nel metodo di lavoro. Lo racconta la loro ultima grande mostra “Cambio”: un’esposizione focalizzata sul loro modo di approcciare un tema come quello dell’industria del legno, assumendo una visione olistica e cercando di capire, con il contributo di scienziati, filosofi ed ecologisti, quali siano i meccanismi e le forze che danno forma a questo comparto produttivo. L’obiettivo è capirne approfonditamente le regole, perché solo così è possibile sovvertirle intervenendo nel processo.

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Ad Andrea Trimarchi e Simone Farresin abbiamo chiesto cosa significhi essere radicali oggi, quale sia il legame tra la loro visione radicale del progetto e quella dei maestri che per primi, negli anni ’70, ne fecero uno strumento di critica sociale e culturale. “Abbiamo scelto di studiare architettura a Firenze e non al Politecnico di Milano proprio perché il nostro riferimento era, in qualche modo, il Radical design nato in quella città per opera di Archizoom Associati e Superstudio. Anche se poi ci siamo accorti che quel tipo di radicalità non esisteva più. In realtà, per quanto presenti un importante aspetto speculativo, la nostra ricerca non ha nulla a che fare con la spinta utopica dei progetti radical. La nostra attitudine è molto più pragmatica. Bisogna però riconoscere che se la disciplina del design oggi include una serie di interventi più critici che progettuali è merito di designer e architetti che, negli anni ’70, hanno dimostrato come il progetto possa sviluppare un discorso teorico attraverso l’utilizzo dei propri strumenti e quelli di altre discipline. In questo senso siamo sicuramente debitori di quel passaggio, segnato dal movimento Radical, che ha aperto nuove opportunità”.

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Cover photo: Formafantasma © Johanna Seelemann