Dopo anni di investimenti in ricerca progettuale i Formafantasma sono oggi consulenti strategici per i brand: è una possibile evoluzione del mestiere del designer nel XXI secolo?

Il lavoro del duo italiano Formafantasma porta una prospettiva unica nel mondo del design strategico e del design thinking.

Mentre queste due discipline sono sempre più insegnate nelle scuole di business e inquadrate come strumenti di marketing o gestionali per i futuri manager, Formafantasma offre un approccio profondamente umanistico.

Radicato su una ricerca “espansiva e contestuale”, che abbraccia tra le altre cose geografie, materiali e sostenibilità, il lavoro dello studio ha catturato l'attenzione di marchi desiderosi di abbracciare un percorso più ponderato e innovativo verso un futuro sostenibile.

E rappresenta un’interessante possibile evoluzione del mestiere del progettista che da creatore di prodotti o di soluzioni diventa un agente del cambiamento, in grado di supportare le imprese a operare a livello sistemico.

Ne abbiamo parlato con Andrea Trimarchi e Simone Farresin, co-fondatori di Formafantasma.

Qual è stato il momento in cui avete capito che il vostro modo di fare ricerca era di interesse per i brand?

Formafantasma: “È stata un’evoluzione piuttosto organica. Di sicuro, la presentazione con Cambio e la formalizzazione di quel pensiero in quella mostra siano stati momenti molto importanti.

Noi però abbiamo iniziato la nostra carriera con lavori quasi indipendenti di ricerca anche un po' naïve rispetto a quella che facciamo ora. E solo dopo, col tempo, il nostro approccio si è evoluto, sempre inseguendo il nostro interesse personale. Non abbiamo mai pensato di offrire la ricerca come un servizio ai marchi ma quando si sono rivolti a noi (dal mondo della moda in primis, ndr) l’esperienza ci ha fatto riflettere sul ruolo che possiamo avere come designer.

Abbiamo iniziato a comprendere l'impatto che potevamo avere e a quale livello, e questo ha probabilmente generato anche conversazioni diverse con i nostri clienti”.

Cosa vuol dire per dei designer fare consulenze strategiche per i brand?

Formafantasma: “Nel nostro caso il lavoro varia da partner a partner. Si va dall’analisi critica di alcune strategie alla definizione di migliorie nella catena produttiva, fino allo sviluppo di concept alternativi di distribuzione.

Il focus è comunque sempre sulla sostenibilità. Per alcuni partner poi – come Prada o Perrier Jouet – lavoriamo sulla creazione di contenuti, nella forma di convegni o installazioni, per permettere loro di prendere parte attiva in dibattiti su tematiche di attualità”.

Qualche esempio di consulenze strategiche?

Formafantasma: “Per To My Ships, che opera nell’ambito della cosmetica e con cui abbiamo intrapreso un percorso sul lungo termine definito insieme, lavoriamo con il team interno e i loro fornitori, incrociando queste informazioni con ricerche indipendenti e fonti pubblicate per studiare insieme micro o macro cambiamenti nel processo decisionale.

Un esempio è stato il suggerimento di ridurre il quantitativo di alluminio nel packaging, un cambiamento piccolo ma significativo, che però ha un impatto nella produzione di massa".

Nel campo del design dell’arredo invece?

Formafantasma: “Lavoriamo con Artek, che si è rivolta a noi dopo aver visto le nostre presentazioni sui progetti di ricerca e rappresenta quasi un “chilometro zero” del mobile, grazie alla filiera chiusa che va dall’estrazione degli alberi alla produzione.

Qui abbiamo intervistato rappresentanti interni, dal marketing alla produzione, e incontrato fornitori e risorse esterne, incrociando tutto questo con una ricerca sul sistema forestale finlandese.

Il risultato è stato un report e un video in cui proponevamo circa quaranta strategie per un miglioramento della loro catena produttiva, rendendola più inclusiva rispetto a caratteristiche del legno che prima erano considerate poco desiderabili, ma che ora, essendo strutturalmente solide, permettono di massimizzare l’utilizzo dell’albero, riducendo la necessità di abbatterne di nuovi.

Abbiamo anche suggerito di estendere la garanzia dei prodotti, rendendola pari alla durata di crescita di un albero, cioè tra i 50 e i 60 anni, così da promuovere un ciclo sostenibile e garantire la conservazione del carbonio intrappolato nel legno per tutto il tempo che occorre a un nuovo albero per crescere.

Abbiamo anche un cliente che si occupa di semi-lavorati su cui non possiamo rivelare dettagli. Per loro stiamo lavorando per progettare un’infrastruttura di produzione e distribuzione più sostenibile, con l’obiettivo di ridurre le emissioni di CO2”.

Come definireste il vostro modo di fare ricerca?

Formafantasma: “Innanzitutto non è accademica: pur essendo approfondita non ha il rigore richiesto da chi ha come scopo la pubblicazione di articoli scientifici che seguono una struttura specifica, con riferimenti e una struttura predefiniti.

Direi piuttosto che è investigativa, mirata a comprendere in modo critico informazioni che risultano opache per la mancanza di una distribuzione efficace o per mancanza di conoscenza personale da parte di chi agisce in un particolare contesto.

In questo senso, il nostro approccio è prima di tutto mirato all’autoconsapevolezza. Facciamo ricerca non per educare gli altri, ma noi stessi. Poi, naturalmente, questo corpus di conoscenza può essere messo a disposizione di altri”.

Qual è il perimetro in cui vi muovete?

Formafantasma: “Dipende. Se la ricerca è indipendente, il perimetro lo definiamo spesso anche in corso d’opera. Individuiamo un’area di interesse che vogliamo investigare e durante un momento iniziale, ampio e orizzontale, emergono domande o interessi specifici.

A quel punto, la ricerca si focalizza e prende una direzione più coerente.

Se, invece, la ricerca è per un partner o cliente, il perimetro, lo scopo e le tempistiche vengono definiti insieme, attraverso conversazioni preliminari.

Si formula quindi un’ipotesi di ricerca o un brief, in cui definiamo insieme una direzione da esplorare. Ad esempio, con Artek, l’interesse era capire in che modo la loro produzione interseca il sistema forestale finlandese su larga scala”.

Per fare ricerca come la fate voi è necessario essere designer di formazione?

Formafantasma: “Crediamo di sì. La tipologia di ricerca che facciamo è sempre applicata al contesto del design, della progettazione e della produzione. Il designer ha una consapevolezza unica delle sfaccettature di questi ambiti. Per sua natura, il design è una disciplina ambigua, che si situa all’intersezione tra interessi economici, estetici, di qualità, di sviluppo sociale e di sostenibilità.

Poiché il design è una disciplina che riguarda direttamente la vita e la sua forma, richiede anche empatia: verso i materiali, l’utente finale, chi produce e chi fa il lavoro, oltre che verso il cliente. Abbiamo notato che chi non pratica la progettazione non ha necessariamente la stessa capacità espansiva di lettura del mondo che ha un designer”.

Qual è il rapporto tra ricerca d’impresa e comunicazione?

Formafantasma: “Le due cose sono distinte ma si intrecciano quando un’azienda vuole raccontarsi con uno storytelling non inventato ma derivato da un contesto reale – produttivo, culturale, etico. In questo senso, più una persona si dedica alla ricerca, più acquisisce conoscenze e, di conseguenza, la visione e il racconto diventano più nitidi”.

I marchi sono affamati di ricerca?

Formafantasma: “In realtà crediamo non molto. Ci auguriamo però che lo siano. Tutte le aziende serie hanno necessità di fare ricerca. È una condizione insita nell’idea di innovazione, per rimanere al passo coi tempi e avere consapevolezza di chi sei e dove stai andando. Forse è proprio questo: la ricerca ti permette di tracciare una traiettoria verso il futuro”.

Come definireste la vostra professionalità?

Formafantasma: “A volte noi ci poniamo la stessa domanda, perché non è facile raccontarci, far capire alle persone cosa facciamo e quali potenzialità abbiamo.

Credo che la nostra professionalità sia di natura espansiva e contestuale. Nel senso che il nostro modo di lavorare, di operare, di pensare e di proporre progetti ai nostri clienti trascende i nostri limiti. Se riteniamo che per un cliente o un contesto la risposta giusta sia non fare un prodotto, ma fare un film, anche se non abbiamo mai fatto film in vita nostra, noi proporremo quello perché pensiamo sia corretto.

Quello che facciamo non è, purtroppo o per fortuna, completamente professionalizzato, né settorializzata”.