Insieme al fratello Humberto, Fernando Campana (scomparso qualche settimana fa) ha rivoluzionato il design contemporaneo attribuendogli un valore sociale e politico. Lo ricordiamo in questa conversazione con la critica d'arte Francesca Alfano Miglietti

Fernando Campana era la metà più artistica del celebre duo brasiliano che ha rivoluzionato il mondo del design contemporaneo. Il fratello architetto che, assieme a quello avvocato, ha introdotto il concetto del riuso creativo e attribuito al progetto un valore politico e sociale.

Lo ricordiamo in questa densa conversazione con la critica d'arte Francesca Alfano Miglietti, curatrice della mostra Campana Brothers – 35 Revolutions tenutasi al Museum Of Modern Art di RioDe Janeiro a marzo 2020.

Si può dire che il vostro lavoro non è ‘solo’ progetto, ma anche invenzione continua per modificare i paradigmi che influenzano la nostra vita?

Fernando Campana: "Il nostro è prevalentemente un progetto di anima, di collegamento spirituale.

C’è la funzionalità, ci sono i mobili, però sin da quando eravamo piccoli io e Humberto abbiamo avuto un legame molto forte, e questo legame si è dimostrato non solo attraverso la funzionalità dei nostri oggetti, ma anche e soprattutto con l’amore fraterno".

La base del processo di invenzione è una ‘malattia mentale’ chiamata creatività?

Fernando Campana: "Ovvio, nessun artista è sano. La sanità è qualcosa che riguarda il pubblico, mentre l’artista deve andare all’Inferno, dal Cielo fino all’Inferno, e fare tutto questo percorso senza ammalarsi, senza essere sedotto da ciò che trova lungo la strada.

Comunque io penso che sia una ‘malattia sana’, il che è un ossimoro. Ma quello dell’artista è un processo malato e sano per cui non si dorme, si grida, si litiga, si ride; è questo che mi interessa di più nel processo creativo".

Per migliorare la qualità della vita quali sono le questioni più urgenti?

Fernando Campana: "Secondo me è urgente restringere l’abisso sociale che c’è non solo in Brasile e in una grossa parte del mondo, e anche l’abisso presente nei rapporti umani".

Oltre che a partire dall’etica voi lavorate anche con le emozioni. Progettare significa anche raccontare delle storie?

Fernando Campana: "Il design è una storia, è una formula facilitata di accesso per il pubblico, poiché l’arte ha un processo distinto che è più mentale: non tutti la captano o la sentono.

Il design invece in questo secolo è diventato uno strumento di comunicazione fra artisti, designer, architetti e il pubblico in generale, per la maggioranza del pubblico e non solo per un’élite".

Pur essendo più conosciuti come designer, avete sempre affrontato queste discipline formali da artisti. Cosa avete in comune con gli artisti?

Fernando Campana: "Credo che sia compito degli artisti costruire un ponte tra le categorie, creare collegamenti tra arte, design, pensieri; oggi non ci sono più confini tra le discipline e credo che io e Humberto siamo riusciti a realizzare tutte le nostre cose proprio vivendo lontano da tutte quelle regole di categoria.

Qua a San Paolo e, soprattutto per me, in campagna io riesco a non sentire queste categorie, e anche a non dovermi necessariamente definire… artista o designer oppure architetto.

Ho lavorato nella Biennale dell’83 a San Paolo, ho conosciuto Sandro Chia, il gruppo Fluxus, Daniel Buren, Anish Kapoor, Tony Cragg, Keith Haring, Basquiat: io ero assistente nell’allestimento, e subito dopo ho iniziato a lavorare con Humberto, per cui credo di aver portato con me tutto un bagaglio artistico che però per me erano gli oggetti, è la Transavanguardia.

Credo di essere stato io, e spero che per questo non mi pensiate pretenzioso, ad aver inaugurato la presenza dell’oggetto dopo l’object trouvé di Duchamp, di averlo re-inaugurato negli anni ’80 e ’90, di aver riportato la presenza degli oggetti come arte".

Siamo tutti molto affascinati dal numero di progetti a cui lavorate contemporaneamente: design, mobili, mostre, testi, progetti in Europa, Brasile… Cosa vi dà tutta questa energia?

Fernando Campana: "Tutta l’energia, penso, viene da questo paese gigantesco, di dimensioni continentali e dalla mescolanza di razze, di colori, di tutto quanto.

Spedirò qualche foto della città brasiliana dove i ferraresi sono venuti a vivere, e dove vado sempre ad acquistare i materiali… Però tutta questa energia viene anche dal rapporto che c’è tra me e Humberto; abbiamo otto anni di differenza, e credo che ognuno di noi due cooperi con l’altro secondo la propria energia…".

Cosa vi appartiene e vi ispira maggiormente per il vostro modo di immaginare la vita?

Fernando Campana: "La libertà".

Alla base della letteratura, come in ogni testo letterario di valore, c’è sempre un’immagine, una sorta di rappresentazione del rapporto con l’universo e con la vita. Qual è l’immagine che più vi affascina? Vostra o di altri, naturalmente.

Fernando Campana: "Per me sono le immagini del mondo, e sono le immagini di un essere, puro, naïf, senza arroganza, in un mondo più gentile, più pulito, più educato".

Sembra, che dentro i vostri progetti e la vostra visione del mondo vi sia la possibilità di traslazione, di immaginare un’esistenza in maniera diversa. Non come uno schema rigido e con mete da raggiungere, ma come un sistema aperto che si rinnova giorno dopo giorno. Cosa vi ispira?

Fernando Campana: "Le cose che mi ispirano sono i rapporti umani, la natura, anche il caos della città di San Paolo che è una città tripolare, e tento di fare un ritratto, una fotografia di tutto quello che sta intorno a me, dalle cose più semplici a quelle più sofisticate, però attraverso il filtro dei miei occhi".

Nei vostri progetti scegliete di usare insieme due linguaggi diversi, e succede sempre qualcosa. Si rompe la possibilità di avere una sola immagine certa, solida, sicura di se stessa. È stato sin dall’inizio così o è una ‘combinazione’ che avete scoperto man mano?

Fernando Campana: "Per me il nostro progetto è sempre stato un collage di diversi concetti, un’unione tra la campagna e la tripolarità di San Paolo, tra l’urbano e il rurale, e ogni tanto lanciamo occhiate ad altri mondi, come dimostrano l’albergo in Grecia o il Café Campana a Parigi che sono completamente differenti. Ma il nostro lavoro – secondo me che amo il collage – penso sia sempre un collage di forme, di materiali, di colori, di concetti".

William Burroughs, partendo dall’assunto che anche la parola è un’immagine, inventa la tecnica del cut-up: il metodo consiste nel tagliare delle pagine di un testo per rimetterle insieme in combinazioni a montaggio. Vuol dire saccheggiare le opere degli altri, letteralmente, collegando “pezzetti vividi di dettagli che svaniscono”. Succede comunque, diceva Burroughs, l’influenza tra artisti è fondamentale nel processo creativo: perché non possiamo rubare consapevolmente? Il vostro modo di fare può essere assimilato alla tecnica del cut-up burroughsiano?

Fernando Campana: "Certo, io penso che noi facciamo un collage, un cut-up di diversi materiali, di concetti, di colori seguendo una certa ‘regola Campana’; come abbiamo fatto per esempio con Venini, per lampadari che erano la ‘spazzatura’ (recupero di materiali di scarto) di Gio Ponti, di Mendini e di altri".

Il design è politica, deve occuparsi della cosa pubblica?

Fernando Campana: "Ovvio che il design è politico, è politica quando progetta, per esempio, una fermata di autobus, una nuova sala di attesa in un aeroporto. È politica il modo in cui le piazze sono progettate, la funzione della luce quando si pensa a un lampadario… se vuoi più luce o meno luce; quando progetti qualcosa in cui decidi se vuoi esporre il pubblico o nasconderlo. Il design è uno strumento politico e per questo io credo che il design debba poter parlare di diverse cose, per poter incidere sulle necessità dell’anima così come sulle necessità quotidiane…"

Testo tratto dal catalogo della mostra “Campana Brothers – 35 Revolutions”, Museum Of Modern Art di Rio De Janeiro, marzo 2020

Testo di Francesca Alfano Miglietti