I robot, dice il critico e curatore, non fanno arte: il loro compito è estetizzare le merci. E la macchina autocosciente è lontanissima, forse irraggiungibile

Domenico Quaranta è critico d'arte, curatore e docente con un profondo interesse nei modi in cui i cambiamenti tecnologici in corso, e dunque anche l'intelligenza artificiale, stanno condizionando le pratiche artistiche.

Da un mese, Quaranta è direttore artistico di Spazio Vitale a Verona, luogo di cultura e confronto, di mostre e dialogo: incarico che lo rende ancora di più la figura adatta a discutere, con un approccio laico, di autori e di autorialità al tempo dell'Intelligenza artificiale.

Come sta cambiando in concreto con l’IA la quotidianità del creativo?

"Dipende dal 'creativo', e da cosa si intende con questa parola, che personalmente non amo. Alcuni artisti stanno sperimentando in maniera interessante con l’intelligenza artificiale, aggiungendola alla loro cassetta degli attrezzi, a volte collaborando con essa in un processo di co-creazione.

Molte professionalità – dai traduttori ai programmatori, dai graphic designer agli illustratori – si sentono invece minacciate dalla sua capacità di sostituire il 'creativo' in alcune sue specifiche funzioni: una minaccia che non fa che incrementare, peraltro, una trasformazione già in atto da quando strumenti con caratteristiche professionali, come Photoshop o Audacity, sono diventati disponibili su ogni desktop.

Un’altra preoccupazione, ben più tangibile e concreta, dipende dal fatto che le AI attuali sono educate su dataset costruiti sullo scraping illimitato di contenuti condivisi in rete, il che gli permette non solo di creare un contenuto, ma anche di realizzarlo imitando lo specifico stile di un creatore, anche vivente".

Che cosa c'è dentro questa cassetta degli attrezzi in parte inedita? È sempre più normale usare l’AI oppure le forme di rifiuto sono più di quelle che pensiamo?

"Parlare di AI nel 2023 significa essenzialmente parlare dei generatori di testo, suono, immagini e video costruiti sui LLM (Large Language Models), resi disponibili online in varie forme, per l'uso gratuito o a pagamento: ChatGPT, DALL-E, Midjourney, ecc.

Usarli è relativamente semplice e immediato una volta che si impara a confezionare un prompt. Alcuni se ne servono per creare un prodotto finale, altri per ricerca, ispirazione, brainstorming.

Il rifiuto ovviamente c’è, e può derivare sia dalla stanchezza per l’estetica di questi tool, tutto sommato uniformante e ripetitiva, sia dalla preoccupazioni evidenziata qui sotto, che sta portando alcuni anche a rivedere la propria attitudine alla condivisione in rete".

L’arte e la creatività del futuro sarà l'arte di affinare il prompt?

"Non credo proprio. Saper confezionare un buon prompt sarà verosimilmente una delle competenze che un artista potrà aggiungere alle altre già acquisite, da programmare a creare una buona mestica per i colori".

Come evolverà il segno d’autore? Sentiremo il bisogno di accentuare la nostra autorialità, proprio per eliminare ogni dubbio che il nostro lavoro possa essere frutto di un robot?

"Lo stile, il segno autoriale, è ripetizione, spesso resa coatta dalle esigenze del mercato, che chiede sempre more of the same. Non c’è bisogno di scomodare Barthes e Foucault per mettere in discussione, oggi, l’idea di autore.

Da Duchamp in poi, gli artisti migliori hanno messo in discussione l’idea di stile, costruendo su fattori più impalpabili e meno riproducibili la continuità della propria investigazione".

Vedremo una polarizzazione crescente tra arte manuale, per rivendicare l’assenza di Intelligenza artificiale, e arte digitale, oppure andremo verso contaminazioni?

"Non facciamoci ingannare dal fatto che quella che chiamiamo Intelligenza Artificiale in questo momento venga usata soprattutto per produrre immagini e altri artefatti culturali: l’IA non è uno strumento artistico.

È un fenomeno evolutivo interno al processo di automazione dei mezzi di produzione del tardo capitalismo. Il suo fine primario non è l’arte, è l’estetizzazione delle merci.

L’arte la può usare, come usa e ha usato altri strumenti nati allo stesso scopo: ma quando lo fa, il suo è sempre un atto di appropriazione, un uso deviato e illegittimo.

Se polarizzazione ci sarà, non sarà tra arti tradizionali e arti digitali, ma tra artisti che usano l’IA in questo modo e industrie creative che producono merci estetizzate".

Photoshop sta introducendo l’IA, ma c'era già, per esempio, il Content Aware Fill per eliminare parti indesiderate di foto: lo possiamo considerare una forma di intelligenza artificiale? E in che cosa si differenzia dai software più recenti di cui si discute da un anno?

"L’hype dei nuovi tool basati sui LLM, lo sforzo di farli percepire come qualcosa di radicalmente diverso da ciò a cui siamo abituati, ci fa dimenticare che l’intelligenza artificiale è già ovunque: in Gmail quando ti avverte che hai dimenticato l’allegato; nel computer di bordo della tua automobile, quando segnala che stai uscendo di strada; nel filtro di Instagram che si attiva solo se fai una smorfia particolare; nel Content Aware Fill e in altri tool di Photoshop.

La triste verità che soggiace a questa allegra bugia è che c’è pochissimo di nuovo nelle IA attuali.

A fronte dei progressi relativamente modesti compiuti sul fronte delle reti neurali, i risultati spettacolari ottenuti da questi strumenti sono la conseguenza di altri avanzamenti: computer più potenti e veloci, una capacità senza precedenti di aggregare e analizzare ingenti quantità di dati, sfruttamento di una forza lavoro invisibile, globale, mal retribuita (o non retribuita affatto).

Big data, gig economy e CPU più potenti sono i veri fattori di differenza tra la fase attuale dell’AI e quella che l’ha preceduta. E l’IA autocosciente è ancora lontana, forse irraggiungibile".