Achille Castiglioni sosteneva che il design si deve vedere poco. Di conseguenza operava per sottrazione, cercando una particolare trasparenza di pensiero. Il risultato inevitabilmente è lo stupore di chi guarda, l’inevitabile sorriso che scaturisce da una buona soluzione e da una forma che assomiglia a qualcosa, ma non è quella cosa.
Un’analogia, uno spostamento concettuale.
Abbiamo chiesto a Giovanna Castiglioni, che dirige la fondazione dedicata al designer, di spiegarci il metodo Castiglioni. Un processo progettuale che si spiega in poche e semplici parole. “La grande magia dei progetti di mio padre è il sorriso, non c’è mai niente di concettuale nel suo lavoro. Le persone, vecchie o giovani, escono dalla Fondazione Castiglioni felici”.
È il ritratto di un maestro che sceglie con accuratezza il proprio ruolo di libero pensatore ironico, saggiamente leggero, sempre curioso di tutto e di tutti. Soprattutto di chi non era designer.
Gli oggetti belli devono comunicare curiosità, divertimento e simpatia, diceva Castiglioni. Per questo analogia e spostamento concettuale sono così presenti nel suo lavoro?
Giovanna Castiglioni: “La simpatia o ce l’hai o non ce l’hai. Se sei simpatico, riesci a divertirti; e per divertirti, devi alimentare la curiosità. È un ciclo meraviglioso che che permette di osservare gli oggetti con occhi sempre nuovi, a seconda dell’umore o del momento della giornata.
Per Castiglioni, l’approccio fisico all’oggetto, quel “mi piace” o “non mi piace”, era fondamentale. Funzionalità ed economia erano integrate nei suoi progetti, ma per lui la cosa davvero importante era far compiere all’oggetto un'evoluzione umana e intelligente.
Prendiamo ad esempio lo sgabello “Sella”: è divertente, ma non simpatico. Se dovessimo costruire uno schema, diremmo: divertimento sì, curiosità sì, simpatia no. Quando lo tocchi e si muove può fare paura, è scomodo.
Ma quando inizi a usarlo, scopri che non è pericoloso, anzi, è divertente. È il racconto che trasforma divertimento, curiosità e simpatia in un metodo. Lo stupore per la forma non basta.
Un altro esempio: il cucchiaio Sleek: il divertimento è scarso, la forma è simpatica, ricorda un sorriso. Il sorriso arriva quando comprendi davvero il suo scopo: non solo è più lungo di un dito e raccoglie la marmellata in ogni angolo del vaso, ma ha un lato piatto per spalmarla sul pane.
Ed è qui che la meraviglia per il design: un progetto che risolve ogni funzione legata a un gesto, senza orpelli decorativi, disegni simpatici o concettualizzazioni complesse. Altri oggetti che si ispirano a questa logica sono la lampada Snoopy e lo sgabello Mezzadro.
Sono il risultato di uno spostamento concettuale ironico”.
Altri designer usavano l’analogia come metodo. Uno dei più eclatanti è Michael Graves, che sosteneva che se un progetto fa ridere avrà successo. Qual è la differenza fra lui e Castiglioni?
Giovanna Castiglioni: “Achille Castiglioni è stato un designer industriale puro, perché non scendeva a compromessi col marketing. A partire dall’interruttore rompitratta, che di certo non è un progetto ammiccante ma del tutto democratico per ragioni serie.
Progettava per entrare nelle case di tutti, aborriva l’idea che il design dovesse servire al marketing.
Le immagini più belle sono quelle di lui con i venditori di Flos, a cui spiegava i propri progetti chiedendogli cosa ne pensavano.
A Castiglioni piaceva dialogare con chi non faceva il suo mestiere e con gli studenti; voleva sempre capire come veniva percepito il suo lavoro. Questa apertura mentale era anche un modo per divertirsi.
Ho sempre trovato affascinante quanto fosse facile comprendere ciò che diceva, perché non sentiva il bisogno di grandi discorsi. Un esempio è la fruttiera scolatoio AC04 di Alessi: è simile alla coppa che si trova a casa della nonna, con un piccolo piedistallo che la slancia, ma il vero progetto è nel fondo concavo che evita il ristagno dell’acqua.
Questa semplicità, senza sovrastrutture concettuali, rende il lavoro di Castiglioni ancora più attuale oggi che l’immediatezza delle scelte progettuali porta a quella semplicità di cui abbiamo davvero bisogno. Quando comprendi le buone ragioni funzionali di una forma, nasce uno stupore che si trasforma in simpatia e curiosità. E in allegria”.
Si può insegnare il metodo Castiglioni?
Giovanna Castiglioni: “Sì, assolutamente, perché è estremamente comprensibile. Ridurre i componenti al minimo è sempre il compito più complesso. Per Castiglioni, l’analogia si basava su una domanda semplice: “Quanto un oggetto anonimo può essere migliorato e trasformato?”
Il sedile da mungitore diventa un sellino da bicicletta per brevi telefonate; sono due oggetti diversi, ma entrambi servono a sedersi. O pensiamo a un bicchiere portatile che diventa la lampada Giovi: un cambio di paradigma. Ci sono analogie e analogie, e raccontandole in questo modo, le persone si sentono più vicine al mondo progettuale.
Credo che sia l’atteggiamento mentale più corretto per progettare oggi, evitando le sovrastrutture sempre in agguato, soprattutto negli uffici marketing. Se di fronte a un progetto la reazione è “non si venderà mai,” l’entusiasmo crolla, il divertimento anche.
Castiglioni, con la sua autorevolezza e la sua esperienza, poteva permettersi di scegliere con fermezza. Si arrabbiava e a volte scendeva a compromessi, ma forse oggi sentiamo nostalgia per gli imprenditori illuminati, che si mettevano nelle mani dei progettisti senza lasciarsi distrarre da altre voci. Era una fiducia che apriva al rischio e alla leggerezza".
È ancora possibile prendersi poco sul serio oggi?
Giovanna Castiglioni: “Assolutamente sì, dovremmo tornare alla leggerezza del progetto come antidoto all’immobilismo e alla paura che ci fanno guardare ai maestri del passato come agli autori di opere da museo.
Gli oggetti destinati a diventare iconici nascono già con un’aura di eternità che non è detto che li renda particolarmente simpatici. La lampada Arco, ad esempio. Non è mai stata simpatica, nemmeno ad Achille, che infatti non l’ha mai avuta in casa.
Invece qualche giorno fa, durante un incontro con gli insegnanti di scuola, ho messo vicino il cucchiaio Sleek e la forchetta/cucchiaio Moscardino di Giulio Iacchetti e Matteo Ragni.
Ho domandato se non fossero oggetti troppo “leggeri” in questo momento storico. C’è stato un coro di diniego e le persone non smettevano di sorridere. C’è ancora molto da progettare, divertendosi, con uno sguardo bambino, innocente, che si concede di giocare”.
Ci sono momenti invece in cui Castiglioni è stato serio?
Giovanna Castiglioni: “Castiglioni era serio quando progettava architettura nel Dopoguerra. Il Palazzo della Permanente è un'architettura serissima, modernista.
Era un momento in cui bisognava rispondere all’emergenza. Un altro buon esempio è il letto per ospedali TR15, progettato con l’ortopedico Ernesto Zerbi per realizzare un oggetto adatto a tutte le situazioni cliniche tenendo in considerazione le necessità di pazienti, personale sanitario e spazi ospedalieri.
Ma persino negli allestimenti lasciava sempre un pizzico di ironia. Metteva in scena gli oggetti per mostrare l’industrial design con un occhio spiritoso. Si divertiva davvero.
Faceva parte di una generazione che usciva dalla guerra, era stato soldato, come molti altri architetti dell’epoca. Esperienze che fanno apprezzare la levità dei periodi di ricostruzione”.
Alcuni dicono che questo periodo di crisi è analogo a quello del Dopoguerra. Sei d’accordo?
Giovanna Castiglioni: “Questo potrebbe essere un momento di rinascita. Ma quanti progettisti hanno sfruttato la pandemia come elemento propulsivo? Pochissimi e in modo autonomo.
Le aziende non ci sono state. Il designer usato per redimere l’impoverimento culturale dell’industria si trasforma in art director. Ben venga.
Ma mi sembra evidente che costruire analogie fra il clima imprenditoriale del Dopoguerra e quello attuale sia una forzatura. Achille Castiglioni non ha mai voluto fare l’art director perché non avrebbe mai accettato di legarsi così intimamente a un’azienda".
Foto di copertina: Achille Castiglioni e Diabolo. Ph. H. Findletar