Chi ha paura dell’arte performativa? Vicente Todolí, direttore artistico di Pirelli HangarBicocca, ci ha raccontato come visitare la mostra Bruce Nauman. Neons Corridors Rooms, appena inaugurata a Milano

I corpi, quello dell’artista e quello dello spettatore sono al centro del processo, anzi, sono l’opera stessa. Immediata quanto disarmante, l’arte performativa è per tanti difficile da capire. Abbiamo chiesto a Vicente Todolí, direttore artistico di Pirelli HangarBicocca, di raccontarci la mostra Bruce Nauman. Neons Corridors Rooms, appena inaugurata a Milano.

Incontriamo Vicente Todolí nella penombra della grande navata centrale dell’Hangar Bicocca, il giorno dell’inaugurazione della mostra Bruce Nauman. Neons Corridors Rooms, che ha curato insieme a Roberta Tenconi.

Vicente Todolí è di origini valenciane, ha diretto il Centro d’Arte Contemporanea di Valencia, la Tate Modern di Londra, la Fondazione Serralves di Oporto e, dal 2013, ricopre la carica di direttore artistico di Pirelli HangarBicocca a Milano.

L’architettura determina le scelte

"All’Hangar proponiamo mostre site-specific, in cui l’arte è ospitata dall’architettura", ci spiega.

"L’architettura influenza sempre le scelte di un curatore, ma, nel nostro caso, addirittura le determina. Si deve creare una simbiosi tra le due discipline e l’architettura fornisce uno spazio unico perché il lavoro dell’artista venga letto in una maniera nuova.

Facciamo mostre come le fanno gli Americani, perché abbiamo lo spazio per farlo. Non creiamo stanze e non dividiamo lo spazio e quando prepariamo una mostra, selezioniamo le opere pensando fin dall’inizio a come saranno inserite nello spazio.

"La nostra vocazione", continua Todolí, "è quella di dare nuova vita a una serie di lavori, come abbiamo fatto con la mostra dedicata agli Ambienti di Lucio Fontana (ndr Ambienti / Environments 21.09.2017 – 25.02.2018). Al contrario di quanto facevo alla Tate Modern, dove sono stato direttore per sette anni e dove commissionavo l’opera all’artista, qui usiamo lavori esistenti per creare ambienti site-specific."

Nel caso della mostra dedicata a Bruce Nauman, artista premiato con il Leone d’Oro alla Carriera della Biennale di Venezia nel 1999 e quello per la migliore partecipazione nazionale con il Padiglione degli Stati Uniti d’America nel 2009, Vicente Todolí ci spiega che metà della mostra è dedicata a uno stesso corpo di lavori: Rooms and Corridors. Si tratta di lavori molto importanti per Nauman, ma poco conosciuti, che l’artista americano ha cominciato a fare quasi per caso.

Un’opera nata per caso

"Era il 1968", continua Todolí evocando l’antefatto di una delle istallazioni esposte, Walk with Contrapposto, opera seminale per Bruce Nauman che accompagna le riflessioni di molti lavori degli anni successivi, "quando Bruce Nauman studiava per conseguire il Master of Fine Arts all’Università della California a Davis ed era assistente alla classe di disegno dal vero di Wayne Thiebaud. Allora, si interrogava sul tema del modello e pensava che l’artista stesso avrebbe dovuto essere il modello dell’opera."

È in questo periodo crea performance sperimentali – realizzate anche in mancanza di pubblico e riprese con una cinepresa 16mm. Il soggetto della performance è lo stesso Nauman che cammina lentamente avanti e indietro all’interno di un corridoio largo appena 50 centimetri costruito appositamente nel suo studio.

Il fatto che questo corridoio fosse realizzato ad hoc come elemento a sé stante, attorno a cui camminare e muoversi, ce lo spiega bene, ancora una volta, Vicente Todolí, con un elemento derivato dalla biografia dell’artista: "il proprietario dello studio che Nauman affittava gli disse che non gli era consentito intervenire sulle pareti della stanza, per questo Nauman fu costretto a costruire delle pareti mobili che diedero vita all’opera Contrapposto."

"In quello stesso periodo", continua a raccontare Todolí, "Marcia Tucker, un’importante curatrice del Whitney Museum of American Art, che avrebbe poi fondato nel 1977 il New Museum di New York e che stava allora preparando un’importante mostra dal titolo Anti-Illusion: Procedures / Materials, andò a trovare Nauman nel suo studio, vide le pareti montate per simulare lo spazio di un corridoio e gli suggerì di fare di quel lavoro un’opera d’arte e di esporla in un museo".

Nauman era contrariato tanto che, in una lettera ai curatori, scriverà ‘questa non è tanto una scultura, ma un oggetto di scena per un esercizio di danza o uno studio che ho filmato’. Nonostante questo, lo stretto corridoio in legno, nato per caso, fu riproposto da Nauman l’anno successivo, come opera autonoma con il titolo Performance Corridor (1969).

Disorientamento e claustrofobia

Da questo momento, la struttura architettonica del corridoio diventerà un elemento ricorrente nel lavoro di Bruce Nauman, sviluppato a partire dalla fine degli anni ‘60 in opere e installazioni sempre più complesse. Nel contesto museale, il corridoio serve ad attutire e poi intensificare la risposta acustica, visuale e cinestetica di chi passa attraverso la parete o intorno a essa. In questo tipo di installazioni, non è, quindi, più, soltanto, il corpo dell’artista, ma è quello del pubblico a diventare il possibile soggetto performativo, fruitore e al contempo attivatore dell’opera.

Passare all’interno di questi corridoi, ricreati fedelmente, seguendo alla lettera le istruzioni scritte dall’artista, è un’esperienza intensa, che può generare disorientamento e senso di claustrofobia. Questo è, del resto, il senso ultimo dell’arte performativa, che è fatta per generare una risposta, anche se negativa, nel fruitore.

L’opera incarna una poetica sensoriale: l’artista sta sperimentando e ci invita a sperimentare con lui. Questo lasciarci andare alla sperimentazione, diventando così da spettatori a performer e, quindi, parte dell’opera stessa, è il passaggio fondamentale per comprendere il lavoro di Bruce Nauman e, in generale, l’arte performativa.

Così concepiti, i Corridors rappresentano una parte importante della mostra Neons Corridors Rooms, tanto da determinarne il titolo. La mostra, aperta fino al 26 febbraio 2023, riunisce poi per la prima volta in un’unica esposizione trenta lavori realizzati dalla seconda metà degli anni ’60: le varie tipologie di corridoi e stanze, oltre a sei opere al neon, cinque lavori video e sonori, e una selezione di Tunnels, ovvero modelli scultorei per architetture sotterranee. Assolutamente da vedere, o meglio, da sperimentare.