Ma un oggetto che esplicita femminilità e frivolezza insieme, a primo impatto non risponde a uno stereotipo?
Come dicevo prima ho disegnato Lolita espressamente per affrontare il tema degli stereotipi, per superarne i confini, per aprire l’idea di design e dimostrare come alcuni preconcetti possano essere trasportati in un contesto più libero.
Secondo lei oggi esiste un design genderless?
Sono convinta che il design debba essere genderless. Ovviamente bisogna rivolgersi a diversi gruppi di persone, con diversi gusti e stili di vita quando si crea qualcosa. Siamo tutti in cerca della nostra identità e della nostra poetica.
Anche scegliendo le cose che ci circondando, in fin dei conti, creiamo la nostra identità e la comunichiamo agli altri, ma questo non ha nulla a che vedere con il genere. O comunque, non così tanto.
Quando ha capito di voler fare la designer? È stato difficile esordire come donna?
Credo di aver voluto diventare una designer fin dalla più tenera età. Non saprei dire il perché, ma ho sempre sentito di avere qualcosa da dire e che il modo migliore per far sentire la mia voce era il design. Chiaramente è stato molto difficile iniziare, essendo donna, ma su questo aspetto non ho mai voluto fare troppa leva.
In un certo senso ho quasi ignorato la questione e ho sempre creduto che i miei progetti fossero più forti e più grandi di me e delle mie origini, e che superassero queste difficoltà che ho incontrato agli inizi. E a dire il vero l’esperienza mi ha poi insegnato che volendo veramente dire qualcosa di nuovo il genere o le origini non contavano.