Sull'angoscia del vuoto lavora anche il recentissimo L'uomo invisibile (2020) di Leigh Whannell, dove una donna deve liberarsi del fidanzato violento e manipolatore ma, quando pensa di esserci riuscita, scoprirà che l'uomo ha sviluppato un costume con cui rendersi invisibile e continuare a tormentarla. Come ogni B movie che si rispetti, il film di Whannell sa annusare l'aria, riesce a captare i fenomeni sociali della contemporaneità e servirsene per i suoi scopi e con le proprie forme. Così, questa rilettura di un classico del fantastico riesce a farsi metafora del #metoo, attraverso un personaggio femminile forte – e la scelta della Elisabeth Moss di The Handmaid's Tale per interpretarlo non è certo casuale – vittima di stalking che, in un finale da non rivelare, saprà ottenere la sua rivincita. Opera capace di lavorare su intelligenti paradossi – il fidanzato stalker è un genio dell'ottica, e il costume che inventa è interamente rivestito di micro telecamere: uno strumento nato per registrare il visibile utilizzato per scomparire – L'uomo invisibile subisce un destino paradossale: quello di sparire a sua volta (almeno dalle sale, è disponibile per la visione su alcune piattaforme, anche in Italia) a causa del Covid-19 e della conseguente chiusura dei cinema. E allora, guardandolo in questi giorni, è impossibile non pensare che all'interno di quelle lunghe inquadrature su ambienti deprivati della presenza umana, su quella asettica combinazione di volumi in vetro e cemento armato che definisce la milionaria residenza del 'cattivo', si stia nascondendo non la brillante invenzione di uno sceneggiatore, ma quel nemico, altrettanto invisibile che sta modificando il mondo in un modo tale che forse, finito tutto questo, non saremo neppure più in grado di riconoscere.