Che cosa sono e come stanno crescendo le comunità energetiche. Dove ogni cittadino trae vantaggio dall’essere virtuoso e responsabile

La grande sfida che chiamiamo transizione energetica, e cioè il passaggio verso un consumo di energia prodotta da fonti rinnovabili e non fossili, si scontra con due grossi problemi.

Il primo è oggettivo: le energie rinnovabili, come l’eolico e il fotovoltaico, sono difficili da immagazzinare, e dunque vanno consumate entro poco tempo dal loro accumulo.

La seconda questione è forse ancora più complessa, perché riguarda da vicino noi stessi, i consumatori, con le nostre pigrizie e una propensione al cambiamento tutta da incoraggiare. In molti casi, forse da inventare.

Per questo, sono una novità in crescita e tutta da seguire nei loro sviluppi le comunità e i distretti energetici, quelle realtà che trasformano un gruppo di persone, un condominio o un intero quartiere, in una mini centrale dove l’energia non è più soltanto qualcosa da comprare, ma da produrre e mettere in circolo, appunto, per la comunità.

“Chi fa parte di una comunità energetica non è solo consumatore, ma può assumere anche il ruolo di prosumer, ovvero produttore/consumatore che non riceve più una bolletta, ma ha a sua disposizione real-time dati sulla produzione e consumo della comunità, incluso il proprio bilancio produzione/consumo. Dal web scopre quanta energia ha consumato in un certo periodo e quanta ne ha immessa nel sistema”, spiega Stefano Converso, docente alla Terza Università di Roma e tra i partner del progetto ReDream, finanziato dalla Commissione Europea per mezzo del programma quadro H2020 di Ricerca e Sviluppo, che sperimenterà l’attuazione della Comunità Energetica nel territorio del Biodistretto della via Amerina.

Si tratta di una comunità del Lazio che unisce tredici Comuni, aziende biologiche e del turismo sostenibile e intende guidarle verso un percorso di decarbonizzazione. La sperimentazione viene svolta in collaborazione con CiviESCo, Energy Service Company di Civibank, presente in ambito italiano e europeo in iniziative di decarbonizzazione a scala urbana (Smart Cities), con Rimond e l’Università di Roma3.

Ma come si fa a produrre energia per la propria comunità?

Innanzitutto non serve avere un impianto solare o un minieolico. “Basta anche un’auto elettrica con una carica non del tutto consumata: la centralina di comunità legge quella carica e la immette in un sistema di vasi comunicanti in cui l’energia viene attinta – di fatto o virtualmente – di volta in volta dove c’è ed è disponibile, dando priorità a quella pulita prodotta dalla comunità in termini di approvvigionamento, che così non va sprecata”. 

Come in un gruppo solidale, l’energia diventa in questo modo una moneta spendibile. E come ogni moneta, oltre che spesa può essere pure incassata: “Questo spinge ciascun membro a diventare responsabile, a puntare su fonti pulite e a produrre parte dell’energia che poi viene immessa nel sistema. Pago quello che consumo, ma posso anche incassare senza spendere o tagliare i costi fissi della bolletta, quelli che non dipendono dai consumi. E, infine, scambiare il valore energetico con quello di altri servizi nell’ambito della stessa comunità”, spiega ancora Converso.

La comunità energetica è la dimostrazione più recente di quel modello di vita in cui la proprietà – dell’auto, della casa, dei beni materiali in genere – conta sempre meno a favore del valore d’uso. Ovvero: ci interessa sempre meno pagare per essere proprietari e sempre più farlo per usare qualcosa solo quando ci serve.

“Non a caso parliamo di energy as a service, come nella mobilità. Ma a differenza di quando paghiamo per il car sharing, in questo caso siamo anche produttori. E, come chiunque produce, siamo spinti a farlo con più attenzione e cura. In fatto di energia, questo vuol dire diminuire gli sprechi ed essere più efficienti. Ed è qui che entra in gioco il design: una produzione energetica smart può diventare il volano per avere smart home e definire un vero smart living attraverso una serie di componenti che sono tutti ancora da progettare, e sono un grande spazio espressivo per noi architetti e designer. A Roma Tre per esempio abbiamo iniziato ai tempi del Solar Decathlon con un parapetto termodinamico e una tenda fotovoltaica integrati nella loggia della nostra casa; oggi si parla di tanti bonus, ma l’integrazione è sintomo del fatto che si pensa ancora a un impianto, a qualcosa di esterno, mentre invece è nella simbiosi diffusa negli oggetti e le parti delle case, la chiave. Bruce Sterling tempo fa li chiamava spime”.

L’EneaAgenzia nazionale per le nuove tecnologie, l'energia e lo sviluppo economico sostenibile ha contato in un report recente dodici comunità energetiche ben avviate in Italia, tutte non più a sud della provincia di Bologna. Per una crescita di queste realtà, le leggi sono determinanti: “Al momento possono scambiare energia le utenze che insistono sulle stesse cabine di trasformazione, ma a breve sarà possibile farlo tra utenti con lo stesso codice postale, il che farà di ogni quartiere di tutte le città d’Italia una potenziale centrale energetica”.

La Commissione Europea ha finanziato il progetto ReDream che ha già preso il via in Spagna, Croazia e Inghilterra. In Italia potrebbe approdare in provincia di Viterbo, dove il Biodistretto della via Amerina è pronto a spingere un po’ più a sud il baricentro di questa storia virtuosa.

 

 

Nelle foto, il territorio del Biodistretto della via Amerina e delle Forre nel Lazio.