Dallo scroll senza fine (e un po’ vuoto) al ritorno dell’Appointment Internet. Ecco come sono cambiati i social media e il nostro modo di usarli durante la quarantena. Spoiler: non si tornerà indietro

* Francesco Oggiano è giornalista, scrittore e autore della newsletter Digital Journalism

Ci siamo anche un po’ divertiti: abbiamo messo su cyberaperitivi, concerti virtuali, sessioni di yoga in videocall, serenate digitali. A corto di viaggi, foto di tavolini dei bar e selfie di gruppo, abbiamo persino mostrato per la prima volta la nostra noia, sui social. Cose mai viste. Prove digitali che il primo cambiamento portato dalla quarantena alla nostra presenza virtuale è stata la sospensione di quella patina di perfezione tanto presente nei nostri feed fino a poco tempo fa.

Loro, i geni della Silicon Valley, hanno fatto due cose. Primo, hanno festeggiato i risultati del primo trimestre 2020: Youtube +33% di fatturato, Spotify +22%, Linkedin +21%; Facebook +10% di utenti, Twitter +24%. Secondo, si sono messi al lavoro per assecondare e rincorrere quei cambiamenti imposti dalle nostre nuove abitudini.

Tra Zoom e Rooms, tutti in videocall

Prendiamo le videocall, vere star di questa quarantena. Su Zoom abbiamo organizzato show televisivi (come il Saturday Night Live), serate da discoteca con djset (in cui ognuno balla, ma nella sua stanzetta), matrimoni (resi legali in America) e persino “scaricamenti” di affetti stabili (“being Zumped” è una nuova parola che significa “scaricato su Zoom”). La piattaforma rivelazione di questi mesi è passata da 10 a 200 milioni di utilizzatori al giorno ed è arrivata a valere in Borsa quanto le prime sei compagnie aeree messe assieme. Tanto da dover implementare la sicurezza delle sue chiamate.

Per recuperare terreno nel campo delle videocall, il buon Mark Zuckerberg ha lanciato tre nuove caratteristiche, una per ciascun social di Menlo Park. Su Facebook ha creato le Messenger Rooms, un nuovo servizio che permette videochiamate fino a 50 persone. Su Whatsapp sta eliminando il limite delle quattro persone per singola videocall. Era una cifra che fino a tre mesi fa neanche ci pareva irraggiungibile, e ora ci pare come un limite insopportabile.

Su Instagram, social che in generale ha affermato la sua rilevanza mondiale persino nei confronti Facebook, ha cercato di valorizzare due format finora a prima della quarantena non imprescindibili: le live e le Igtv. Le dirette, quelle cose che hanno iniziato a riempire i pallini in alto al nostro schermo alle 18 di ogni sera, sono ora visibili da desktop. Durante gli stessi, grazie alla nuova funzione Co-Watching, ora potremo condividere anche la visione di video e foto di altri utenti. Un po’ per spettegolare, un po’ soprattutto per provare piccoli elementi di regia all’interno delle videochiamate (ammettiamolo, dopo 10 minuti ci si stanca a vedere uno schermo diviso con due persone che parlano).

Le Igtv, che invece rappresentano quei video più lunghi di un minuto, sono la nuova scommessa del social, che mira a sfidare Youtube quantomeno sul mercato del mobile. Zuckerberg ha cercato di colmare il doppio gap che l’Instagram Tv ha nei confronti di Youtube: l’organizzazione dei contenuti  (per esempio in playlist) e la possibilità di inserirci campagne pubblicitarie (per esempio con le classiche adv all’inizio dei video). Per questo ha iniziato a offrire la possibilità di organizzare i video in serie all’interno del proprio canale (come le playlist di Youtube). E ha iniziato a contattare i suoi top creators per testare con loro la  pubblicità sui loro video Igtv, a quanto pare sempre sul modello Youtube.

Ma la nostra esigenza di socialità per colmare la distanza si è unita a quella di credibilità per colmare la confusione. E allora un altro effetto del Coronavirus è stato quello di farci “ritornare” alle fonti di informazione più attendibili. In America il New York Times ha analizzato come le uniche fonti a non essere cresciute siano state proprio quelle dei portali più partigiani ed estremisti, come Infowars o Breitbart. Lo stesso giornale ha titolato provocatorio: “Facebook è più affidabile di Trump”, almeno sul virus.

Tutti i social hanno stretto partnership con istituzioni sanitarie per evitare la diffusione di notizie imprecise o totalmente false. Ve ne sarete accorti su Instagram, con quei popup in alto al feed che vi rimandano all’Oms, o su Facebook, con il lancio del Coronavirus Information Center. “In queste settimane i social stanno diffondendo informazioni molto attendibili”, ha continuato il quotidiano. “Perché non possono farlo sempre?”. Una domanda che torneremo a farci, in vista della campagna elettorale per la Casa Bianca.

Ma forse, quello che è più cambiato nei social e nel nostro modo di viverli è riassumibile in due parole, neologismo degli americani (che in questo sono sempre i migliori): Appointment internet. Definizione: “un modo di stare online in cui prendi parte a specifiche attività in orari precisi, con piccoli gruppo di amici o familiari”. Il senso è quello di un ritorno.

Nei suoi primi anni il web era un enorme Appointment Internet. Avevamo gli appuntamenti sui forum e le pubblicazioni a orari fissi sui blog. Poi i blog sono stati sostituiti dalle piattaforme e le community dagli influencer. La comunicazione contemporanea “tra gruppi” è stata sostituita da quella asimmetrica e non contemporanea che avveniva da uno (l’opinion leader, la testata o l’influencer) a molti e indistinti (il pubblico che scrolla continuamente, ognuno sul suo proprio feed). Era impossibile trovare un’intera esperienza condivisa tra più persone, visto che ognuno aveva il suo unico punto di vista.

Con la quarantena, siamo tornati a rivivere le esperienze di gruppo su internet, con gli happy hours su Zoom, i gruppi dei vicini di casa su Slack, quelli di appassionati di un determinato tema su Facebook. Se prima postavamo qualcosa e speravamo che qualcuno dei nostri follower lo vedesse sul suo feed (magari 20 ore dopo), nell’appointment internet siamo sicuri di vedere la stessa cosa assieme a tutti gli altri. È un uso del web alternativo al salto continuo tra i video di YouTube all’altro e lo scrolling senza fine: è la condivisione di un’esperienza. Quello che in fondo abbiamo fatto in tutto il mondo, chiusi in casa, in questi due mesi qua.

 

In apertura, nella foto di Victor Moriyama per The New York Times l'edificio Copan progettato da Oscar Niemeyer a São Paulo, in Brasile, il 18 marzo 2020, durante il lockdown. Lo scatto fa parte dell'iniziativa benefica 100 Fotografi per Bergamo a sostegno del reparto di rianimazione e terapia intensiva dell'Ospedale Papa Giovanni XXII di Bergamo.