Si può lavorare bene da remoto anche fuori dall’emergenza, ma bisogna imparare a progettare comunicazione e trasparenza

Lo chiamavamo telelavoro. Era una sorta di chimera, eppure vivevamo già immersi in un mondo totalmente connesso e trovavamo fidanzati, case e vestiti sugli smartphone. La mattina però ci alzavamo per andare a occupare una scrivania, in un ufficio, e lavoravamo in un orario prestabilito. Tirare le fila di un progetto sembrava possibile solo in presenza, magari confrontandosi con un team. Per la maggior parte di noi questa epoca un po’ obsolescente è finita a marzo, quando volenti o meno siamo passati a un remote working improvvisato. Una transizione tanto rapida quanto inaspettata. Una volta compiuto il passo, non resta che capire come si lavora, bene, in remoto. Ed è, come al solito, una questione di progetto.

Giuliana Lucchesi è una donna di 28 anni di origine italiana. Vive a Chicago ed è People Business Partner da GitLab, una software company con 1300 impiegati in 66 Paesi diversi. GitLab è la più grande azienda totally remote del mondo. Non è però l’unica: ne esistono qualche decina, con esempi eccellenti. Come Automattic, che ha inventato WordpPress, per dirne una.

Quasi tutte stanno costruendo e condividendo sapere’ basato sulla propria esperienza pionieristica e GitLab non fa eccezione. Sul suo sito si trovano playbook, conferenze, chat, manuali.

Per noi comuni mortali, Giuliana Lucchesi è come un insider di un mondo ancora misterioso. Anche se quando le parliamo esordisce con un concetto ormai chiaro a tutti: “Lavorare in remoto è il futuro, ne sono convinta. Molte aziende stanno facendo questa scelta e altre la faranno presto. Ma è una scelta molto personale, non una panacea. E non è detto che il lavoro 100% remoto vada bene per tutti”. Né che sia semplice farlo funzionare.

Il fulcro del remote working è la circolazione delle informazioni. “Tenere traccia di conversazioni e comunicazioni, dei processi progettuali, degli scambi formali e informali è fondamentale”, continua Lucchesi. “Usiamo strumenti tecnologici progettati per favorire i flussi e rendere accessibile ogni informazione. Lo scopo è permettere alle persone di lavorare in autonomia e di evitare quello scambio continuo di comunicazioni private (che fanno male anche al lavoro in presenza)”. Che tristezza. È la fine della chiacchiera informale davanti alla macchina del caffè – water cooler chat, la chiamano gli americani. La conversazione occasionale e spontanea che, per noi italiani, è l’humus delle cose fatte bene insieme. Eppure le cose funzionano ugualmente. In un ambiente in rapida evoluzione, infatti, l’accessibilità alle informazioni e la trasparenza negli scambi sono il background necessario alla crescita. L’altro elemento chiave è la rinuncia alla parcellizzazione della conoscenza.

Sembra un modus operandi poco umano per noi italiani, abituati a tutt’altro. Ma secondo Giuliana Lucchesi è l’opposto: “Ci vuole forse più tempo per sentirsi in relazione, ma c’è una grande attenzione, del tutto umana, alle persone, alle loro idee, a quello che fanno e pensano. Sia quando lavorano a un progetto che quando vogliono condividere passioni o fare una chiacchierata. È un obiettivo dell’azienda che tutti si sentano a proprio agio e possano essere se stessi”. Il motivo è chiaro: su un terreno di fiducia e autenticità si crea la base sicura per esprimere liberamente le proprie idee, innescando il processo che porta alla creazione di qualcosa di nuovo o alla soluzione di un problema.

La comunicazione ha quindi un ruolo chiave nelle aziende remote. È progettata accuratamente, con molti canali, formali e informali e non lascia nulla al caso. “L’azienda fornisce piattaforme digitali adatte a gestire i processi. Il nostro modo di lavorare è reso trasparente dall’aggiornamento costante. Se decido di cambiare qualcosa, anche solo un dettaglio, ho gli strumenti adatti per informare le altre persone immediatamente. Ne rimane una traccia pubblica accessibile a tutti”. In prossimità di un click c’è la coffe room digitale, il gruppo tematico, la chat fra colleghi. Anche la relazione è frutto di un progetto che si costruisce sull’esperienza e sulla base di una gestione HR’ evoluta e molto sofisticata (leggi qui).

Ci sono due temi fragili nel lavoro remoto. Il tempo e lo spazio, categorie alle quali l’umano si riferisce per non perdere la bussola fra lavoro e vita privata. “Ho uno spazio fisico per il lavoro, in casa. Entro ed esco da una stanza come se andassi in ufficio. È uno switch fondamentale”, spiega Lucchesi. Il tempo si scandisce in modo personale, facendosi carico del proprio benessere e dandogli un valore preciso, sia privato che professionale. “Ci diamo dei limiti per le riunioni, oltre a registrarle. Abbiamo tre possibilità per risolvere un tema senza parlarci direttamente, altrimenti facciamo in modo di organizzare una call in diretta. Non ci dilunghiamo in infinite conversazioni asincrone, è poco funzionale e snervante”. Terminato l’orario di lavoro, si torna ad abitare la vita vera, senza sfondi finti e fuori dal flusso di informazioni. È un ritorno al sé fisico, a una dimensione diversa. Ma c’è chi è pronto e ha le mappe per andare e venire fra i mondi e vivere già “on life”, per dirla con Luciano Floridi.

 

Immagine di apertura e altre nel testo da: Vitra e-paper ‘New dynamics in the home’; direzione creativa Studio AKFB; illustrazioni di Max Guther

Il 22 e 23 ottobre 2020 è in programma Vitra Summit (leggi qui), il ‘vertice’ digitale dedicato al mondo dell’ufficio e agli spazi condivisi.