I podcast danno voce anche al design. Ecco cosa c'è dietro uno strumento sempre più apprezzato per condividere contenuti culturali ma anche legati allo storytelling dei marchi

La voce è uno strumento primordiale, con una forza inaspettata. Il digitale, pur avendo scommesso molto sulle immagini, forse comincia ad accorgersene grazie al successo silenzioso e discreto dei podcast.

Se ancora avete dubbi a riguardo, iniziamo dalla base, cioè dal capire cos’è un podcast. Si tratta un format audio progettato per trasmettere contenuti in modo seriale. Che funziona, per molte ottime ragioni.

Innanzitutto un podcast si ascolta facendo altro, lasciandosi trasportare da suoni, voci, parole. Senza una richiesta di grande concentrazione, insomma, si entra e si esce dal racconto, ci si lascia catturare da un dettaglio, si stoppa e si riprende a piacimento. C’è poi il fatto che un podcast si focalizza spesso su un contenuto senza tempo, candidando quindi mezzo – anche grazie alla lentezza di fruizione che lo caratterizza – a diventare memoria quasi più di un’immagine o di un video. E poi c’è quel riferimento quasi mitologico al racconto orale, alle storie che passano di bocca in bocca e che affinano l’intelligenza della narrazione.

Il design ovviamente ha i suoi podcast. La capostipite del genere è la celeberrima Debbie Millman che, nel 2005, ha inaugurato il genere con i suoi Design Matters, i primi podcast al mondo a interrogarsi sulla cultura del design e della cultura creativa in generale. Da noi, in Italia, è un fenomeno nato in sordina, in modo quasi casalingo, che poi si è raffinato e ha trovato la strada della cultura progettuale, delle aziende, dei musei.

Il podcast è ora usato per raccontare il progetto secondo una modalità che mescola il pop con il professionale, come fa da qualche anno Caffè Design (che però è quasi un programma radiofonico). Oppure viene scelto per dar voce (letteralmente) ai designer, come Parola Progetto di Paolo Ferrarini. O ancora è un ponte solido fra musei e pubblico. Si è cimentato nel genere, per esempio, Luciano Galimberti, presidente dell’ADI - Associazione per il Disegno industriale, con le sue 33 piccole’ storie di design. E due giornalisti e curatori doc come David Plaisant e Alice Rawsthorn, per la Triennale di Milano.

Basta uno sguardo veloce su questo mondo per capire che l’ingrediente per rendere un podcast un programma di successo è un mix di fattori ma soprattutto la presenza di un curatore-moderatore che sappia non solo selezionare contenuti e personaggi da interpellare, ma anche e soprattutto lasciar loro lo spazio necessario per esprimersi al meglio.

“Mi piace lasciare parlare le persone, non amo il protagonismo dei giornalisti”, spiega infatti David Plaisant (che, oltre occuparsi dei podcast per Triennale è anche collaboratore della prestigiosa testata Monocle). “Non credo che sia più necessario avere un’opinione su tutto ed esprimerla e in questo senso il podcast è un mezzo ideale: il racconto diretto è ricco, coinvolgente. La mia competenza è porre le domande giuste, entrare in una sfera che sta al confine fra il personale e il professionale, per fare emergere le parti migliori, i contenuti più interessanti”.

Perché il podcast in effetti vive nelle orecchie di chi ascolta come una chiacchiera informale e non troppo mediata dalla creatività del giornalista. Non c’è una grandissima manipolazione del linguaggio, semmai una sofisticazione dei contenuti che rende interessante il racconto grazie al montaggio, ai suoni e alle musiche.

“Il podcast ha le proprie peculiarità, come tutti gli strumenti” nota Paolo Ferrarini. “I primi esperimenti erano veramente naif: registrazioni fatte col cellulare, con rumori di fondo e nessuna regia”. Poi abbiamo imparato dagli americani che con il podcast si possono creare economie interessanti e, soprattutto, insegnare che le cose si possono fare bene anche con poco. Con un investimento minimo ci si attrezza per uno studio semi professionale in casa. “Ma per fare bene le cose ci vogliono dei progetti seri, un editing dei contenuti fatto bene che richiede tempo e competenze”, continua Ferrarini. Il segreto è il tempo: “Il podcast si ascolta in movimento, la durata ideale è venti minuti perché è il tempo che una persona media ci mette per andare al lavoro”. O a rifare i letti al mattino, se non può uscire di casa.

Ed è possibile parlare anche di design? Pare di sì, o almeno ne è convinta B&B Italia, che ha affidato a David Plaisant una serie intitolata The Couch. Un interessante esperimento di branding attraverso un contenuto audio. “Era un’idea destinata a coprire il Salone del Mobile e i numerosi designer che si raccolgono intorno all’azienda durante la design week”, spiega Plaisant. Il Salone è stato spostato causa Covid, ma il progetto è rimasto ed è diventato una piacevole presenza in tempi davvero duri per il design. Una carrellata di interviste da togliere il fiato, da ascoltare mentre si lavora o mentre ci si sposta per andare a fare la spesa sotto casa. Complice anche la scelta della lingua inglese, che ha reso possibile ascoltare designer di tutto il mondo.

Leggi anche qui: il lancio del podcast di B&B Italia The Couch nella primavera 2020

Forse il podcast potrebbe essere uno strumento per raggiungere un pubblico più ampio e più giovane? “Non voglio avere un atteggiamento condiscendente rispetto ai giovani” dice Plaisant. “Mi piace che si interessino di quello che vogliono: la cultura progettuale ha un senso per chi ha un interesse preciso nei suoi confronti. Così The Couch è un prodotto con ascolti interessanti ma non da record: credo che sia un mezzo che ha bisogno di tempo e che ha un ciclo di vita davvero lungo”. Per buona pace di chi vuole risultati immediati e un consumo istantaneo dei contenuti. “I ragazzi hanno interessi molto precisi, sono specializzati e sanno dove cercare quello che gli interessa. Non si tratta di ampliare il pubblico ma di dargli la possibilità di approfondire”.

David Plaisant lo sta facendo, con una nuova serie di podcast per la Triennale in uscita a febbraio. “Saranno delle conversazioni con professionisti internazionali di diverse discipline: un modo per cominciare a parlare dei temi della prossima Triennale del 2022”. Se non vedete l’ora di infilarvi gli auricolari e immergervi in discorsi illuminanti mentre pulite i vetri in vista della primavera, vi capiamo.

 

Foto di apertura: l'iconica lampada Twiggy nella nuova versione Wood, design Marc Sadler per Foscarini. Ph. Gianluca Vassallo.