Dal lampione sotto al quale ci rifugiamo a tarda sera alla torcia led dello smartphone siamo costantemente sottoposti a stimoli luminosi. La luce artificiale condiziona e accompagna le nostre attività quotidiane senza fare rumore e sta acquistando un ruolo sempre più centrale nello sviluppo delle città. Non soltanto da un punto di vista estetico ma anche ambientale, biologico e sociale.
Quando si parla di illuminazione pubblica, il fattore visivo occupa da sempre un tema fondamentale in termini di progettazione. “Il lampione che vediamo in strada non è altro che l’archetipo della luce dall’altro. Come un piccolo sole”, raccontano Carlo D’Alesio e Piero Santoro. Fondatori dello studio D’Alesio&Santoro, operano a Milano nel settore della progettazione illuminotecnica, ma anche in quello della fotobiologia con il nome di Meg Science, compagnia nata dall’intensa collaborazione con Design Group Italia.
La bellezza intesa come comfort visivo e la valorizzazione dell’ambiente costruito entrano di diritto nella lista delle delle funzionalità che la luce deve soddisfare. “Nel 2020 non è più un nice to have ma un valore importantissimo a livello sociale, economico e a volte anche politico. Basti pensare al waterfront di Hong Kong o a quello di Macao” continua D’Alesio. “In questi casi, la luce diventa portavoce di un potere economico, dell’avanzamento tecnologico della Nazione”. Un segno potente che inconsapevolmente entra a far parte dell’immaginario collettivo contribuendo a costruire lo statement di una città.
In questo senso è importante che chi gestisce il progetto luminoso agisca con cognizione di causa. Saper illuminare nel modo corretto un ambiente, un monumento o una piazza non è un gioco. Ancora oggi, sussiste la mancanza di una visione complessiva dei problemi nel progetto della luce. “La progettazione illuminotecnica spesso viene affidata a dei professionisti specializzati come ingegneri o addirittura ai distributori o alle aziende stesse, che hanno una visione parziale” afferma D’Alesio. “La capacità di capire il problema della luce da molti punti di vista, saper coniugare l’aspetto normativo, ingegneristico, economico, estetico è la chiave per ottenere un buon progetto”.
Nel settore illuminotecnico la grande svolta è stata segnata dall’introduzione del led che “ha cambiato il modo di sviluppare e produrre lampade e corpi illuminanti così come il modo di progettare la luce negli spazi”.
In effetti, dall’invenzione della lampadina fino a quel preciso momento storico, non ci sono stati molti avanzamenti rispetto al progetto della luce. “Il vero cambiamento è avvenuto in termini di professionalità, approccio, aspetti formali, tecnologici ed economici, con il solid state lighting che, oltre a queste innovazioni ha portato il tema del controllo elettronico immediato”.
Così, per cambiare stato di luce (acceso/spento, dimmerato, cambia colore) servono un’unità di tempo e un ingombro meccanico senza precedenti. “La luce oggi ha una velocità di interazione con l’essere umano mai vista prima” conclude D’Alesio. Con la diffusione dell’illuminazione solida è esploso anche il numero delle sorgenti luminose. In casa, in ufficio, nelle strade e nelle nostre tasche: “Tutti questi punti luce nel momento in cui diventano intelligenti creano una rete molto fitta” aggiunge Santoro. “Per questo, quando si parla di smart city capita spesso di fare riferimento alla luce e alle infrastrutture luminose come il primo passo per avere una città connessa. Per ogni punto luminoso che vediamo, esiste infatti anche un cavo elettrico a cui possiamo collegare altre funzioni, come un ripetitore wi-fi, una telecamera o dei sensori, dotandolo di intelligenza e creando la rete. Quello che sta succedendo con lo smart lighting non è che un’aggiunta di servizi e tecnologie a un’infrastruttura esistente e molto diffusa”.
Grazie all’illuminazione intelligente si apre un ventaglio di possibilità orientato soprattutto alla customizzazione. Secondo Santoro, “il vero punto di forza di questa tecnologia può essere riassunto in una parola chiave: adattività, ovvero la capacità della luce di adattarsi a qualsiasi esigenza e contesto”. E gli esempi di applicazione sono tanti. “Non solo la luce è in grado di spegnersi e accendersi all’arrivo di qualcuno, ma anche di simulare il ciclo circadiano della giornata rendendo più piacevole l’esperienza a chi passa molto tempo in un ambiente poco illuminato, come il cassiere del supermercato”. Mentre in scenari futuri “l’utilizzo della super reattività di queste tecnologie potranno servire a tracciare i movimenti dei consumatori oppure a orientare la scelta di un prodotto, migliorando o peggiorando la percezione”. Questa capacità di adattamento dell’illuminazione connessa è un vantaggio anche dal punto di vista dello sviluppo sostenibile. “Al di là di utilizzare o scegliere una sorgente che sia più efficiente energeticamente, il vero valore dell’illuminazione smart in termini di efficienza e risparmio energetico è legato alla gestione sistematica e dinamica della sorgente”.
Tuttavia siamo ancora lontani dalla realizzazione di una vera e propria smart city. Nel mercato c’è tanta confusione. “Stiamo vedendo produttori di illuminazione che fanno di tutto per aggiungere funzioni IoT alle proprie lampade e viceversa chi si occupa della tecnologia non cura l’aspetto illuminante. La verità è che a livello di massa, siamo ancora nella fase dell’early adopting”.
A fronte della pandemia, in questo ultimo periodo, oltre ai sistemi di illuminazione smart, a fare parlare molto di sé sono le recenti sperimentazioni sulla sanificazione attraverso la tecnologia UV in un’ottica di gestione e prevenzione. “Si tratta di una tecnologia che viene utilizzata da decadi soprattutto nel settore industriale e in particolare in quello agroalimentare per la sanificazione dei packaging e delle linee di produzione ma che oggi, con la pandemia in atto, si sta spostando verso un utilizzo di massa” racconta Santoro. “Ovviamente con i pro e i contro che ne conseguono perché è una tecnologia molto particolare che presenta rischi elevati per l’uomo. Deve essere gestita con cognizione di causa”.
Purtroppo non esistono ancora delle normative che ne regolamentino tutti gli aspetti legati, tanto che “molte aziende improvvisano vendendo soluzioni inefficaci e internet è già piena di prodotti a basso costo che promettono delle grandi performance. È un vero e proprio far west”.
Nonostante questi problemi, attualmente è la santificazione attraverso i raggi UV è uno degli strumenti più validi per contrastare la pandemia. “Rispetto ad altre soluzioni di tipo chimico, è molto meno impattante sull’ambiente perché non viene rilasciato nessun residuo, ma avviene come azione fisica utilizzando la radiazione luminosa”, continua Santoro. “Su questo tema c’è molto da fare e per noi che lavoriamo anche nella fotobiologia è stato quasi naturale destinare la nostra conoscenza ed esperienza in questo ambito”. Infatti, gli impieghi possono essere molti. “Abbiamo cercato di contestualizzare questa tecnologia per l’applicazione in studi medici dove c’è una forte esigenza di sanificare tra un paziente e l’altro per cercare di aumentare la soglia di protezione. E stiamo anche lavorando con un'azienda di robotica per un robot sanificante in particolari contesti”. Un tema caldo e molto delicato che nel futuro prossimo è destinato a essere sempre più presente.
In apertura e nell'articolo alcune opere di Marco Dapino, parte del progetto fotografico Ore di Città (2011-2014) che racconta la luce e le conseguenti trasformazioni cromatiche di Milano attraverso la variazione del paesaggio urbano durante l’ora crepuscolare, il passaggio dell’illuminazione da tungsteno a led e ambienti monocromi illuminati a led.