Stefan Sagmeister, Gaetano Pesce, Andrea Branzi e Sara Ricciardi sulla felicità: è il motore del buon design

“Non ci sto all’idea dell’artista creativo e sofferente” ha detto Stefan Sagmeister a Tobias Van Schneider in una recente intervista su Desk. “Quando sto male, sono triste o molto giù non mi viene niente di buono”, confessa il grande graphic designer guru dall’alto del suo curriculum (ha disegnato le copertine degli album di Lou Reed, David Byrne e dei Talking Heads, Rolling Stones e Aerosmith, ha vinto Grammy Award e oggi realizza progetti come The Happy Show o più recentemente The Happy Film, documentario dedicato alla ricerca instancabile della felicità).

Sagmeister ha una tesi fortissima sul tema della felicità che si avvale di tre regole auree + 1.

1) Cerca di non annoiarti: cambia postazione di lavoro, visione alla finestra, alterna le passioni, parti dal design e arriva alla grafica, spazia nella fotografia e nella storia dell’arte, leggiti un libro sulla botanica o sfoglia le immagini di un volume di anatomia. Non stare fermo. 2) Non allontanare a tutti costi la tristezza 3) Non rimanere nella tua comfort zone. 4) Allontana lo stereotipo dell’artista maledetto e creativo, cerca la felicità. Puoi anche non trovarla. Però, a un certo punto, magari arriva.

E in Italia? Cosa pensano i nostri grandi maestri e i nostri giovani sulla felicità?

 

Gaetano Pesce: il design deve togliere pesantezza alla vita

“Il dramma dell’artista passionario è passato. Sono la felicità e l’innovazione ad andare d’accordo”, dice Gaetano Pesce. Che confessa che quando gli capitava di incontrare Yohji Yamamoto, lo stilista giapponese perennemente vestito di nero, ci mancava poco che non facesse scaramanticamente le corna. Ci scherza ancora su l’artista e designer quando risponde con fare divertito da New York dove vive da quasi 40 anni. Per lui, maestro del radicale, classe ’39, mago del colore, ironico, anticonformista, esposto in tutto il mondo, il lavoro deve avere degli aspetti portatori di allegria e di ironia, e inevitabilmente di buonumore.

“Mi spiego”, dice. “La felicità per definizione è una condizione breve, anche l’innovazione lo è. Per entrambe c’è una immediata decadenza del momento creativo e la creatività è uno stato d’animo, un modo di essere che ci porta a diventare curiosi e innovativi. Se dovessi parlare a dei progettisti direi di non pensare solo alla funzione di quello che disegnano, ma di suggerire alla gente che esiste un modo di essere felici. Una funzione importante del progetto è togliere la pesantezza del momento. Lungi dall’essere scolastico, il design dovrebbe scoprire il significato di fare piacere, creare oggetti in grado di farci sorridere. Se portiamo allegria per 10 minuti a qualcuno è già una conquista. Per progettare il buonumore, poi, l’uso del colore è fondamentale perché porta energia, come insegna la tradizione pittorica veneta”. Esempi? La gondola veneziana è diventata nera solo dopo la peste, l’assenza di colore è sinonimo di catastrofe, manco a dirlo.

Andrea Branzi: cerchiamo di fare oggetti felici, ne abbiamo bisogno

Van Gogh si è ammazzato perché non aveva abbastanza successo, Mark Rothko perché ne aveva troppo. La vita dell’artista non è mai definibile secondo logiche predefinite. Il materiale umano è così contraddittorio che è difficile catalogarlo”. Risponde con la saggezza di chi ha ottant’anni Andrea Branzi, architetto, designer, teorico e tra i maestri nell’arte della sperimentazione. “La felicità non è una definizione facile, neanche nel design: una disciplina che si svolge con tempi e pratiche da una parte molto professionali, legate a tattiche industriali, e dall’altra vicine all’attività artistica. Non si può parlare oggi di un design definito come una disciplina razionalista: tutto questo è stato superato. Oggi è il luogo della creatività, della sperimentazione, dell’autonomia e della formazione continua, anche al di fuori del mercato”.

Ad Andrea Branzi, maestro con tre Compassi d’Oro, fondatore di Archizoom, un ruolo centrale in Alchimia e Memphis, premi e riconoscimenti, viene da chiedere come si progettano progetti felici. “Innanzitutto gli oggetti si inventano. Se uno riuscisse a fare la storia della seggiola constaterebbe che le sedie sono da quattro secoli invenzioni una diversa dall’altra. Ovviamente non c’è bisogno di una nuova sedia, ma diventa urgentissimo farla. La felicità è – per scomodare Sant’Agostino – spesso inattesa e anche inutile. L’attività culturale, artistica e creativa è correlata a questo concetto di inutilità, fondamentale nella storia umana: fare cose inutili che nessuno richiede, nessuno compra o acquista per caso. E scopre che tutto questo lo affascina, perché ci si muove perennemente in un territorio complicato e molto sfuggente, ci si muove nell’antropologia e nella natura umana. Le confesso: da tanti anni, ancora non ho capito perché faccio design, e devo dire che non lo voglio capire. Mi piace farlo, è indispensabile, mi rende felice. Non si tratta di lunghi procedimenti, ma di intuizioni che arrivano in 15 secondi, senza conoscerne esattamente l’obiettivo. Quello che conta è produrre bellezza, fare qualcosa che seduce, cercare di fare cose felici. Anche solo per un attimo”.

Sara Ricciardi: la felicità ha come presupposto l’infelicità

“La felicità ha come presupposto l’infelicità”, racconta a fine giornata Sara Ricciardi, nello stato di grazia serale post lavoro. “Sono entrambe molto preziose da ascoltare. Una continua e incessante dimensione di felicità sarebbe da stolti, mentre l’alternanza va a braccetto con il ritmo, insieme sono il contrario del monotono: il mono - tono” scandisce la designer e creativa campana, nata una trentina di anni fa a Benevento.

Formazione tra Milano, Istanbul e New York, si laurea in Product Design nel 2015 alla Naba, apre il suo studio dove realizza progetti di interior, prodotti, pezzi unici, installazioni e performance, collaborando con aziende, gallerie, musei. A marzo inaugurerà un nuovo spazio in via Palmieri. “La bellezza sta nell’articolare un’alternanza degli stati. Personalmente abbraccio molto spesso la felicità, soprattutto quando lavoro, la sento vera dentro perché c’è una ricerca costante, è un alienamento che poi ti sfugge dalle mani. È un inseguimento continuo, insomma, devo molto ‘a quelli che non amo’, per dirla con Wislawa Szymborska. Lo stato di felicità è disteso: sei sull’amaca, poi a un certo punto devi scendere. No?”.

Selezionata da Wallpaper tra i finalisti di Next Designer Generation 2018 insieme alle officine Panerai, nel 2019 diventa l'art director di La Grande Bellezza - The Dream Factory, un progetto di mecenatismo per l'alto artigianato italiano. “Il mio ideale progettuale ha una maternità di sottofondo che echeggia. Non è una creatività aggressiva che nasce dallo scontento, è continua, giornaliera, personale, intima. Per me il design è formulare messaggi che nascono sempre da un sentimento poetico, dal restare sempre in questo innamoramento costante. E poi per progettare una casa felice è necessario che le persone all’interno lo siano. Per osmosi energetica gli ambienti rispondono alle persone che li abitano”.

 

In apertura: Il Treno del Tempo di Gaetano Pesce, 2019. L'opera è stata presentata in occasione di WorkInGallery: dal 24 ottobre al 14 dicembre 2019 l'artista, designer e architetto italiano ha spostato il suo laboratorio creativo negli spazi delle gallerie Salon 94 e Salon 94 Design coinvolgendo il pubblico nel suo lavoro.