Ora che a parlare sono sempre di più i marchi (con i consumatori che rispondono sui social), qual è il ruolo di riviste e comunicatori? Chi riuscirà a depersonalizzare e rendere universale il proprio contenuto sopravviverà, dicono gli esperti

Erano tempi non sospetti: la prima volta in cui viene utilizzato il termine disintermediazione è il 1983. Non c’è la diffusione di internet, il digital marketing, i social network e tantomeno la sharing economy. L’attivista e ambientalista Paul Hawken, nel profetico libro The Next Economy, conia il termine per anticipare e definire la scomparsa delle figure intermediarie che presidiano le filiere produttive, economiche, politiche e culturali.

Inizia così una rivoluzione i cui risultati vediamo ancora oggi: via i paradigmi che sottostanno all’organizzazione dei processi di produzione, della distribuzione e dei consumi. Al bando gli ostacoli e i filtri, abbattuti i muri e azzerati i passaggi, si avvicinano produttore e utente, editore e lettore, fornitore e fruitore. In tantissimi ambiti ci si trova di fronte alla dura realtà: ma dei mediatori – giornalisti, media, agenzie, e perfino partiti politici – ce n’è poi così tanto bisogno?

Nel mondo del design, tra i primi a rispondere a questa domanda è Ettore Sottsass. L’architetto, designer, fotografo, scrittore, diventa anche editore: nella seconda metà degli anni ’60, fonda con Allen Ginsberg e Fernanda Pivano la rivista Pianeta Fresco, scrive libri illustrati, saggi teorici, inserti. Ma è con Memphis, negli anni ’80, che crea un prodotto totalmente innovatore. A casa sua, la sera, oltre a Barbara Radice, Anna Wagner, Christoph Radl – e fiumi di vino – c’è una grande energia creativa e, tra discussioni e idee, si mette a punto quella che sarebbe stata una rivista d’avanguardia.

Nasce Terrazzo, diversa da tutte le altre: ricercata, libera, al centro arte, architettura e scrittura creativa, con le fotografie di Santi Caleca e stampa di alta qualità. “Mi sono drogato con quel piacere speciale che uno può avere a stampare libri, a depositare un po’ della vita propria o di chiunque altro sulla carta stampata” scriveva a proposito “a far girare tra la gente un po’ della vita, suscitare pensieri, emozioni, odio, disprezzo, allegria, conoscenza, forse anche a trovare la propria reale posizione sul pianeta”.

Guarda qui le foto di Santi Caleca alle architetture di Aldo Rossi per Terrazzo

Non è il solo: Alessandro Mendini, con lo spirito critico e radicale che lo contraddistingue, nel ’77 fonda Modo - Rivista di Cultura del Progetto. Dopo aver diretto Casabella, diventa editore di un mensile che dura 18 anni, realizzato insieme a Valerio Castelli e Giovanni Cutolo, dedicato ad architettura, design e innovazione. L’intellettuale milanese, fondatore di Alchimia, è stato anche contributore di Ottagono, trimestrale di architettura, arredamento e industrial design, pubblicato da Editrice Compositori. Il prodotto, unico nel suo genere, nato a Bologna nel ’66 dalla collaborazione di otto brand del made in Italy – Arflex, Artemide, Bernini, Boffi, Cassina, Flos, ICF De Padova e Tecno, è stato per 50 anni – ha chiuso nel 2014 – un punto di riferimento internazionale. Marchio registrato, venduto in Europa e Stati Uniti, si definiva come ‘luogo dove nascono nuove idee, uno spazio di crescita reciproca in cui le discipline si mescolano e i punti di vista si incontrano’.

Avrei voluto realizzare una rivista mettendo insieme diverse aziende, ma il progetto è sempre naufragato» confessa Rudi Von Wedel, guru di comunicazione, marketing, trend e strategie, nel mondo del design da 30 anni. Il problema era che capitavano spesso aziende con un ego smisurato e non si riusciva mai a trovare un accordo. Nel caso di aziende editrici, tra i prodotti migliori c’è sicuramente Inventario, promossa da Foscarini ed edita da Corraini. Libro/rivista, a cadenza quadrimestrale, diretta da Beppe Finessi, parte da un presupposto fondamentale: tutto è progetto. Articoli, rubriche, interviste, novità, ibridazioni che sconfinano spesso nell’arte e nella fotografia.In quel caso l’azienda non esiste, ma comunica concetti, e lo fa molto bene. Come hanno saputo fare tante aziende, come Porro, Cappellini, Gervasoni. Oggi, invece, il racconto, o storytelling che dir si voglia, è fatto sui social: solo le aziende che riusciranno a spersonalizzare, o a rendere il proprio messaggio un po’ meno commerciale, sopravvivranno.

Dal canto loro i social media, tra tag, hashtag e selfie, hanno cambiato il rapporto tra disintermediazione digitale e nuova sfera pubblica. Con una spinta incredibile dovuta alla pandemia, hanno accorciato la filiera, favorendo un dibattito online, trasformando le piattaforme digitali in luoghi di confronto, scontro e conoscenza. Ecco quindi webserietv che raccontano in ‘pillole video’ la storia del design italiano – Design in Pigiama di Chiara Alessi nato su Twitter durante il lockdown – o profili di designer e architetti che, aldilà di suggestioni e narcisismi, provano, con ironia, a creare una discussione, come Odoardo Fioravanti con i suoi haiku sul design o Giulio Iacchetti con post curiosi e domande inaspettate. La strategia di comunicazione non cambia, il mondo della carta deve convivere con il digitale” conclude Von Wedel che offre capacità espressive che altri strumenti non offrono. Sarebbe importante uscire dai propri canoni normali e fare racconti differenti, liberi e aperti.

Per la maggior parte delle aziende, tuttavia, è il catalogo il vero prodotto di comunicazione, frutto di sforzi e melting pot di idee e notti insonni, e c’è chi ne ha fatto un’arte – Agape, AlpiantoniolupiCedit, Foscarini, PedraliPoliform, Queebo.

Leggi qui come le aziende dell'arredo comunicano in modo personale

Da nove anni per noi è un rituale scegliere la location dove ambientare gli scatti del catalogo che lancia la nuova collezione” spiega Raffaele Fabrizio, art director di DedarL’esigenza è mostrare il prodotto non finito, il tessuto, per far comprendere usi e interpretazioni, ma anche far conoscere un ambiente. La finalità è quella di creare un racconto, che parli della collezione a partire da un luogo che si fa metafora: il gioco è associare un’architettura straordinaria a prodotti straordinari. Dal brutalismo di Casa La Scala di Viganò sul lago di Garda, alla seicentesca Villa Carlotta sul lago di Como, ma anche Villa Necchi Campiglio o la Biblioteca Sormani. Estrema cura nella scelta dei dettagli tattili ed emotivi – copertina, carta, aspetti cromatici, tanti scatti. Fare il catalogo è un mestiere che abbiamo imparato nel tempo, il segreto è attorniarsi di persone in gamba, l’equipe di stylist e grafici, ma anche il fotografo Andrea Ferrari che ha saputo sviluppare un linguaggio solo nostro, anche grazie al taglio e alla luce moderna del flash.

La comunicazione è fatta di idee” spiega il fotografo Max Rommel che da 20 anni scatta brand, interior, oggetti di design sia per aziende sia per testate giornalistiche, dall’Etna, quinta scelta per Moleskine, ai camion in autostrada, set irriverenti per le lampade di FoscariniBisogna sempre trovare la possibilità di raccontare in maniera diversa, cercando stupore e immaginazione. Lo sforzo dovrebbe essere quello di lasciare un segno. A volte senti delle storie che vanno raccontate, non puoi fare qualcosa di noioso, ma dovresti fare qualcosa che la gente vorrebbe rivedere. Una, due, dieci volte. Come il video Egadi in cui Rodolfo Dordoni racconta la nuova collezione di sedute disegnata per Very Wood.

Tutti i progetti lanciati quest’anno sono stati oggetto di racconti, video tutorial, descrizioni più o meno riuscite spiega Anna Sindona, responsabile comunicazione Very WoodIl nostro pensiero è stato portare qualcosa di più, raccontare il punto di partenza grazie al quale l’oggetto ha preso forma. Abbiamo chiesto a Rodolfo Dordoni di aprirsi a un linguaggio intimo e vero, sulla nascita della sua collezione. Quest’anno ci sono stati seminari e workshop online, ma la tecnologia, senza la mediazione dell’emozione, ha svuotato una parte dell’informazione. Come azienda noi cerchiamo di fare il nostro, ma fondamentale resta il ruolo del giornalismo: l’informazione e la notizia vengono passati al pubblico solo dopo essere stati verificati e contestualizzati. Ci sono fiducia, autenticità, credibilità, solo se presentati e avallati da una terza parte – i media – che opera secondo un codice deontologico. Alla fine siamo tutti lettori, non dimentichiamocelo.

 

In apertura e sopra, Area41, il progetto di comunicazione di 41zero42, realizzato da DWA Design Studio in collaborazione con Karmachina. I prodotti ceramici dell'azienda sono stati interpretati attraverso disegni/collage con animazione multimediale: i 10 nonluoghi creati compongono – e raccontano – una storia.