Una clientela sofisticata, che riconosce la qualità. Un modo più autentico di vivere la casa: che deve far battere il cuore e non solo proiettare un’immagine pubblica di sé. Architetti, designer e distributori attivi in Cina raccontano come è cambiata la Repubblica Popolare. E perché oggi è davvero l’Eldorado per i marchi dell’arredo di design. Soprattutto italiani

“La Cina è entrata nell’era del New Normal”. Sembra un titolo da quotidianista consumato. In realtà la frase – riferita alla crescita rallentata che la Cina vive dal 2012 - è stata coniata da Xi Jinping, segretario generale del Partito. Ed è azzeccata. Perché ‘New Normal’ spiega che l’economia della Repubblica Popolare è sì più ‘slow’ (si fa per dire, siamo al +7% annuo) ma sarà costante. E rappresenta un’agognata ‘normalità’ dopo l’abbuffata degli esordi: consumi più sofisticati, pensati, diffusi e destinati a durare.

Sono ottime notizie per i produttori di arredo italiani che, infatti, hanno registrato crescite considerevoli da quando è iniziato il ‘New Normal’. Basta leggere i dati del consuntivo di Federlegno 2018. L’export del mobile italiano in Cina ha registrato, dal 2009 al 2018, un +494%. Nel 2017, la Cina è stato il settimo mercato di destinazione, con una quota del 22% sul totale. E se nel 2012 il mobile era solo il 22simo comparto del made in Italy a far breccia nella Repubblica Popolare, nel 2017 era già il 17simo. E oggi è il quarto.

Potrebbe essere solo l’inizio. Secondo un rapporto del 2018 dell’ente per lo sviluppo dell’industria cinese dell’arredo, la politica del secondo figlio, il rinnovamento delle baraccopoli e l’urbanizzazione faranno sì che, a breve, oltre 770 milioni di cittadini avranno bisogno di ripensare la propria abitazione.

Significherà più design? Secondo Claudio Feltrin, presidente di Assarredo, sì. “La Cina è il nostro settimo mercato di esportazione, con un valore di circa mezzo miliardo di euro nel 2018, ma in cinque anni potrebbe salire sul podio: i consumatori cinesi stanno dimostrando grande sensibilità e interesse per i nostri prodotti”.

Il ‘new normal’, infatti, è una nuova generazione di clienti. “La demografia è cambiata drasticamente, la platea è più ampia e l’età è scesa”, dice Sammy Ren, fondatore di Domus Tiandi, distributore in Cina di arredi e ispiratore di lifestyle contemporanei (lavora a Shanghai, Pechino e Shenzen con marchi come Poliform, Promemoria, Donghia, Baxter, Viabizzuno. È partner di Minotti per l’enorme flagship store di Shanghai aperto nel 2015). “La media oggi sono i 30-40enni: giovani colti, aggiornatissimi, non seguono acriticamente le tendenze ma sanno quello che vogliono. Amano imparare ad apprezzare il design, non venerano il marchio e il lusso”.

Questo significa anche opportunità per i brand locali di qualità. “A Shanghai e Pechino, Shenzhen e Guangzhou, il passaggio di testimone alle nuove generazioni si percepisce in una maggiore ricercatezza e attenzione verso soluzioni innovative, e in una rielaborazione di linguaggi tradizionali”, dice Gianmaria Quarta che con Michele Armando ha aperto a Shanghai, nel 2016, lo studio di architettura Q&A. “C’è una sempre maggiore attenzione verso prodotti (e idee) di qualità, e questa viene richiesta sempre più non solo in importazione, ma anche da marchi locali”.

La Cina è il nostro settimo mercato di esportazione, con un valore di circa mezzo miliardo di euro nel 2018, ma in cinque anni potrebbe salire sul podio: i consumatori cinesi stanno dimostrando grande sensibilità e interesse per i nostri prodotti. (Claudio Feltrin)"

Concorda Patricia Viel, che ha firmato il Bulgari Hotel di Shanghai e Pechino. “C’è grande appetito per le cose belle e desiderio di scegliere oggetti importanti anche per le zone intime delle case (che prima erano lasciate basiche). È un cambiamento che mostra come sia subentrato in Oriente il piacere di possedere cose che riflettono l’identità di chi le ha scelte”.

Secondo Viel oggi c’è in Cina una cultura del prodotto che prima era inesistente. “Da quando i cinesi si sono messi a praticare il design – come fornitori per i marchi internazionali – hanno iniziato a capirlo. Fino a pochissimo tempo fa, un oggetto era per loro solo una forma: tra una copia e un originale non vedevano la differenza. Ora invece colgono il senso della disciplina oltre la cultura del segno. Sanno che il design è anche qualità manifatturiera e sanno cosa vuol dire. Avere interlocutori più colti e sensibili è molto importante per i marchi di design italiani che da sempre esportano qualità. Oltre a determinare la fine dell’era della copia sfrontata. I cinesi ora vogliono design italiano che considerano ‘l’originale’, magari mescolato a pezzi cinesi di qualità. E lo apprezzano perché parla di loro come consumatori consapevoli e avanzati”.

Pure secondo Lyndon Neri e Rossana Hu (il loro studio di architettura e design lavora anche per aziende italiane come Poltrona Frau, Artemide, Agape, Molteni&C, Driade, Viabizzuno...) è un momento d’oro per il design italiano. “All’apprezzamento generico si è aggiunta una vera comprensione del valore del progetto. Mentre prima i cinesi si focalizzavano sul marchio, ora hanno più mezzi per cogliere la sua proposta in termini di contenuti. Si interessano, per esempio, al nome del designer, al suo modo di lavorare e produrre, alla sua storia professionale”.

In tema di comprensione del valore del progetto, al limite, il rischio che si corre in Cina è molto simile a quello che vive il resto del mondo. “Sempre più persone sono interessate più alle foto su instagram che alle effettive condizioni del loro spazio abitativo. Il risultato è una ricerca forsennata di oggetti decorativi per avere ‘angoli di styling’: cose inutili che poi diventano junk e danno un falso senso di domesticità”.

E' un momento d’oro per il design italiano. “All’apprezzamento generico si è aggiunta una vera comprensione del valore del progetto. Mentre prima i cinesi si focalizzavano sul marchio, ora hanno più mezzi per cogliere la sua proposta in termini di contenuti. (Lyndon Neri e Rossana Hu)"

In realtà c’è un altro rischio che al momento mina il destino del design in Cina. “L’applicazione dei dazi comincia a sortire i suoi effetti sull’economia cinese”, continua Claudio Feltrin. “Nel primo semestre 2019 la Cina ha mantenuto la sua posizione, con un valore di 290 milioni di euro e una variazione del +2,4% rispetto a gennaio-giugno 2018. La situazione però è difficile da prevedere e nei prossimi mesi potremmo osservare dei cambiamenti”.

Quello che certamente sarà difficile invertire sarà però il diffondersi di una cultura della qualità. “Abbiamo un buco, nella storia recente, che ha portato a perdere il legame millenario con la nostra identità e stile”, conclude Ren. “Ma lo abbiamo ritrovato. E i professionisti del settore hanno la responsabilità di capire il nostro vero Dna e agire responsabilmente di conseguenza”. Affinché, a prescindere dai dazi, la Cina continui a far crescere dentro di sé quella cultura del design che ha finalmente ritrovato. In questo senso, è una questione più di cultura che di cifre di fatturato.

Ha collaborato Claudia Foresti