La contrapposizione tra sostenitori e detrattori del decoro ha segnato la storia del design. Facendola crescere solo quando ha messo a confronto pensieri progettuali diversi, scevri da moralismi di sorta

Quello della decorazione è sempre stato un tema di scontri ideologici. Dietro cornicette e fiorellini, stucchi e passamanerie si nasconde infatti un acre terreno di battaglia che vede opposti da un lato i difensori del naturale istinto antropologico all’abbellimento’ e, dall’altro, i sostenitori della purezza della struttura, scevra da ogni giustapposizione posticcia.

Uno dei testi fondamentali per la storia dell’ornamento risale a più di un secolo e mezzo fa: si intitola The Grammar of Ornament e venne scritto in piena età vittoriana da Owen Jones. Si tratta di una selezione enciclopedica di ornamenti che risalgono a diverse epoche storiche e molteplici latitudini geografiche. Una sorta di compendio nato per liberare gli artisti dalla moda della copia pedissequa delle decorazioni del passato, spiegando, al contrario, le ragioni intrinseche che “rendevano un ornamento bello perché appropriato”.

Quest’ultimo aggettivo, appropriato, riporta direttamente a un altro tema legato all’ornamento, quello del decorum, concetto che in retorica determina l’adeguatezza di un soggetto a un registro narrativo. In architettura, per estensione, decorum è la rispondenza tra una tipologia di edificio e uno stile. Nella cultura occidentale, insomma, ornamento e decorazione hanno spesso avuto a che fare con un’accezione morale, laddove la pertinenza e l’appropriatezza del decorare si scontrano con l’effimero, cioè l’estetica basata sulla superflua e mondana gradevolezza.

La scure’ più celebre sulla questione è certamente rappresentata dal saggio Ornamento e delitto di Adolf Loos. Scritto nel 1908, questo testo, più noto per l’efficacissimo titolo che per il suo contenuto, è una condanna senza ricorso alle mode ornamentali dell’epoca, direttamente connesse con un malcostume morale ravvisabile, secondo l’autore, solo in civiltà poco evolute.

Possiamo considerare il saggio dell’architetto austriaco come il manifesto di una visione razionalista di liberazione dall’ornamento superfluo. Da qui in poi, per decenni, la purezza dei giunti non sarà nascosta da alcun ornamento-riparatore (spesso la decorazione serve a coprire le imprecisioni); la verità del materiale parlerà senza ricorrere a rivestimenti; la struttura degli oggetti e dell’architettura sarà palese e fieramente dichiarata.

Bisognerà aspettare l’era post-moderna per assistere alla liberazione dal purismo (puritano) del mondo funzionalista senza decorazione. Sebbene la via dell’ornamento sia stata sempre praticata, infatti, dal punto di vista della critica e della letteratura teorica sarà solo con il revisionismo al Movimento Moderno messo in atto nel secondo Dopoguerra che verranno rivalutate le ragioni psicologiche, antropologiche e storiche del diritto alla decorazione.

Grazie ad autori come Ettore Sottsass e ai gruppi Radicali degli anni ’60 la superficie diventa lo scenario di un tripudio di forme, pattern e colori che spesso modificano la struttura stessa, a volte addirittura tradendola’ e stravolgendola. Con l’avvento di nuovi materiali plastici è infatti possibile realizzare superfici che dichiaratamente imitano materie prime naturali, nel totale e spudorato artificio progettuale.

Laminati e fòrmiche, che presentano colori profondamente innaturali come quelli fluo, vengono accostati a pattern optical e superfici in finto legno, liberando la forma dai diktat dell’ascetismo modernista verso un effetto trompe l’oeil ironico e divertito. Tra fine anni ’70 e primi anni ’80 saranno gli accostamenti audaci di Memphis a creare nuovi codici visivi, insieme alla decorazione virale del puntinismo di Mendini nella Poltrona Proust, che riscopre l’oggetto banale’ e il potere della superficie come strumento di trasformazione.

Presto la decorazione diventerà anche più fisica, tridimensionale, materica. Se già Shiro Kuramata nel 1988 aveva tradotto con la sua Miss Blanche la classica tappezzeria floreale in rose sintetiche annegate direttamente nella resina acrilica, sarà con gli anni ’90 e 2000 che una nuova ondata di décor travolgerà il mondo del design con progetti nei quali ornamento e struttura si troveranno spesso a coincidere. Non più come parti in conflitto, ma come coprotagonisti della stessa scena. E non a caso molte di queste prove arriveranno da Italia e Olanda, Paesi storicamente impegnati sul fronte di un design concettuale di prossimità col mondo dell’arte contemporanea.

Hella Jongerius proporrà allora una tavola dove il ricamo non conosce soluzione di continuità tra tovaglia e piatto e un bagno dove i rivestimenti assumono un decoro funzionale grazie a finte gocce d’acqua antiscivolo. Ma sarà anche il momento di Marcel Wanders che renderà strutturali le decorazioni inutili per eccellenza – i pattern dei Bone China e i merletti della tradizione olandese – con arredi e oggetti resi magici da nuove tecnologie e materiali innovativi.

In Italia saranno i maestri di una nuova generazione a dare prove in tal senso, per esempio con Paolo Ulian, che disegna piastrelle come pagine di quaderno dove le scritte dei bagni pubblici possono trovare un ordine. O, più di recente, con Andrea Anastasio che nella lampada Filo di Foscarini porta l’ornamento delle perle muranesi nell’oggetto stesso, come componente fondamentale. Ovviamente, la via minimal della sottrazione decorativa resta ancora oggi un credo per molti progettisti.

Insomma, detrattori o sostenitori dell’ornamento sì, ma a patto che lo scontro sia sostenuto da un pensiero che renda sempre l’atto di decorare, o la sua negazione, tutt’altro che superfluo.