In seguito alla pandemia, nel passaggio da una comunicazione fisica a una sempre più digitale, si è perso qualcosa di molto importante: è venuta meno la dimensione spettacolare e l'interazione con l'ambiente. Interni ha chiesto ai comunicatori del design di raccontare come è andata e cosa succederà in futuro

La pandemia ha avuto un effetto paradossale ma prevedibile

La prima cosa che tutti abbiamo fatto quando nel febbraio scorso è diventato chiaro che il virus non era più un problema cinese, ma un’emergenza italiana, è stato comunicare. Fra persone, fra istituzioni e cittadini, fra aziende e pubblico. Una comunicazione caotica, poco progettata, con dei grossi scivoloni e delle rapide prese di coscienza e di maggiore consapevolezza. Ma quello che abbiamo fatto in modo ossessivo per rispondere alla paura e all’isolamento è stato ritornare al significato più radicale del verbo, che è “mettere in comune”.

La grande novità è stata accorgersi di quanto la comunicazione fosse già strutturata per essere digitale, e quanto contenuti e modalità fossero sofisticati e maturi per affrontare, almeno dal punto di vista professionale, le sfide del distanziamento senza grandi incertezze. Ma il design era abituato bene, soprattutto a Milano. FuoriSalone e Salone del Mobile sono stati per anni la vera e sfolgorante arena dei brand. Un teatro collettivo in cui annualmente, da decenni, andava in scena il Made in Italy, con la capacità di estendere un clima valoriale di altissimo livello a chiunque volesse cimentarsi in un evento collettivo unico al mondo. Ma il Salone quest’anno non c’è stato. E il settore si è trovato a dover gestire un vuoto impensabile. I possibili risolutori, i veri Mr. Black di questo, sono stati, e saranno anche nel futuro, i comunicatori. Interni ha chiesto loro di raccontare come è andata e cosa succederà da qui in poi.

God save the digital: questo è il claim per il futuro prossimo

“Ci siamo sentiti molto vulnerabili e in questa condizione abbiamo creato i presupposti per l’innovazione, la creatività e il cambiamento”, racconta Silvia Rizzi, founder di Share. “Ci siamo spaventati e abbiamo pensato di perdere anni di lavoro. In questa condizione ho chiesto alla mia squadra di lavorare al 200%, per far sentire la nostra presenza alle aziende e capire come potevamo essere d’aiuto. Noi comunicatori abbiamo dovuto imparare a pensare fuori dagli schemi e immaginarci come costruire contenuti e narrative in grado di vivere su piattaforme diverse da quelle consolidate”.

La risposta ovviamente è stata il digitale: in assenza di un evento fisico rimane pur sempre la sua narrazione in remoto. Conferma Evelina Bazzo, anima di Umbrella: “Abbiamo lavorato tantissimo fin dal primo lockdown, quasi una missione sia per sostenere il sistema editoriale sia per contribuire alla vitalità e presenza dei nostri clienti nei nuovi progetti digitali, subito introdotti dagli editori. Anche le aziende si sono prontamente allineate con piattaforme che hanno consentito di dialogare, presentare e creare empatia con i propri dealers, che inizialmente hanno partecipato con numeri importanti”.

Martina Gamboni, di Strategic Footprints, osserva che questa è anche un’occasione per rivedere il proprio ruolo: “Questo periodo ci ha costretti a riconsiderare l’essenza stessa dell’atto del comunicare. La comunicazione, oggi più che mai, è la disciplina i cui strumenti si sono modificati più in fretta, e continuano a farlo. Ma alla base valgono sempre gli stessi principi fondamentali: il messaggio, l'identità, la cultura, l'originalità”.

Serena Capasso di 54Words aggiunge: “Oggi la comunicazione non si può fermare: deve evolversi, adattandosi alla crisi. Soprattutto deve cambiare tono. Se per “comunicare” intendiamo «cum-sentire», allora questo diventa ancor più vero in un momento difficile. È preferibile adottare uno stile comunicativo autentico, che miri a rassicurare, e a unire”. E il digitale diventa sempre più la premessa, la condizione senza la quale l’incontro con il prodotto probabilmente non avverrà: “Il mondo del design non può prescindere dal costruire il suo rapporto con il proprio pubblico in base a linguaggi in grado di fondere tecnologia, rapporto umano e dimensione fisica, e realizzare percorsi customizzati. Si tratta di irrinunciabili azioni preparatorie all’incontro con i prodotti nella realtà”, osserva Daniele Lombardo di DigitalMind.

La pandemia ha creato uno spazio vuoto, e quindi potenzialmente un territorio di libertà per le idee. L’assenza di fiere ha determinato una maggior flessibilità nel rapporto tra creazione, produzione e presentazione dei prodotti. È una grande opportunità per i creativi."

Secondo passo verso un futuro diverso: rimanere umani

E forse diventarlo più di prima, in un processo di narrazione che, in effetti, era già iniziato. Paride Vitale sottolinea: “Su un divano bisogna sedersi, una lampada va accesa, un tessuto va toccato, un colore non può essere filtrato da uno schermo e le idee nascono spesso da uno scambio di sguardi, da un sorriso o una battuta e anche da un bicchiere di vino in più. Siamo cambiati ma restiamo umani, per cui prendiamoci il meglio della distanza ma torniamo a costruire, a modellare, a stupire ed emozionare”. Una comunità, quella del design, abituata a incontrarsi, entrare in relazione fisicamente per poter progettare case, ambienti, oggetti.

Per ritrovare quel clima nel digitale, il flusso di valori umani deve essere chiaro, diretto, misurato: “Abbiamo provato a superare la mancanza di fisicità costruendo progetti non convenzionali, qualcosa di diverso, nuovi format, in particolare in ambito video”, spiega Serafino Ruperto. “Come mai in passato, si è provato a trasmettere valori e filosofia aziendali attraverso storie autentiche, raccontate talvolta anche dai clienti stessi. Il 2020 rappresenta certamente un punto di non ritorno, anche per la comunicazione”. Dice Cinzia Roscio: “La componente emozionale e relazionale è centrale nel modo di raccontare il design e i prodotti, intesi non più come mezzi per soddisfare necessità puramente funzionali, ma per interpretare e dare forma allo stile di vita ed esprimere l’essenza di ogni persona”.

Le fa eco Giovanna Gagliardi: “L’emozionalità e la fiducia si rivelano fattori chiave, capisaldi riscontrabili nel mondo del design contemporaneo, le due grandi sfide da raccontare. Ritengo che si debbano far rivivere pienamente nei processi e nei flussi di comunicazione in cui vengono trasferiti”.

Conclude Luca Vergani, ceo di Wavemaker: “C’è però una caratteristica comune che si inizia a intravedere nelle campagne delle grandi aziende del design: il consumatore dà attenzione alle aziende valoriali. Aziende che dimostrino fattivamente di dare importanza a fattori sociali prima che a quelli economici: per esempio la riciclabilità delle materie prime, il basso impatto inquinante”. Concorda Gabriella Del Signore di Ghénos: “A mio parere tutti coloro che si occupano di comunicazione dovrebbero introdurre in maniera più incisiva la narrazione dei valori intangibili che si celano dietro i progetti, dando nuove forme alla narrazione delle aziende e forgiando una nuova corporate social responsibility”.

Rimane il dubbio di come affrontare la transizione dal fisico al digitale senza perdersi nella distanza, reale e tangibile, fra i prodotti e le persone

Secondo Nicola Lampugnani, chief creative officer di TBWA Italia: “Le persone fruiscono dei messaggi senza pensare a cosa hanno davanti. I podcast sono una forma di storytelling estremamente analogica. Non bisogna interagire, ma questo li rende uno strumento caldo, stimolano la fantasia. Permettono ugualmente di creare contenuti raccontando un oggetto, un prodotto, per farlo diventare parte della vita quotidiana”. Ma aggiunge: “Il secondo lockdown ha dimostrato come la gente abbia il forte desiderio di interazione e scambio. Quando tutto sarà finito si tornerà alla presenza, con un enorme rimbalzo, ma i contenuti continueranno a esserci perché ormai fanno parte del nostro mondo”. Rimane difficile capire quali sono le differenze tra un contenuto pubblicitario e un contenuto strategico, quando la comunicazione diventa così narrativa. “l contenuti, al contrario della pubblicità che lavora sulle interruzioni, operano sulla fluidità, mostrano come il prodotto interagisca con la vita e mette l’uomo al centro della storia”, sostiene Lampugnani. “Le app degli allenamenti sportivi o le scuole di cucina online, per esempio, raccontano qualcosa che innesca un immediato scambio con il consumatore. Il contenuto è l’evoluzione, più sofisticata, di un tutorial. Esprime la parte più emotiva, espande la potenzialità dei prodotti illustrandone ogni aspetto, cosa che difficilmente si può fare, per mancanza di tempo, nella pubblicità”. Con gli stessi toni interviene anche Francesca Noseda, di M&C Saatchi PR: “Il digitale, l’elaborazione 3D, il cinema ci permettono di creare spazi in cui far vivere le collezioni, rendendole fruibili sempre e ovunque: è ora di abbattere i confini, di sperimentare, di enfatizzare al massimo lo storytelling. Affidando la presentazione dei prodotti a questi strumenti, i designer, gli imprenditori, i manager dei brand potranno concentrarsi sulla relazione individuale con i giornalisti e gli operatori del settore, offrendo un’esperienza phygital – inedita e totalizzante – dei valori di marca”.

La grande novità è stata accorgersi di quanto la comunicazione fosse già strutturata per essere digitale, e quanto contenuti e modalità fossero sofisticati e maturi per affrontare, almeno dal punto di vista professionale, le sfide del distanziamento senza grandi incertezze. "

Il futuro è (anche) fisico

Nessuno, già lo sappiamo, si accontenterà di sedersi su un divano per guardare un video, però. Per qualche ragione il design è un mondo davvero molto bisognoso di contatto umano. Forse perché la cultura italiana è affettiva, melodrammatica a volte. O forse perché essere di nuovo vicini sarà il segnale per ricominciare a pensare a un futuro un po’ più vasto. Ma è certo che tutti stanno aspettando di tornare a incontrarsi. Livia Grandi e Marina Zanetta di Agence 14 Septembre dicono: “I rapporti, gli incontri e gli scambi ‘in presenza’ sono fondamentali e irrinunciabili. La comunicazione attraverso il digitale può essere un'opportunità che non dobbiamo lasciarci sfuggire per innescare un dialogo davvero interculturale con i diversi professionisti nel mondo del progetto, e non solo in Italia”.

Aggiunge Monica Re: “Nel passaggio da una comunicazione fisica a una sempre più digitale, si perde qualcosa di molto importante: viene meno la dimensione spettacolare e l'interazione con l'ambiente, principio su cui alla fine si basa il FuoriSalone. Ma non bisogna demonizzare il piano digitale, creando una rivalità fra i linguaggi. Comprendere come raccontare il design oggi, interrogandoci, può davvero nobilitare il design a una filosofia di vita”.

Aggiunge Gabriella Di Rosa di Image Building: “Per i nostri clienti nel settore del design abbiamo realizzato alcuni progetti alternativi alla comunicazione usuale, concepiti per condividere idee, emozioni e valori anche e soprattutto in modo digitale”. E chiosa Stefano Citterio di MCS & Partners: “Ci sono dettagli, come i materiali e le finiture, in particolare in un settore dove il fatto a mano e i processi di lavorazione artigianale sono il vero valore aggiunto delle aziende italiane, che non possono essere trasmessi e comunicati digitalmente”.

Quindi torneremo ad abbracciarci?

Probabilmente sì, ma con l’obiettivo anche di capire meglio come e cosa comunicare. E magari guardare il design in un modo nuovo, anche come servizio, come opportunità per ricostruire. Nemo Monti sostiene che: “la pandemia ha creato uno spazio vuoto, e quindi potenzialmente un territorio di libertà per le idee. L’assenza di fiere ha determinato una maggior flessibilità nel rapporto tra creazione, produzione e presentazione dei prodotti. È una grande opportunità per i creativi: per ridisegnare le relazioni, i tempi e i modi con cui i brand si raccontano al mercato”.

E aggiunge Giuseppe Gismondi di Alam: “Dall’attuale situazione il design, anche attraverso la sua comunicazione digitale, emergerà con una più energica e consapevole carica identitaria, che farà parte integrante delle sue applicazioni future, senza, però, rinunciare al rapporto con il proprio fruitore, che non si può dire completo senza l’esperienza diretta e sensoriale”.

Infine Rudi Von Wedel, con l’occhio di chi guarda al futuro con tranquillità: “Deve cambiare tutto perché niente cambi, diceva Tancredi nel Gattopardo. Ora abbiamo la sensazione di essere di fronte a mutamenti epocali nella comunicazione, ma in realtà quelli che sono cambiati, o per meglio dire hanno avuto una incredibile accelerazione, sono gli strumenti, non i contenuti. Strumenti che tutti gli attori stavano già implementando, vuoi per la possibilità di accedere a un pubblico più vasto, vuoi perché comunque in quella direzione si stava muovendo tutto il mondo”. E conclude: “Tutto questo a mio avviso deve e può essere fatto in accordo, con l’aiuto e la partecipazione della distribuzione: sono i negozi che fungeranno da ambasciatori fisici della comunicazione. Questo è il vero punto rivoluzionario, la vera scommessa e il vero grande cambiamento che il nostro settore dovrà affrontare, affinché i nuovi strumenti siano efficaci con tutti gli stakeholder”.