Non l’abbiamo certo inventato durante il lockdown. Ma, durante il confinamento, il fai-da-te è ripartito con un entusiasmo e una creatività inaspettate e diffusissime. È il sogno di Enzo Mari del 1974 – restituire un potere operativo alle persone comuni – diventato realtà nel momento del bisogno

Autoprogettazione’ è il titolo di una call for action lanciata da Toni Merola, Nicola Pellegrini e Bianca Trevisan con Galleria Milano, che durante il confinamento ha domandato a 70 artisti di progettare delle “istruzioni d’artista per realizzare un’opera a casa propria”. Un omaggio a Proposta per un’autoprogettazione, la mostra del 1974, ospitata proprio dalla Galleria Milano, in cui Enzo Mari delineò in modo radicale la polemica contro un mercato che appiattiva la capacità critica delle persone. In quella mostra, che sostanzialmente era un originale manuale d’istruzioni in scala 1:1 per dei mobili semplici e facilmente realizzabili, Mari cercava di restituire un potere operativo alle persone comuni. L’autonomia di un fare sinonimo di libertà. “Ognuno di noi progetta ogni giorno, quando è obbligato a prendere delle decisioni, anche quelle apparentemente banali” scrive il designer in “25 modi per piantare un chiodo”. E continua: “L’umanità si è evoluta progettando ciò che le era essenziale, dall’amigdala agli strumenti per accendere il fuoco, alle strutture del linguaggio”.

Saper fare significa libertà

Mari indicava una realtà semplice: l’uomo è creativo. E ne indicava una forse meno ovvia: la creatività è gratificante, ci fa sentire forti, capaci, individui compiuti. E, soprattutto, liberi. E se la ricaduta, perlomeno nelle prime ore della crisi del Coronavirus, è stata un’endemica mancanza di lievito nei banchi frigo dei supermercati, molto rapidamente qualcosa si è mosso in direzioni diverse. Mettendo in discussione pratiche e abitudine di fruizione del progetto e dell’arte che nessuno discuteva da tempo. Ed è un dibattito a cui, inaspettatamente, tutti sono stati invitati a partecipare. L’arte e il design hanno cominciato a lanciare segnali inaspettati. Come quando da bambini si diceva: “Vuoi giocare con me? Ti spiego come si fa”.

Cominciamo dalle mascherine

Tutto è cominciato dai dispositivi di protezione, naturalmente. Giulio Iacchetti ad aprile pubblica un tutorial per uno schermo in acetato da fissare agli occhiali. Il designer fa la scelta più semplice e efficace per rendere fruibile il progetto: lo posta su Facebook. Più o meno contemporaneamente lo stesso tema è affrontato da Studio Pastina, con un tutorial per una mascherina fai-da-te che aggiunge anche il dato formale. Aria è oggettivamente un manufatto con dei pregi estetici, realizzato con materiali tecnici facilmente reperibili in casa. Poco importa che il tutorial suggerisca di smembrare una giacca The North Face: a marzo è impossibile trovare una mascherina in una farmacia. La priorità è acquisire una nuova autoderminazione, forse ingenuamente autarchica, ma capace di sollevarci dalla sensazione di impotenza e fragilità.

Fare da soli per partecipare

Sul tema mascherine naturalmente arrivano anche gli americani, a ristabilire dei primati da tutorial DIY: mascherine fatte con calze, con magliette, con bustine del tè, con filtri per il caffè. Tutto in massimo dieci minuti di lavoro. L’autoprogettazione perde lustro culturale e ideologico, ma guadagna pragmatismo. E, in ogni caso, alcuni tutorial sono dei capolavori di infografica e di graphic design: due temi che il Covid ha costretto a riesaminare con attenzione.

È la risposta al desiderio di essere presenti alla crisi, di entrare in una dialettica costruttiva e, soprattutto, personale. Mai come in questi mesi è stato chiaro quanto sia importante dare umanità alla cura, ai temi della sanità e della malattia. Mai come in questo periodo il progetto è chiamato a rispondere con strumenti simbolici. La designer tessile islandese Ýrúrarí l’ha fatto con un'operazione da guerrilla knitter, trasformando le mascherine in opere da gran guignol.

L’arte è di nuovo collettiva

L'arte contemporanea si è mossa istintivamente in un solco molto simile. L'obiettivo, più o meno consapevole, è quello di rendere partecipe il pubblico, di attivarlo, chiamarlo all'azione. I social sono diventati luoghi d’arte, grazie a una  mobilitazione che, dopo molto tempo, ha riaperto un dialogo collaborativo con le persone.

Palazzo Grassi, ad esempio, ha reagito al lockdown con un’operazione trasversale. I Workshop per tutti hanno coinvolto illustratori, designer e architetti nel disegnare dei percorsi aperti, che invitano all’esplorazione di processi e strumenti della creatività. Che però rivelano una volontà di esporsi – e non di esporre – nel momento della crisi. Indicazioni minimali, che sfociano nell'esplorazione dell’ordinario, e che sottolineano il bisogno di essere capaci di produrre, anche arte e progetto, in modo autonomo.

Il catalogo del mondo per inventare il futuro

Anche questa non è certo una novità: il visionario Stewart Brand dal 1968 al 1972 pubblicò regolarmente il Whole Earth Catalogue, una pubblicazione a metà strada fra rivista e catalogo di vendita, che raccoglieva approfondimenti sulla controcultura off-grid ante litteram. I criteri di selezione erano semplici e, ancora una volta, destinati a supportare l’autoproduzione intelligente. Strumenti utili, adatti a sviluppare autonomia, di alta qualità e/o basso costo, non main stream e inviabili via posta. Un lavoro, quello di Brand, che oggi trova analogie nel bisogno di autoprodurre e autoprogettare, anche visioni e soluzioni per scenari futuri. È l’invito di Tools for After, un laboratorio di idee per quello che verrà dopo la pandemia, aperto a chiunque voglia cimentarsi in progetti che sfidano il presente.

Gli uccelli del paradiso di Enzo Mari

Anni fa, in una dichiarazione rilasciata durante una Design Week, Enzo Mari spiegava che gli esseri umani e, i designer in particolare, sono simili agli uccelli del paradiso. Piccole creature che costruiscono complesse architetture bellissime per sedurre le compagne. Usano le cose che trovano intorno a sé: pietruzze colorate, resti vegetali, sabbie tropicali. E le loro composizioni sono dei capolavori. Ma se vivessero dentro pollai intensivi, le loro costruzioni sarebbero fatte col guano. In fondo il Coronavirus ha imposto, a tutti, di cercare le pietruzze più colorate rimaste intorno a noi. E di riprenderci il potere di progettare, ripartendo dalla base, dalle necessità immediate, trasformandole, di tanto in tanto, in meraviglia.


 

In apertura, Banksy, Grannies, 2006. Serigrafia a colori su carta (79/150). Ph. Artrust SA. Nell'ambito di Wopart - Work on Paper Fair 2017, Fiera internazionale d’arte dedicata alle opere su carta al Centro Esposizioni Lugano.