Materiali bio frutto di una lunga sperimentazione trovano impiego nelle sfide urbane più impegnative: come in un progetto di ricucitura tra mare e città, divisi da mezzo secolo di edilizia. Un approccio di ricerca che l'Italia mostrerà al mondo a Expo Dubai 2020

In certe partite ci si gioca tutto in un metro e venti. Tanto basta a rendere invisibile la bellezza e a mascherarla con il caos. Prendiamo Cattolica e il suo Lungomare di Levante, un pezzo di storia italiana incastonato tra due geografie diverse che qui trovano il punto d’incontro: l’inizio della Pianura Padana e la fine dell’Appennino, il tramonto sull’Adriatico e la mano dell’uomo che, dalla fine dell’Ottocento, inizia a punteggiare la spiaggia delle prime capanne di legno, gli stabilimenti balneari che, il secolo dopo, sarebbero diventati, con il Boom economico, una delle mete predilette della villeggiatura lungo la Riviera Romagnola, a sua volta diventato un altro mito italiano del benessere.

Qualcosa, però, con lo sviluppo si guasta: seconde case, alberghi e pensioni iniziano a colonizzare la riviera spaccando in due l’ecosistema, sia quello naturale sia quello urbano: “Da un lato il mondo della spiaggia che fiorisce solo d’estate, fatto di sole, natura, sabbia, intriso di vita e vociare di turisti e animato da quella varietà di persone che hanno reso la Riviera Romagnola famosa in Italia e Oltralpe creandone uno stereotipo di vita spensierata”, racconta Amleto Picerno Ceraso di Medaarch, lo studio di architettura che sta riprogettando il Lungomare Levante, “dall’altra parte il modello di città che è cresciuta nell’offerta di ospitalità ma non nelle infrastrutture a servizio di questa. Un modello urbano travolto dal boom delle seconde case che non ha mai trovato il tempo per ripensarsi dal profondo passando da un make up all’altro di piazze, strade e alberghi”.

Due mondi, spiega l’architetto, divisi da appena un metro e venti centimetri, “ovvero la quota che separa la passeggiata del lungomare Rasi-Spinelli dalla zona dei bagni che danno accesso alla spiaggia. Una differenza altimetrica piccola ma emblematica nella sua spaccatura. Una cesoia che da un lato non permette una vista piena dell’orizzonte e dall’altro non permette alla natura di essere presente e primeggiare sulla città”.

È allora che un progetto di architettura diventa, mezzo secolo dopo, l’occasione e la chiave per ricucire le ferite e provare a riconquistare l’equilibrio perduto, nel solco di una lunga tradizione italiana che unisce design, etica e, da ultimo, sostenibilità. “L’idea è di creare un ecosistema di transizione, un diaframma dove i due mondi separati tornino a dialogare a volte proponendo argomenti naturali a volte creando affacci artificiali per godere del più bel tramonto sull'Adriatico. Una negoziazione tra sistemi complessi, naturale e antropico, digitale e sostenibile, innovativo e slow, che Medaarch cerca di immettere in tutti i suoi progetti e che qui serve a far riparlare due parti della città che non dialogano più”.

La sfida di Medaarch per Cattolica è tanto più esemplare perché diventa l’occasione per iniettare tecnologia e sostenibilità in un progetto che potrebbe diventare il pilota di operazioni omologhe lungo tutto l’Adriatico. Come farà il Padiglione Italia al prossimo Expo 2020 Dubai su progetto di Carlo Ratti, Italo Rota, Matteo Gatto e F&M Ingegneria e con il concept design di Davide Rampello, nato per essere un racconto delle infinite possibilità che i nuovi materiali sostenibili offrono ormai al design e all’architettura e che non chiedono altro che di essere impiegati.

Così, uno dei materiali più interessanti scelti per il nuovo Lungomare è composto da farina di legno grezzo e da una componente plastica poliolefinica ed ecologica: “Il GreenWood che rivestirà parte della passeggiata a quota spiaggia e gli accessi alla stessa dà grandi vantaggi” spiega Picerno Ceraso, “non si degrada velocemente come il legno ed è utilizzato sempre più spesso in progetti dall’impronta ecologica molto bassa. Allo stesso modo, abbiamo previsto l’uso di materiali bio sperimentati all’interno di Biologic, il primo bio fablab del sud Italia promosso da Medaarch e dalla Knowledge4 Business che sta mettendo a punto un materiale completamente ecosostenibile da impiegare nell’architettura e nel design per la realizzazione di forniture o di rivestimenti bio. Skobyskin, la no-cellulosa batterica prodotta da processi di fermentazione degli scarti della filiera agrifood e vitivinicola, è un biofilm facilmente indirizzabile nella crescita e nella forma”.

Questa tecnologia ha alle spalle due anni di ricerca ed è puramente biologica, perché ricorre a un processo metabolico di microorganismi. “L’obiettivo”, spiega l’architetto “è il cambio di paradigma del sistema di produzione manifatturiero: ancora adesso lavoriamo e assembliamo le componenti, per esempio, di una sedia. D’ora in poi le faremo crescere, facendo loro assumere forme e caratteristiche progettate da designer e biologi”. Il risultato sarà visibile in questo progetto che ridà senso al waterfront e lo organizza come una piazza vivibile per tutti, cittadini e turisti, con aree per lo sport e il benessere. Da vivere come mezzo secolo fa.