C’è una generazione di designer che saggia i confini etici e le possibilità creative dell’AI, con lo sguardo disincantato di chi pensa che sia una commodity fuori dall’ordinario

Intelligenza umana e intelligenza artificiale. Il punto di incontro è la creatività, quella competenza biologica che spinge l’astronauta a staccare i fili del super computer per riaffermare la propria libertà di scelta. O che, in una prospettiva più collaborativa e pragmatica, a guardare con disincanto una commodity molto evoluta, per farne uno strumento utile o, perlomeno, comprensibile.

È la scelta dei nuovi designer, dove per nuovo non si intende solo “giovane” ma si configura una diversa tipologia di professionisti che usano il design deliberatamente in ogni ambito umano e non umano.

AI ed etica: il diritto di difendersi

Rachele Didero, 28 anni, fashion designer diplomata al PoliDesign di Milano, nel 2019 è al Fashion Institute of Technology di New York e lì intuisce che mettere insieme computer science e moda consente di affrontare un tema molto caldo: l’etica dell’utilizzo dei dati. Nella maggior parte dei paesi occidentali esistono norme che proteggono la privacy delle persone. Leggi che vengono applicate in modo formale, ad esempio chiedendo ossessivamente agli utenti di accettare i cookie ogni volta che si naviga un sito.

Si ignora invece il costante utilizzo di telecamere per videosorveglianza che intercettano volti a cui non è difficile dare un’identità grazie all’intelligenza artificiale. Rachele Didero capisce che l’argomento ha un peso: nessuno si occupa di comprendere cosa succede dei nostri dati biometrici e qual è il loro uso in ambito commerciale, il loro valore economico. Ma la AI ha delle pecche, delle falle, delle ingenuità meccaniche. Le immagini stampate sugli abiti possono facilmente confonderla, rendendo impossibile il riconoscimento.

“Si chiamano “immagini avversarie” e sono uno dei problemi non risolti della computer science. L’intelligenza artificiale non cataloga in base alla memoria visiva e all’esperienza, al contrario degli esseri umani. Analizza invece l’insieme di pixel e gli dà un significato”.

Le stampe astratte di Cap_able, la start-up fondata da Didero insieme al Politecnico di Milano nel 2021, spingono i programmi di riconoscimento facciale a catalogare chi le indossa come "animale", ad esempio.

Combinando questa fragilità intrinseca a studi sulle volumetrie umane e sui tessuti, nasce la prima collezione anti riconoscimento testata su YOLO, il più avanzato sistema di riconoscimento in tempo reale di oggetti.

La collezione Cap_able è battezzata Manifesto. “L’intenzione è innanzi tutto sensibilizzare le persone al problema dell’uso improprio dei dati biometrici. I dati sono la più grande risorsa economica: Cap_able affronta la questione della privacy, aprendo la discussione sull’importanza della protezione dall’uso improprio delle telecamere di riconoscimento biometrico”.

Da un punto di vista più pragmatico il brevetto dell’adversial textile, in co-proprietà con il Politecnico di Milano, si traduce in collaborazioni con individui e aziende che hanno bisogno di proteggere marchi, identità e nuovi prodotti.

GenAI e creatività: sono due cose diverse

Gaetano Di Dio ha studiato Fashion Design Politecnico di Milano e Graphic Design allo IED. Esperienza formativa in Accenture e infine la nascita di Parallelia, insieme al socio Augusto D’Auria. La creative agency nasce per sfruttare l’intelligenza artificiale per ridefinire i flussi di lavoro utilizzando strumenti di AI. E fornire contenuti professionali di alta qualità nella metà del tempo e, va sottolineato, anche dei costi.

Di Dio parla della sua creatura con entusiasmo contagioso: “La figura del creative technologist non è ancora molto diffusa, ma lo sarà sempre di più. Lavora al confine fra creatività e computer science e per spiegare cosa fa davvero è più utile un esempio pratico: ultimamente abbiamo sviluppato un look book per un marchio di moda senza avere ancora i capi fisici.

Abbiamo vestito un modello generato dall’AI con la nuova collezione, in un set capace di esprimere il mood della stagione. A cosa serve? A darsi più possibilità espressive risparmiando giorni di lavoro, eliminando i problemi logistici e semplificando i flussi di produzione dei contenuti”.

L’entusiasmo di Gaetano Di Dio è direttamente proporzionale al timore di veder sparire figure professionali e risorse umane. È chiaro che esiste la preoccupazione etica, e il lavoro del creative technologist è anche quello di migliorare gli asset generativi all’interno dei processi industriali senza devastare il settore della comunicazione in tempi brevi.

Ma il cambiamento è già in atto e non si torna indietro: “Recentemente ho discusso del tema con il ceo di un’agenzia internazionale. Mi ha ricordato che l’avvento di Photoshop ha creato lo stesso tipo di resistenza, e oggi è la base del lavoro di qualsiasi fotografo. Alleggerire e migliorare i flussi di lavoro umano non significa rinunciare alla competenza creativa, ma in realtà darle nuovi strumenti e possibilità”.

Nuovi asset AI e rispetto delle persone

Oggi il focus di Parallelia è duplice. Da una parte comprendere quali parti dei tanti servizi possibili verticalizzare. Dall’altra sviluppare software di GenAI che i clienti possano utilizzare in autonomia per accelerare e rendere meno oneroso il processo di creazione dei contenuti. In sintesi è come Di Dio stesse dicendo che un catalogo di superfici ceramiche con molte referenze non rappresenta una sfida creativa, ma economica e di grande pazienza.

L’AI per ogni pavimento può creare il set più adatto, l’interior design più espressivo, magari anche la figura umana con il giusto outfit. Il prodotto è reale, la sua comunicazione è un fake funzionale. “La precisione e la verosimiglianza sono sempre più raffinate. Il prossimo passo è la creazione di contenuti video, di immagini dinamiche con prodotti reali inseriti in contesti generati”.

L’arte, l’impegno e l’AI

E poi naturalmente c’è il design che interseca l’impegno civile e l’arte, usando l’intelligenza artificiale nella sua funzione di lettore e riorganizzatore di dati. Irene Stracuzzi, diplomata alla Design Academy di Eindhoven e al Politecnico di Torino, è una grafica e information designer affascinata dalla cartografia. Partendo dai confini contesi nell'Oceano Artico, il suo interesse si è ampliato fino a comprendere il contesto giuridico, la raccolta dati, la politica di confine, le risorse naturali e il cambiamento climatico.

Un rigoroso processo di ricerca che coinvolge indagini storiche, scientifiche e tecnologiche e una forte etica sull'uso responsabile dei dati. L’obiettivo è rivelare l'influenza che il design ha nella rappresentazione dell'ordine mondiale, nonché la necessità di un approccio più attento e informato.

Una prospettiva condivisa da Giacomo Nanni, designer italiano di stanza a Berlino. Il data visualization nel suo lavoro ha quasi inevitabilmente lo scopo di denunciare realtà che sono sotto gli occhi di tutti, ma rimangono nascoste a causa dell’ampiezza dei fenomeni. L’Atlas of Perpetaul Slavery è un’indagine in cui sono le immagini a descrivere il fenomeno del caporalato in Italia nella sua dimensione più realistica, mettendo in evidenza le piccole ma ravvicinatissime zone agricole in cui i lavoratori stranieri, benché necessari, lavorano in condizioni non protette.

Numerosi i progetti di visualizzazione dati, ma anche esperimenti sull’interazione uomo/macchina nel contesto del web, indagini sulla conoscenza del coding nell’ambito del design. Lo sguardo di Nanni sul mondo è traslato in ambito digitale o editoriale per mettere in luce, grazie alla tecnologia, disforie, anacronismi, ingiustizie.

Questo articolo è stato ispirato dalla ricerca “35 Designer, Under 35” realizzata da Fondazione Symbola in collaborazione con ADI per mappare il futuro del design raccontato attraverso il lavoro e l’innovazione di 35 giovani progettisti italiani.