“Campo di Marte” è uno spazio immaginario dove la realtà è guidata dalla fantasia. Qui le singole opere per un momento abbandonano la loro identità specifica e diventano materia prima per una coreografia in cui si prestano ad associazioni e accostamenti continui”, prosegue Lo Pinto. Non esiste pertanto soluzione di continuità tra i vasi disegnati per Bitossi, i quadri a olio che hanno gli oggetti come soggetto, i disegni che entrano nei demoni interiori, le piastrelle per Mutina o le sculture astratte di legno che escono dal piano bidimensionale delle pareti per giocare con lo spazio attraverso le ombre. Tutto è reso in quella che lei stessa ha definito una sinfonia silenziosa, dove la presenza delle opere è in equilibrio col vuoto, col bianco della pagina parietale e con il nero dell’assenza, perché la pausa nella partitura musicale è un silenzio che vale quanto una nota. In questo ritmo il pattern è centrale, la decorazione ritrova il senso che le fu proprio in tempi di rapporto naturale tra l’uomo e le cose, quello del codice e del messaggio.