Ispirato dal fotoromanzo che ha realizzato per Interni (lo trovate sul numero di aprile), l'artista, fotografo e regista sardo ha girato un cortometraggio che ne riprende la storia: con finale a sorpresa...

Il Bacio è un cortometraggio, ma anche un fotoromanzo. Si, un fotoromanzo.

Quando Interni Magazine mi ha chiesto di fotografare alcune sedute per il numero d’Aprile, mi sono domandato come tutto questo potesse tradursi in qualcosa di più del semplice esercizio formale di costruire un immaginario, inquadrare, illuminare e dare dignità visiva a quegli oggetti.

Mi è tornata in mente mia zia che, quand’ero bambino ogni mi teneva d’occhio e capitava che, per tenermi d’occhio mi trascinasse ovunque dovesse andare.

Mi è tornata in mente sotto il casco, dal parrucchiere, nei primi anni ’80 della provincia di Napoli, che leggeva i fotoromanzi Lancio. Mia zia era una donna rigida ma sotto il casco, diventava vulnerabile, sorridente, quasi cosciente d’avere un corpo, un’identità, una possibilità d’essere altro.

Insomma, quella memoria mi ha costretto a scrivere, ovviamente portando in quella forma narrativa i miei temi, e conclusa la scrittura ho voluto con tutte le mie forze produrre la medesima storia in chiave cinematografica.

La storia non posso anticiparla qui, se vedrete il corto, o leggerete il fotoromanzo, capirete che se lo facessi vi avrei tolto la gioia di capire dove vanno a parare quelle parole, i movimenti, la luce. Ma certo una riflessione su cosa significhino gli oggetti con cui scegliamo di vivere, invece, mi pare rilevante. (segue sotto)

 

Siamo abituati, dico noi che produciamo immagini attorno al design, ad immaginare le sedute, la luce, gli specchi, le librerie, come cose a disposizione degli uomini e, dunque, a magnificarne la forma, la materia, l’uso. Ma esiste un piano più sensibile nel quale mi piace pensare che gli oggetti possano essere calati e cioè le nostre storie perché che piaccia o meno ai designer, alle aziende, agli studiosi della forma, gli oggetti sono fondamentalmente testimoni della nostra esistenza.

Leggi anche: Le case che siamo (e che non siamo più)

I libri che leggiamo, le conversazioni, la musica che abita la nostra aria, i piedi, le ascelle, il culo, tutto, tutto di noi interagisce con loro, lasciando una traccia del nostro sentire, del nostro dolore, della nostra grazia.

Certo, compriamo e portiamo a casa gli oggetti perché ci piace la loro forma, la materia di cui sono fatti, la funzione che assolvono ma iniziamo ad amarli quando iniziano a farsi testimoni del nostro quotidiano, testimoni del fatto che esistiamo davvero. Ciascuno come può, ognuno con gli oggetti che sceglie. Mia zia Diana, a 80 anni circa, quando il suo parrucchiere ha chiuso bottega, ha comprato il casco sotto il quale, da giovane, era felice. E ora è felice ogni giorno.

Arredi presenti nel film:
Filo
Uto
— Foscarini

Nessuno (Specchio)
Tonie (Madia)
Blue e Cristal (Tavolini)
— Bam Design