Dalle logiche scomposte della concezione postmodernista nasce un nuovo linguaggio del design che sembra disarticolare gli oggetti con nitore e precisione: non per esprimere incoerenza, ma per raccontare il bisogno di una diffusa chiarificazione concettuale

Sia nell’arte che nel design sono due i principali modi di concepire il senso estetico delle cose. Il primo modo, detto ‘figurativo’ in ambito artistico e ‘rappresentativo’ nel mondo del design, si basa sulla capacità dell’oggetto di raffigurare, o rappresentare, qualcos’altro da sé.

È il caso dei dipinti di paesaggi naturali o di soggetti umani, ovvero degli arredi ornamentali decorati con motivi figurativi.

L’altro modo, detto ‘astratto’ in arte e ‘conformativo’ nel design, considera la qualità estetica come una proprietà intrinseca dell’oggetto, sia che si tratti di quadri astratti come quelli di Kandinskij che dei pezzi di design del movimento moderno.

La dicotomia tra questi due modi, che ha definito la cultura del progetto fin dalle sue origini, si è poi ulteriormente complicata nell’ultimo quarto di secolo scorso con l’irruzione sulla scena del postmoderno, che ha impresso una inedita curvatura alla concezione conformativa, rimuovendola dalla sua tradizionale base razionalista per avviarla lungo inaspettati percorsi espressivi, fino a lambire la dimensione metafisica con i mobili totemici di Sottsass.

Se da un lato è vero che la concezione conformativa resta quella più usata nel prodotto d’arredo, dall’altro è dalle logiche scomposte della concezione postmodernista che nascono alcune delle soluzioni estetiche più interessanti.

Soprattutto sanno trovare il punto esatto in cui fermare la scissione concettuale del prodotto senza comprometterne le prestazioni d’uso.

È questa la sfida progettuale vinta da oggetti come l’appendiabiti a parete Ad Hook di Mathias Hahn e il tavolino Totem di Axel Chay, snodati nel disimpegno ma limpidi nella definizione.

L’aspetto più interessante di questi prodotti sta proprio nella loro capacità di far saltare, ma senza fragore, la gabbia razionalista, favorendo la circolazione del pensiero e di una coerenza fluida diversa da quella, ferma e rigida, del movimento moderno.

Gestendolo con perizia, questo approccio può portare a gioielli di logica destrutturata come il tavolino Plane di Jamie McLellan e la lampada Fulcrum di Cheshire Architects per Resident, le cui forme, pur disassemblate, non presentano un aspetto frammentario. N

on siamo qui, infatti, di fronte alle schegge divergenti di un quadro cubista, in cui la diffrazione dell’immagine rispecchiava la generale disgregazione dell’ordine mondiale.

Questi corpi oggettuali sono disegnati con nitore, i dettagli scolpiti con morbida precisione, a trasmettere un senso non di dispersione ma di pulizia – non l’annodarsi dei punti di vista ma la dissoluzione dei nodi, lo scioglimento delle tensioni che tenevano insieme le vecchie strutture razionaliste.

Si veda in tal senso l’opera scultorea di Helen Vergouwen, in cui la forma pare disporsi lungo una sua sana slogatura aperta e rilassata.

Ancorché rappresentare la complessità del mondo contemporaneo, questi oggetti rispondono piuttosto al bisogno urgente di fare chiarezza, di ripristinare la solenne semplicità del loro essere ‘cose’ contrapposte alle ‘non-cose’ fluide e impalpabili teorizzate da Byung-Chul Han.

Sono ‘cose’ in tal senso i tavolini Cutout di Millim Studio e Two Sides of Solitude di Quinlan Osborne, presenze ricavate da un ideale taglio che ne ha rimosso la controparte in tensione liberandone l’intrinseco senso di apertura.

E lo sono i corpi rappacificati dello storage box di Chris Liljenberg Halstrøm e della panca Hemlock prodotta da Industry West, così come del divano Moon di Raphael Navot, mono-blocchi derivati da una precedente, ideale disarticolazione che ha disteso il concetto di prodotto, non per rispecchiare la dispersione del mondo ma per contribuire a ripulirla.

Approntando non una sintesi hegeliana degli opposti ma una ‘pax aestheticae’ in cui le contraddizioni della realtà appaiono improvvisamente rischiarate e, quindi, appianate.

Cover photo: Il tavolino Two Sides of Solitude, realizzato da Quinlan Osborn di Claste Collection interamente in marmo come parte della collezione Tension, cambia aspetto a seconda del punto di vista. Promosso dalla galleria Les Ateliers Courbet di New York. Ph. Claste Collection.