Con la lampada To-Tie per Flos, Guglielmo Poletti porta a maturazione il proprio metodo progettuale, costruendo un prodotto interamente incardinato sulla sua stessa necessità strutturale, destinato a resistere al fluttuare delle mode e della smaterializzazione

Gli oggetti stanno sparendo. Come negli anni Novanta i non-luoghi prendevano il posto dei luoghi, secondo la felice intuizione di Marc Augé, così oggi le non-cose, nota il filosofo Byung-chul Han, stanno prendendo il posto delle cose. Gli oggetti che vediamo, su cui agiamo e che manipoliamo sono cioè sempre più delle apparizioni virtuali, delle aleatorie nubi di dati che si aggregano per il solo tempo di far apparire un’immagine, o un NFT, sparendo non appena sullo schermo viene visualizzato qualcos’altro. Ciò ha sicuramente un suo fascino, e permette inoltre una customizzazione dell’esperienza utente senza precedenti. Ma la sempre più spinta evanescenza delle cose sta minando la nostra fiducia nella realtà. Il cervello umano si è infatti evoluto per “capire” il mondo attraverso la sua lettura sensoriale, che ha nella solidità della percezione fisica la più “dura” linea di resistenza. Venendo meno questa, viene meno la collaudata “risonanza” tra le funzioni cognitive e gli stimoli sensoriali che le sollecitano, con conseguente incremento di dissonanza cognitiva e, quindi di instabilità psicologica, che si traduce in sottili e diffusi stati d’ansia.

Una nudità strutturale

In un simile contesto, lo sforzo di individuare dei punti di equilibrio da collocare nel panorama quotidiano assume un ruolo quasi terapeutico, provvedendo a una funzione di ancoraggio cognitivo che “tiene il punto” in mezzo ai flussi di sembianze incorporee che fluttuano nervose dove un tempo stanziavano le cose. Viene da qui il valore per il mondo di oggi di un progetto come la lampada To-Tie di Guglielmo Poletti per Flos, semplice e necessaria come il punto di equilibrio definito dalle leggi della fisica, la cui pulizia formale, precisa Poletti, “non è semplice nudità ma nudità strutturale”, nel senso che la composizione non deriva da un arbitrio espressivo ma da un lungo processo di distillazione, iniziato anni fa con il tavolino Equilibrium, che tuttavia, continua Poletti, presenta una somiglianza solo parziale con To-Tie. “Se è vero che ci sono modi diversi di mettere insieme un cavo e un cilindro, [nel caso della lampada] la luce ha tolto quell’arbitrarietà che ancora c’era nel tavolino, in quanto il cavo, oltre che struttura, ha la funzione di portare elettricità, e la barra, oltre che giunzione, è anche maniglia. Non c’è un solo elemento fuori posto, un solo componente che si sarebbe potuto pensare diversamente”. Sta in ciò la maturità di quest’ultimo progetto rispetto alla precedente prova giovanile, in questa sorta di surdeterminazione degli elementi che rinforza, e quindi stabilizza, la necessità strutturale dell’oggetto.

Un'intima necessità strutturale

Quasi come se in esso non ci fosse (anche se di fatto c’è) un’intenzione umana. La filosofia della matematica dibatte da tempo sulla natura dei numeri e degli altri concetti matematici, se siano essi un linguaggio artificiale costruito dall’uomo (alcuni concetti matematici sembrano esserlo) o di una struttura logica soggiacente alla realtà che i matematici si limitano a scoprire (altri concetti sembrano resistere a ogni tentativo di ulteriore riduzione). Una analoga dicotomia si può rinvenire anche per le forme oggettuali modellate sulla loro intima necessità strutturale, approccio che dai Castiglioni a Mari ha sempre abitato (ma non esaurito) la cultura del progetto.

La verità dell'oggetto

Cercare di individuare la relazione topologica fondamentale tra elementi semplici non ulteriormente scomponibili quali cavo, barra, cilindro, vuol dire andare alla ricerca della verità dell’oggetto, indicando una possibile risposta alla domanda se sia più “vera” una forma espressiva che veicola sensazioni umane o una composizione definita dal rispetto profondo, fino all’abnegazione del soggetto, della volontà priva di volere dell’oggetto.