Da una nuova coscienza civica alla riscoperta delle culture materiali e locali in una dimensione post-globale. Quattro critici del design – Aric Chen, Beatrice Galilee, Mariana Pestana e Marco Sammicheli – sulla trasformazione in atto nel settore

Beatrice Galilee

La società progetta e costruisce i suoi valori; progetta e costruisce a sua immagine. Per apportare modifiche, dobbiamo iniziare affrontando quei valori. E il design non è disconnesso da questo processo”. Con quest’affermazione Beatrice Galilee, curatrice, critica e consulente culturale di stanza a New York, fondatrice e direttrice esecutiva della piattaforma culturale The World Around, sottolinea quanto il design, o l’assenza di esso, abbia comunque un impatto sul quotidiano.

“La pandemia mi ha fatto riflettere sulla nozione di ‘Noi’: i nostri corpi stavano tutti affrontando la stessa combinazione di una sconosciuta e contagiosa serie di proteine, ma queste possono essere più pericolose a seconda dello stato socio-economico, dell’etnia e delle condizioni ambientali, di vita e di lavoro delle persone. Persino a seconda del partito politico che le governa. Tuttavia, mi ha fatto riflettere anche sul valore della collaborazione: la determinazione e il pensiero condiviso che portano allo sviluppo del vaccino”.

Quali sono i segnali di un cambiamento di paradigma nella disciplina del design? “Assistiamo a un rinnovata ricerca nella comprensione della cultura materiale di un luogo. Forse in risposta ai molti anni di atteggiamenti ‘top-down’ in architettura, in cui un singolo designer dall’immagine iconica si assume la responsabilità della creazione di luoghi, invece di ricorrere ad architetti che coinvolgano le comunità locali, comprendendo le tradizioni costruttive o rispondendo consapevolmente a condizioni specifiche. C’è un nuovo movimento vernacolare che raccoglie l’impressionante sensibilità di architetti come Joar Nango, Sumayya Vally, Cave Bureau e Communal and Ensemble, che si rifanno alle culture e comunità indigene, al mondo naturale per un progetto più etico ed empatico. In termini di cambio di paradigma disciplinare, mi piace ricordare Liam Young e il suo uso dell’immaginazione e della fiction per ripensare radicalmente lo spazio. Ma anche il lavoro di Feral Atlas per la capacità di tracciare connessioni vivide, creative e convincenti fra l’intreccio delle forze del capitale e la crisi umanitaria, ambientale e politica in cui il Pianeta è immerso proprio adesso”.

Marco Sammicheli

Gli ambiti di utilità del design si sono estesi alla felice pervasività della disciplina”, esordisce Marco Sammicheli, curatore per il settore Design, moda e artigianato della Triennale Milano. “L’atto di progettare con criteri, coscienza civica e competenza rappresenta la forma più nobile e durevole del design. Quando la si applica alla vita quotidiana le sue funzioni combaciano coi bisogni, con le speranze, in una dimensione temporale che dilata il presente nel futuro. Il design è un atto creatore di relazioni, avvicina persone, traduce sentimenti, interpreta materiali, abilita situazioni, riduce handicap. Per questo si è finalmente emancipato dallo stile. La coscienza politica è un agire tipico del design, anche italiano. A distanza di anni, Autoprogettazione di Enzo Mari del 1974, i cui diritti per gli arredi sono stati concessi a un’associazione che tutela i diritti dei rifugiati, e Reliquaries di Paola Bay e Armando Bruno per la XXII Esposizione Internazionale di Triennale Milano promuovono l’importanza delle pratiche creative nel generare consapevolezza, soddisfare bisogni e imprimere una sollecitazione su stringenti questioni come quella migratoria o quella del cambiamento climatico”.

Quale consapevolezza o cambiamento ha invece indotto la pandemia? “Mi auguro che abbia portato soprattutto a una maggiore coscienza delle proprie azioni. La prolungata sospensione di molte attività fondamentali ci deve educare a comportamenti che restituiscono azioni necessarie. La pandemia ci sta insegnando che alcune rinunce collettive e personali aprono scenari inediti dove il nuovo è in parte antico, precedente”. L’attuale situazione ci ha portato anche a riscoprire la dimensione locale. “Nutro qualche sospetto nei confronti di molti designer che guardano alle tradizioni artigiane con un atteggiamento predatorio. La grande storia dell’artigianato italiano va rispettata. Io credo nel potere del contesto, nell’immaginario che crea, nella frequenza ideativa su cui potersi sintonizzare. Penso sia riduttivo e disonesto vivere le culture locali come database a disposizione. Questa ricchezza italiana va dosata, rispettata e inserita in percorsi formativi utili a tramandare metodi. Una volta messo in sicurezza il metodo, si potrà immaginare una nuova catena del valore”.

Mariana Pestana

“‘Progettare per più di uno’ è una pratica che considera non solo l’utente immediato, ma anche la complessità dell’impatto del progetto: dai paesaggi e gli ecosistemi interessati dall’estrazione dei materiali e dai rifiuti, alle condizioni di lavoro inerenti alle reti e ai processi di produzione”. Così Mariana Pestana – architetto e curatrice indipendente, membro del collettivo interdisciplinare The Decorators, volto a programmi culturali in ambito pubblico, e curatrice della V Biennale di Design di Istanbul – introduce la questione sistemica del design e l’imprescindibile tema ecologico alla base di ogni scelta.

“Pur sapendo che stiamo vivendo una crisi ecologica, siamo diventati immuni ai dati, alle statistiche e ai numeri. Dobbiamo quindi puntare su un aspetto più empatico: portare emozioni, affetti, cura e affinità nell’equazione del design, per rivalutare i nostri processi e obiettivi progettuali, in modo che possa beneficiarne non solo il contesto immediato ma anche la miriade di luoghi, materie e specie che indirettamente ne sono influenzati”. La pandemia ci ha fatto rivalutare il rapporto con la dimensione locale. “Ma allo stesso tempo ha rivelato come questo locale sia intimamente connesso a molti altri in modo globalizzato. Ci ha dimostrato che gli effetti dello ‘sviluppo’ umano, come l’erosione dei territori selvaggi, hanno prodotto uno squilibrio ecologico. D’ora in poi dobbiamo intendere il locale come qualcosa di cosmico, dove micro e macro realtà sono connesse e adiacenti.

Mi interessa come il design possa essere uno strumento di mediazione, anche nella percezione del mondo. Nella V Biennale abbiamo mostrato un progetto di Calum Bowden che porta nelle profondità della Terra, spostandosi tra le prospettive umane, batteriche, geologiche e macchiniche per svelare i misteri scientifici degli estremofili. All’interno delle installazioni site specific New Civic Rituals, abbiamo cercato punti di vista alternativi: dal mondo guardato con gli occhi dell’intelligenza artificiale agli orti dal punto di vista dei microrganismi. Tutti questi progetti hanno richiesto un profondo processo di ricerca che coinvolge designer, scienziati e informatici”.

Aric Chen

Abbiamo bisogno di un ripensamento totale su come facciamo praticamente tutto”, esordisce Aric Chen, curatore di architettura e design di stanza a Shanghai e direttore curatoriale della fiera Design Miami. “Il design deve essere sia umile che audace: umile per riconoscere i nostri limiti e la necessità di collaborazione; audace per attuare la capacità di immaginare e speculare su futuri possibili, mettendo in discussione dai nostri sistemi e ideologie alle nostre visioni del mondo, in un momento in cui sembra che capitalismo, globalizzazione ed ecosistemi stiano crollando. La pandemia, rallentando tutto, ha di fatto accelerato le cose. Vivendo in Cina, noto che ciò si manifesta in una crescente enfasi sull’autosufficienza economica e tecnologica, spinta ovviamente dalla guerra commerciale con gli Stati Uniti. E si manifesta anche nella sfera creativa con un’attenzione di pubblico e mercato sul design locale. Il fatto che qui la vita sia relativamente ‘normale’ ci porta in un universo parallelo rispetto alle altre parti del mondo. E questo sta generando una condizione ‘post-globale’”.

C’è quindi l’accentuarsi dell’interesse verso la dimensione locale? “Locale e globale agiranno allo stesso tempo, ma con logiche diverse. Nel design, da un lato le reti globali continueranno ad avere influenza, dall’altro vedremo svilupparsi una pluralità di voci, criteri e ricerche. Non ci sarà più una centralità euro-americana e una periferia, ma ognuno sarà al (proprio) centro e alla periferia (di qualcun altro)”. Quali progetti esprimono un cambio di paradigma nel design? “Il nuovo sito web di Formafantasma con Studio Blanco è stato disegnato per ridurre al minimo il consumo di energia, perché anche l’immaterialità del web ha un ‘carbon footprint’. E si inserisce nel lavoro più ampio di ricerca e ripensamento dei sistemi di produzione e consumo. Oppure, l’applicazione dell’intelligenza artificiale alla generazione di contenuti digitali, proposta dalla società tecnologica cinese Tezign. Mostrando che, con la creazione di elementi quali banner pubblicitari o visual per e-commerce, i designer possono concentrarsi su ambiti più importanti”.