Amica di lunga data dei Fratelli Campana, a fianco del marito Massimo, Cristina Morozzi ricorda Fernando Campana nel giorno della sua scomparsa

La prima notizia del 17 novembre 2022 è stato l’annuncio della morte, la sera del 16 alle ore 20.00 a San Paolo in Brasile, di Fernando Campana.

Con le lacrime agli occhi, perché il mio rapporto con i fratelli Campana è sempre stato di grande amicizia (Fernando, il più giovane, che ci ha lasciato a soli 61 anni, mi chiamava la sua sorella italiana) ho subito scritto un messaggio a Humberto che mi ha risposto, confermando il legame che unisce la famiglia Morozzi ai fratelli Campana: "voi siete la nostra famiglia in Italia, ti ringrazio per tutte le cose belle e divertenti che abbiamo vissuto insieme ai Morozzi".

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La storia inizia con un libro: 50 chairs Innovation in Design and Materials di Mel Byars (1996).

Massimo lo acquistò a La Hune di Parigi. Gli bastò, come sempre, una rapida occhiata per capire che c’era del buono. L’occhio gli cadde subito su quella sedia di corda annodata dei fratelli brasiliani Fernando e Humberto Campana.

Decise che Edra, di cui era art director, la doveva produrre. Procuratosi il contatto, grazie a Maria Helena Estrada, pioniera del giornalismo di design a San Paolo, chiamò lo studio Campana.

Da quella telefonata, quasi perentoria, ha origine una delle storie più interessanti del design contemporaneo.

I pezzi dei due fratelli sono sempre delle cover stories e riescono a conquistare tutti: pubblico generico, collezionisti e critici severi, concordi nel riconoscere ai fratelli brasiliani un talento speciale, un dono che forse viene loro dal Brasile, un paese giovane, di appena cinquecento anni, all’inizio della sua parabola, quando il nostro a volte sembra essere alla fine della propria (ibidem).

L’identità del design dipende dal punto di vista. Chi guarda il mondo alla rovescia vede le cose in modo diverso.

Fernando e Humberto restano intimamente legati alla loro terra, alla sua condizione di povertà, alla sua speranza di ricchezza, alla sua folle inventiva. È dalla mancanza di strutture che nascono le loro opere, sublimazione di quell’arte di arrangiarsi che è ragione di sussistenza.

E l’arte si precisa, progressivamente, come obiettivo della loro ricerca. C’è un episodio, legato al mio rapporto fraterno con Fernando e Humberto, che conferma questa loro vocazione.

Il 14 agosto del 2017, mentre ero in vacanza a Monterosso in Liguria, ricevetti da Fernando su what’s app una serie d’immagini, titolata Macacos y Robots, volti di scimmie disegnati a penna con rara minuzia, in cornici dorate, costituite da patchwork di fregi diversi, recuperati da esemplari antichi e piccole sculture di robot, senza una parola di spiegazione.

Rimasi folgorata. Compresi che, al di là di qualsiasi lettura piscologica, quella serie di opere annunciava la volontà di Fernando di accreditarsi ufficialmente come artista.