Dal 15 al 23 aprile una mostra celebra le tre decadi del collettivo che ha rivoluzionato il modo di fare design. A raccontarcela, in anteprima, Richard Hutten e Maria Cristina Didero

Era il 1993 quando per la prima volta un gruppo di giovani designer olandesi radunati sotto il nome Droog irrompeva al FuoriSalone di Milano.

I loro progetti erano diretti, essenziali - da qui il nome Droog, asciutto in olandese - e con una potente forza comunicativa parlavano di sostenibilità, quando ancora non era un termine alla moda, e si facevano carico di tematiche politiche e sociali.

Le immagini usate per illustrare questo articolo sono tratte dal libro XXX-Y 30 anni di FuoriSalone a cura di Interni (ed Electa Mondadori).

A distanza di trent’anni esatti dal loro debutto a Milano, dal 15 al 23 aprile, una mostra alla Triennale - Droog30 - celebra il collettivo che ha rivoluzionato il modo di fare e intendere il design.

Richard Hutten, uno dei fondatori del movimento, e MariaCristina Didero, curatrice dell’esposizione, ci raccontano in anteprima cosa vedremo in Triennale e perché Droog ha ancora molto da dire.

Droog30 è un’esposizione itinerante che dopo la Triennale approderà a maggio al Nieuwe Instituut di Rotterdam.

Com’è nata l'idea di questa mostra?

Richard Hutten: “Sono molto entusiasta di questa mostra, sarà sicuramente una pietra miliare.

Maria Cristina Didero è una mia cara amica, due o forse tre anni fa mi ha detto che voleva organizzare un’esposizione su Droog, e abbiamo così deciso di farla nel 2023, per celebrarne i trent'anni. Tutto è iniziato a Milano tre decadi fa, quindi adesso è il momento perfetto per festeggiare questo anniversario”.

Maria Cristina Didero: “Droog in realtà è stato fondato prima del 1993, ma abbiamo voluto prendere la cruciale presentazione di Droog in via Cerva durante il FuoriSalone 1993 come un espediente narrativo per costruire questa esposizione.

Quella del FuoriSalone di trent’anni fa non è stata la prima mostra di Droog, ma è stata la prima volta in cui questo gruppo di designer olandesi è venuto a Milano, e si è fatto conoscere dal pubblico internazionale.

Il 1993 è stato l'anno del loro successo, e anche l’anno in cui è stato scelto il nome Droog”.

Per realizzare questa mostra state raccogliendo testimonianze e ricordi su Droog attraverso i social.

Richard Hutten: “Droog è nato trent’anni fa, allora il mondo era diverso, non c'era internet, le persone non avevano telefoni cellulari, nessun social media, per comunicare si scrivevano le lettere, in un certo senso era l'età della pietra.

Anche la Design Week era diversa, c’era una grande fiera dell’arredamento e in città solo un paio di aziende che aprivano i loro showroom.

In questo panorama totalmente differente, c'era un gruppo di giovani designer olandesi che lavoravano relativamente isolati ma accomunati da un atteggiamento simile.

Quello che stiamo facendo è il crowdsourcing di opinioni, aneddoti, stiamo raccogliendo sui social qualsiasi testimonianza da chiunque, secondo un processo molto democratico, proprio come Droog ha cercato di rendere il design accessibile a tutti”.

Cosa state scoprendo dalle risposte del pubblico postate su Instagram e Twitter?

Richard Hutten: “Stiamo ancora raccogliendo le risposte e le opinioni, quindi il processo è un work-in-progress. Ne abbiamo già ricevute di interessanti e personali.

Ad esempio i giornalisti ci hanno scritto: "Droog mi ha ispirato a diventare un giornalista che scrive di design".

Ci sono molte storie legate a Droog e vogliamo raccoglierle e vedere quanto forte sia stata la sua influenza in passato e, si spera, lo sia ancora oggi”.

Cosa vedremo in mostra in Triennale?

Maria Cristina Didero: “Il layout della mostra è stato ovviamente curato da Richard Hutten. Tra gli oggetti avremo Cross, tavolo e panca a forma di croce progettato da Richard Hutten, che comunica precisi pensieri politici, sociali e religiosi.

Inoltre, in mostra ci sarà un film originale realizzato per l’occasione con molte interviste ai membri più importanti di Droog che raccontano i loro pensieri, la loro storia, la loro esperienza, ma anche cosa sia effettivamente Droog oggi, perché il progetto vuole guardare anche al presente. Sarà un take fresco e imprevedibile su Droog”.

Richard Hutten: “Tutti i pavimenti e le pareti saranno ricoperti con i messaggi su Droog che stiamo raccogliendo sui social, graficamente rappresentati come 'un social media analogico' perché i post saranno stampati su carta e messi a muro, un po’ per alludere in modo giocoso al fatto che trent’anni fa non esisteva internet.

Per selezionare gli oggetti ci stiamo basando sulle preferenze espresse dal pubblico sui social.

I commenti stampati ci serviranno anche a creare degli approfondimenti sui singoli pezzi, per riflettere se i nostri progetti sono ancora rilevanti e qual è l'influenza di Droog oggi”.

Trent’anni dopo, perché Droog è ancora influente e punto di riferimento per i giovani designer?

Maria Cristina Didero: “Droog è rilevante perché ha creato un nuovo corso. Con Richard ho scoperto che durante la loro avventura ogni membro ha chiamato Droog in un modo diverso, movimento, gruppo, piattaforma, collettivo, che è un aspetto positivo perché c'è una molteplicità di voci e di interconnessioni.

Gli studenti oggi possono relazionarsi sicuramente con Droog, ovviamente in modo diverso rispetto al passato perché oggi i pezzi Droog sono diventati una sorta di icone, fanno parte delle più importanti collezioni permanenti dei musei in tutto il mondo.

Inoltre, è cambiato anche il contesto storico: per esempio, quando è stata presentata per la prima volta la Rag chair (la seduta di Tejo Remy del 1991 formata da un accumulo di stracci, ndr) probabilmente oggi sarebbe recepita in modo diverso rispetto al passato.

Possiamo dire che Renny Ramakers ha effettivamente teorizzato il movimento Droog mentre si stava affermando”.

Richard Hutten: “Quando abbiamo iniziato nel 1993, abbiamo mostrato fin da subito una mentalità diversa e un approccio differente al design.

Fino ad allora, il design riguardava la forma, lo stile, con Droog abbiamo aggiunto strati di concetti e di idee, che possono essere la sostenibilità, le questioni sociali, abbiamo fatto cose completamente diverse da ciò che è stato fatto prima, eravamo totalmente dirompenti perché abbiamo usato termini oggi largamente utilizzati ma che non esistevano a quel tempo.

A ottobre ho assistito alle lauree della Design Academy di Eindhoven, ormai non vedi quasi più il design come oggetto per la produzione di massa, ma narrazione e idee.

E questo perché trent’anni fa questo folle gruppo di giovani designer - i Droog - ha ampliato il campo del design e il ruolo dei designer, andando oltre al creare solo forme”