Il designer è anche uno scenografo, da sempre. Oggi ancora di più

Quella fra design e scenografia è una vecchia storia.

Ce lo dimentichiamo perché l’avvento dei social ha smosso, dopo un primo entusiasmo, una serie di domande sulla prepotenza dell’immagine estetizzata, sulla ricerca di una perfezione progettata e irreale.

Ma la visione del progettista non è solo funzionale a un obiettivo industriale. È fatta al contrario di un insieme organico, totalizzante, in cui il significato di spazi e oggetti si sovrappone in un racconto unico.

Come dire che disegnando una lampada si pensa immediatamente a dove vivrà.

E viceversa progettando gli interni di un luogo, il designer inevitabilmente 'vede' anche ciò che conterrà. È un processo intrinseco alla qualità umanistica della professione, che parte sempre da un io narrante.

Scenografie e design: una lunga storia

Lo si vede già nei progetti dei Castiglioni: nel 1960 Piergiacomo e Achille disegnano la birreria Splugen-Brau, per la quale progettano anche la lampada omonima, tutt’ora in produzione. Una lampada a sospensione che rilegge l’anatomia tipologica in chiave industriale, senza ignorare la sua iconografia più classica.

Esattamente come accadde per l’ideazione di quello che oggi chiameremo flag-ship store di Splugen-Brau.

In quell’ambiente si restava inevitabilmente impigliati nel racconto del brand, nella sua naturale vicinanza con materiali, forme e tipicità geografiche. Ma la rilettura è contemporanea: una stübe urbana che riflette la cultura milanese dell’epoca. Insomma: una scenografia.

I social hanno esasperato la tendenza a estetizzare il racconto del designer?

I social sono fatti di immagini, soprattutto: semmai hanno cambiato la rappresentazione del progetto, a volte confondendo le acque.

Un bella immagine minimizza i difetti, coglie il dettaglio impeccabile, può trasformare un racconto debole in una poesia emozionante. E, nel peggiore dei casi, sostituirsi al contenuto.

È il lavoro di una certa pratica fotografica, ed è sempre esistito. Semmai quello che è cambiato è il modo di costruire il progetto di interior, che è tornato forzatamente a usare codici e segni pressoché universalmente invisi al design 'puro'.

Cristina Celestino e il colore

Il colore, ad esempio. È un grande ritorno e non è scontato avere una sicura sensibilità cromatica.

Cristina Celestino ne ha fatto spesso una bandiera nei propri progetti, insieme a un talento spiccato per la creazione di spazi seducenti, in cui la sola inquietudine è l'idea di dover uscire prima o poi da un’impeccabile scenografia di toni caldi, delicati, che circondano forme del passato e riletture contemporanee di stilemi d’antan.

È un mondo, quello che progetta Cristina Celestino ogni volta. Caldo, rassicurante, avvolgente. L’effetto wow è assicurato, ma è anche questo il mestiere del design e lo dimostra ogni anno l’investimento di risorse economiche e creative nella Design Week di Milano.

Lo spazio come teatro di Noa*

Il network di architetti Noa* non si allontana da questa cornice rassicurante, ma usa un linguaggio sincretico, che suggerisce chiaramente l’ibridazione fra segni contemporanei e memoria. Linee essenziali, materiali caldi, sono illuminati da luci a contrasto per creare atmosfere teatrali.

La scenografia in questo caso entra nel progetto per sottolineare il passaggio dal mondo ordinario a uno spazio intimo, riflessivo.

La preoccupazione di Noa* è la noia: l’architettura come forma stabile, sempre uguale a se stessa. Una condizione superata dalla volontà di sperimentare senza paura strumenti scenografici, materiali non ordinari e discrete presenze naturali.

La scenografia dell’incontro

Gabriele Chiave, per anni direttore creativo dello studio di Marcel Wanders, ha assorbito l’attitudine cosmopolita e scanzonata del designer olandese.

Uno dei lavori più rappresentativi è una lounge per l’aeroporto di Schiphol, Amsterdam. In un non luogo per eccellenza è stato ricostruito un salotto dalle luci soffuse, in un’atmosfera protetta e riposante che dissolve la sensazione del non-luogo.

Gabriele Chiave è cresciuto in una famiglia di diplomatici e ha girato il mondo prima di fermarsi per fare il designer. Nel suo caso l’elemento scenografico è focalizzato alla socialità intesa nel suo senso più ampio. La possibilità di entrare e uscire, di transitare, non significa impersonalità ma incontro fra esseri umani.