Una visita nel lab del brand che porta il nome del grande maestro scomparso: dove il suo team continua a inventare la luce

Ad accogliere chi arriva davanti alla porta dello showroom di Ingo Maurer a Monaco, nella Kaiserstrasse, c’è un enorme cilindro trasparente. Alto circa 3 metri, largo mezzo, è pieno di acqua quasi fino all’orlo. Un’elica, posizionata nella parte bassa, agita il liquido azzurro generando un vortice conico che spinge lo sguardo verso l’alto dove galleggia una boa luminosa.

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Potrebbe essere l’enorme ampolla di un alchimista. O il flacone di un gigante farmacista che sperimenta con la formaldeide. In ogni caso, non stonerebbe nel set di Povere Creature o di un film di Tim Burton…

Progettare la luce a partire dal carattere

Curiosità, domande, straniamento, voli di fantasia, tuffi nell’immaginario cinematografico: sarebbe felice lui, Ingo Maurer, di sapere quanto i suoi oggetti agitano il cuore e il cervello di chi li contempla.

Per il grande artista e designer della luce, scomparso nel 2019, ogni progetto è infatti sempre stato prima di tutto un soggetto: una personalità da costruire con il suo team, che si affina e continua a rigenerarsi anche quando lascia la bottega, attraverso lo sguardo di chi osserva.

A 5 anni di distanza dalla morte del maestro, niente è cambiato nel modo di progettare della Ingo Maurer, intesa come azienda e brand: dal 2022 controllata da Foscarini ma, creativamente parlando, guidata da Axel Schmid che del maestro è stato il braccio destro per decenni.

Niente è cambiato, si diceva.

Infatti quando Schmid o uno dei suoi parlano di un’opera di luce, la prima parola che pronunciano è ‘carattere’. Un termine importato dalla narrativa e non dal lighting design. Come se stessero discutendo di romanzi, scenografie o fiabe e non di lampade.

Cosa vuol dire dare un carattere a una luce?

“Delle nostre lampade ci interessa prima di tutto carattere”, dice Axel Schmid.

“Ognuna è un canovaccio, l’incipit di una storia che va completata da chi la installa, la usa, la osserva: di notte ma anche di giorno. La tecnologia c’è, laddove serve. Facciamo tanta ricerca e sviluppo ma non ci interessa mostrarla. Siamo stati tra i primi a usare le alogene, a programmare creativamente i LED, a sperimentare con tessuti e superfici luminosi: ma la tecnologia rimane uno strumento per dare forma alla personalità di quel materiale immateriale che è la luce”.

In showroom colpisce una lampada che sembra nata per trasformarci in burattinai, per spingerci a muovere le sue quinte girevoli e led magnetici per vedere cosa succede sul palcoscenico (si chiama Kamishibai, come il teatrino giapponese di strada). E un’altra, che si chiama Reality: è un guscio (vero!) di un uovo, tagliato in lunghezza da un lato e con dentro un led attaccato a un filo, da appendere come una mini-sospensione. Sembra fatto per farci prendere cura delle bellezze fragili che ci circondano.

Per vedere tutte le lampade, guarda il Reel

C’è ovviamente l’iconico Zettel’z, che Ingo Maurer voleva fosse co-progettato da chi lo acquista (tant’è che viene consegnato con un set di fogli bianchi, su cui disegnare). Ci sono le candele a led OneNewFlame (progettate con Moritz Waldemeyer, con le fiammelle dalle forme random generate da un algoritmo che si auto-genera) e quelle di cera da appendere al soffitto (grazie a sottilissimo filo di metallo rimangono come sospese nel vuoto).

Dal metro a nastro luminoso (che si sposta dentro e fuori uno snodo che lo tiene ancorato al muro, autobloccandosi come un metro da cantiere) alla lampada col cavo infinito (da usare per lasciare firme nello spazio, che si chiama Signature) le lampade di Ingo Maurer sembrano tutte fatte per coinvolgerci, scuotere le nostre certezze, costringerci a farci domande.

Che siano simpatiche, ironiche, misteriose oppure aggressive o scontrose, sono sempre opere squisitamente aperte e non finite: perché per completarle serve l’attenzione e il coinvolgimento di chi le usa.

La luce di Ingo Maurer dopo Ingo Maurer

Nello showroom di Monaco, tante lampade sono nate dopo la morte di Ingo Maurer ma è difficile capire quali.

Come fa il team a portare avanti senza soluzione di continuità l’approccio del Maestro?

“In realtà è semplice perché il nostro è sempre stato un laboratorio di co-progettazione e ricerca condivisa”, spiega Axel Schmid.

Al contrario di quanto accade di solito, però, non si parte da un workshop per generare le idee ma da un’intuizione che può venire a chiunque e il team arriva dopo, ad aggiustare il tiro.

“Qualcuno ha un’idea, pensa a un carattere da dare alla luce: pop, aggressiva, sorprendente, calmante… E inizia a progettare. Quando ha qualche prop in mano inizia il confronto con gli altri, che porta sguardi diversi sul tema: spesso arrivando a un risultato lontanissimo da quello che ci aspettava alla partenza. Lavoravamo così con Ingo e continuiamo a così ora”.

È un modus operandi lontanissimo da quello delle aziende della luce: il cui punto di partenza è sempre, inevitabilmente, la funzione che la lampada deve avere (sospensione, tavolo, terra, decorativa, architetturale, in o outdoor) e la quantità della luce che deve emettere (atmosfera, task lamp, segnapassi etc).

Ed è un approccio che quasi spiazza nell’era del tutto programmato, del marketing costruito sui Big Data, dell’intelligenza artificiale predittiva.

“Ecco il progetto che porteremo al FuoriSalone 2024”, dice Schmid mentre ci accompagna nel design studio al primo piano. “Non serve fare foto o prendere appunti perché sicuramente da qui a un paio di settimane avremo cambiato idea su quasi tutto”, spiega.

Non è un po’ stressante? “Forse”, ammette. “Ma se si sa già dove si vuole arrivare non si creerà mai qualcosa di veramente nuovo”.

Come dargli torto…