Viaggio dietro le quinte dei musei per capire come si progetta il guardare di un pubblico sempre più assetato di conoscenza e di informazione affidabile

Fare una mostra è come fare un film d’animazione: ciò che non viene disegnato, non esiste.

Ogni dettaglio, anche il più piccolo, concorre alla narrazione, alla visione, alla trasmissione del messaggio-esposizione. Perché una mostra è un racconto che veicola informazioni (spesso dilatabili oltre lo spazio espositivo). E a realizzare la narrazione, insieme all’artista e al suo lavoro, sono i curatori della mostra e degli allestimenti, due saperi, due sensibilità, due visioni che possono combinarsi in una simbiosi capace di armonia e meraviglia.

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«Progettare una mostra significa prima di tutto prendersi cura del visitatore», spiega Marco Sammicheli, curatore per il settore design, moda e artigianato di Triennale Milano e direttore del Museo del Design Italiano.

«E questa cura», prosegue Sammicheli, «ha subito molte trasformazioni, in ultimo grazie a un grosso cambiamento del comportamento del pubblico per sete di conoscenza e per una maggiore disobbedienza, dovuta a un’insoddisfazione diffusa dell’esperienza nei musei. Il pubblico chiede di più».

Gli fa eco Stefania Vasques, architetta e curatrice degli allestimenti della mostra Felicitazioni. CCCP - Fedeli alla linea 1984-2024, dedicata al gruppo musicale CCCP presso Palazzo Magnani di Reggio Emilia: «L’allestimento deve nutrirsi di sentimenti di accoglienza. Allora il curatore si postpone al pubblico in una ricerca di interazioni utili a trasmettere il messaggio. L’arte permette di comunicare attraverso i linguaggi del coinvolgimento». Che scocca come una scintilla dalla messa in scena di elementi analogici, fisici.

Un pubblico disobbediente che vuole capire

Il Museo del Design Italiano in Triennale ne è un esempio: ci sono dettagli degli oggetti esposti che si possono toccare.

«La volontà di toccare è diventata particolarmente importante dopo la pandemia di Covid ed è un elemento della disobbedienza del pubblico», spiega Sammicheli, «che si traduce nella necessità di dotare musei e mostre di occasioni immediate che aumentano il tempo di permanenza del pubblico, meno propenso a fare fughe nel virtuale».

Così è accaduto nella mostra dedicata ad Alberto Meda in Triennale dove una serie di elementi hanno inchiodato il pubblico nel presente, a cominciare dai tavoli appesi alle pareti senza il piano per poterne vedere bene il meccanismo.

Così accade nella mostra dedicata al gruppo musicale CCCP, un’esplosione della sua storia, ma soprattutto della sua debordante creatività attraverso i suoi lavori e quelli di alcuni artisti coinvolti nel progetto, che ha la capacità, prima di tutto, di consentire al pubblico un’esperienza immersiva e dilatabile oltre gli spazi fisici pur essendo totalmente analogica. E così succede anche a Senzatomica, un’esposizione contro l’uso di armi atomiche allestita a Brescia per volontà dell’Istituto Soka Gakkai e Comitato Senzatomica e frutto di un lavoro di gruppo molto articolato con la curatela di Studio Pitis e Associati, per soddisfare l’urgenza di spiegare a tutti la pericolosità degli armamenti nucleari.

In questo caso il virtuale si mescola con il reale perché alcune parti sono state affidate alla realtà aumentata che si integra perfettamente con la parte analogica della mostra.

Che è un’esperienza (con tanto di colonna sonora composta ad hoc da Nicola Tescari): si visita in gruppo con dei 'ciceroni', come vengono chiamati dai curatori, che facilitano un dialogo tra i partecipanti, fino ad arrivare a sedersi a un tavolo di discussione. Il tema? cosa fare per mettere fine alle armi nucleari. Si fa esperienza di attivismo dentro gli spazi espositivi.

L'allestimento come occasione per fare critica

Riccardo Blumer, architetto e curatore degli allestimenti di diverse esposizioni (nonché quella su Alberto Meda in Triennale, insieme a Sammicheli) spiega perché e quando succede la magia di trattenere l’attenzione dei visitatori.

«L’allestimento fa parte del messaggio che si vuole dare», dice, «deve entrare nei temi in modo critico e costruttivo per consentire un approfondimento culturale».

Naturalmente, come sottolinea Blumer, dipende dall’intento dell’esposizione, qui ci occupiamo di quelle museali.

«Allora se l’allestimento entra in dialogo con la curatela e ha come obiettivo il fare esperienza, accetta la sfida del contemporaneo cercando di passare dal coinvolgimento dello spettatore in un percorso che, al suo termine, lo faccia sentire diverso. Perché? Perché il visitatore è protagonista di una trasformazione e diventa autore dell’esperienza mostra. Che è resa possibile dall’allestimento perché è questo elemento che trasforma l’intuizione espositiva in una condizione esperienziale. E che, in effetti, è il ruolo fondante dell’architettura, la nostra misura del mondo».

Ne dà conferma Sammicheli che ammette di lavorare in totale simbiosi con il curatore degli allestimenti, capace, diversamente da lui che si assume la responsabilità di una visione narrativa, di vedere le cose nello spazio.

Le mostre hanno una funzione informativa e conoscitiva molto importante, spesso dilatabile oltre i confini dell’esposizione stessa, certamente con un plus: l’affidabilità.

La gente si fida dei musei

«I musei sono tra i pochi luoghi di cui ancora la gente si fida, questo è importantissimo», spiega Anna Barbara, architetto e docente al Politecnico di Milano, nonché ideatrice, con altri collaboratori, della mostra Senzatomica, «I musei devono avere una voce sociale e politica, oltre che culturale e creativa. Quello che accade con mostre come questa è che la gente interagisce, in maniera analogica e digitale, trova informazioni ma anche narrazioni a più voci che raccontano loro i vari contenuti. Ognuno troverà la voce per sé. Poi però non basta.

I contenuti, tantissimi, devono essere sentiti emotivamente, capiti razionalmente, vissuti sulla propria pelle, ma anche essere un punto di partenza. Bisogna uscire da questa mostra con l’energia di chi vuole cambiare lo stato di fatto».

Tanto che, come precisa Massimo Pitis (Studio Pitis e Associati), curatore, la mostra si chiude con una frase: “Qui fuori comincia la pace se sarai anche tu a costruirla”.

«È l’appello che sintetizza il messaggio della mostra», dichiara Pitis, «Senza questo, parlare della bomba e delle sue conseguenze lascerebbe al visitatore un ruolo passivo, con un risvolto soltanto emotivo. Quello che serve è che si esca da lì con la percezione chiara del proprio potenziale. Con la certezza che il cambiamento comincia dai pensieri e dalle azioni di ciascuno di noi».

Guidare lo sguardo, più che progettarlo

Dunque se le mostre sono un medium, un organo d’informazione, una straordinaria occasione creativa di apprendimento esperienziale, quali metodi, linguaggi e strategie hanno per progettare il guardare dei visitatori? Secondo Anna Barbara «Si può guidare lo sguardo dei visitatori più che progettarlo. Questo è quello che prova a fare il progettista, stabilire la sequenza dei movimenti, gli sguardi, i tempi, la velocità, l’interazione con i contenuti e gli altri visitatori, le luci, che costruiscono l’esperienza espositiva di ciascuno.

Niente monologhi

Ma bisogna stare attenti che la regia non diventi un monologo, che obbliga tutti alla medesima esperienza, forzata. Ci sono in Senzatomica più punti di attenzione, più narrazioni, più accenti, perché la composizione finale sia plurale e il messaggio che ognuno coglie sia coerente».

Un lavoro gigantesco quello che sta dietro questa esposizione di progettazione, di analisi delle fonti, di ricerca storica e di attualità che ha richiesto anni di lavoro e di discussioni per giungere alla realizzazione di un messaggio chiaro quanto articolato.

«Io, con Federica Marziale Iadevaia e il mio studio, ho curato la direzione creativa e artistica», commenta Pitis, «L’idea di fondo dal punto di vista estetico, è stata la “re-invenzione” del manifesto di protesta, attualizzandolo ai nuovi media. La nostra esperienza quasi decennale come art director di Wired, ci ha aiutato a definire un orizzonte di narrazione visiva che fosse contemporaneamente molto leggibile ma anche stimolante».

Lo stesso accade per Felicitazioni, una stratificazione sensazionale del lavoro di un gruppo musicale che ha fatto della propria visione politica ed espressiva un fatto artistico.

A curare la mostra sono stati loro, i CCCP, riuniti per l’occasione dopo un lunghissimo silenzio e capaci, come racconta Vasques, di un’armonia totale: «I CCCP sono un corpo unico. Danzano insieme, ognuno si esprime senza pestare i piedi all’altro per poi riunirsi in una identità di gruppo. Molto poetica. Abbiamo lavorato a questa mostra a dieci mani per trasmettere le loro emozioni e suscitare interazioni in un pubblico ampio, soprattutto composto da chi non li conosce già. Abbiamo pensato a un modo di fare informazione che vorrei fosse per tutti. La Bellezza salverà il mondo, è uno strumento per creare azione se intesa come armonia, meraviglia, stupore e gioia».

I musei stanno cambiando pelle per diventare sempre di più garanti di informazione verificata, i curatori sono gli alchimisti di un’arte narrativa esperienziale e il pubblico è autore della propria esperienza conoscitiva.

Ecco perché nei musei ormai si parla di tutto: non ci sono temi che non possano diventare oggetto d’indagine in forma espositiva. Come spiega Anna Barbara, «Non ci sono temi inconsueti per i luoghi quando sono temi che riguardano l’umanità intera». E l’incontro funziona grazie a un lavoro di altissima qualità progettuale nel dietro le quinte. Per dirla con i CCCP, è Una questione di qualità.

Informazioni sulle mostre citate:
Alberto Meda. Tensione e leggerezza, Triennale Milano, fino al 24 marzo

Felicitazioni! CCCP - Fedeli alla linea 1984-2024, Palazzo Magnani, Reggio Emilia, fino all’11 febbraio

Senzatomica si è appena conclusa a Brescia ma arriverà a Roma a marzo. Con un appuntamento preliminare il 4/2