La storia di Lashup, al secolo Claudio Granato ed Enrico Pieraccioli, è un po’ quella dell’altra faccia della Luna: la gamification del design intesa come ricerca senza alcun fine che non sia vivere uno spazio digitale come opportunità nuova, lascito positivo della pandemia.
È nato così An individual piece of mind, il game firmato dallo studio fiorentino, non basato sulla competizione, ma finalizzato al relax: l’esplorazione di una immaginaria villa mediterranea che prende vita in digitale e dove nulla è lasciato al caso, dal sound design che evoca l’ozio estivo, all’arredo concepito apposta, come in un progetto reale.
Claudio Granato e Enrico Pieraccioli: “Da sempre siamo interessati alle nuove tecnologie e alle loro applicazioni, sia per finalità comunicative, sia per gli ambiti di progettazione di una visione.
A maggior ragione con l’evoluzione degli ultimi anni, in cui la fluidità tra mondo reale e mondo virtuale è sempre più importante, la nostra curiosità si è evoluta in modo quasi naturale ed è diventata quotidiana.
Che sia per evasione dalla realtà o che sia direttamente legata a questa, il mondo della gamification fa parte del nostro quotidiano da ormai parecchi anni.
L’interesse si è sviluppato anche in prima persona, usufruendo del mezzo dagli anni 80.
Dai tempi delle prime console e dal Commodore 64. L’altro aspetto che ci interessa è socio-culturale, cioè come questo mezzo incide sulle persone, soprattutto sulla percezione dello spazio.
Ci occupiamo anche di consulenze per il settore moda e ci siamo accorti che negli ultimi anni c'è un incremento dell'uso per una narrazione con fini esclusivamente commerciali.
Da lì ci siamo interrogati se potesse esserci un uso diverso per interpretare lo spazio. Abbiamo capito che il gaming può essere uno strumento utile a rappresentare e a far vivere dei concept, che è quello che solitamente facciamo”.
Quando avete intuito che la gamification stava diventando una chiave progettuale?
Lashup: “Abbiamo da sempre percepito il fatto che la gamification potesse essere in grado di raccontare al meglio un progetto. Non crediamo che questo possa emergere durante la fase progettuale, ma pensiamo che sia uno strumento utile a far vivere al meglio un concetto o un’esperienza.
Fin dai primi anni 2000 si sperimentano i primi casi di progetti digitali legati alla realtà aumentata, basti pensare all’Adobe museum del 2010.
La differenza con la realtà aumentata sta nel permettere di innescare nell’utente un maggior coinvolgimento.
In questa maniera la gamification permette al fruitore di percepire non soltanto uno spazio ma una dimensione emotiva di un progetto: questo è ciò che si avvicina maggiormente alla nostra ricerca”.
Che mondi apre un game di ricerca alla vostra attività?
Lashup: “Per noi è fondamentale in qualsiasi progetto far scaturire una reazione di qualsiasi genere. Questo mezzo può aiutarci a restituire questo tipo di approccio e ci aiuta a raccontare in maniera più coinvolgente il nostro lavoro, dandoci una estrema libertà progettuale.
Ci permette di far vivere in prima persona un’idea, senza necessariamente doverla realizzare come siamo abituati, ovvero attraverso la materia.
Il mondo della gamification riesce a rompere la sensazione fredda e distaccata con cui siamo abituati a percepire il mondo digitale e offre la possibilità di sperimentare nuovi scenari applicabili a diversi concept e visioni e permette di aprirsi a infinite narrazioni.
Tutto questo accade nella massima sperimentazione spaziale di ricerca, senza limiti di tipo fisico o economico, superando i limiti della gravità e, soprattutto, del costruire nel senso più stretto.
Ci si confronta quindi con una progettazione spaziale nel suo senso più puro, dove si ha la possibilità di interagire e giocare non solo con aspetti differenti come le percezioni visive, materiche e sonore, ma anche di interagire con professionalità diverse da quelle dell’architettura”.
Che cosa prevedete che possa nascere più in generale dall’incontro di design e gamification?
Lashup: “Crediamo che la combinazione con il mondo del gaming possa dare un contributo notevole nell’aumento del racconto, sia sul piano narrativo che nella possibilità di creare dinamiche differenti e variegate, oltre al discorso che si apre in merito al coinvolgimento emotivo e sensoriale dato da un progetto vissuto in prima persona.
Si può legare il progetto a uno storytelling e a una esperienza.
La possibilità di poter vivere il progetto e di poterlo esplorare sotto vari punti di vista sono altri aspetti utili per indagarne le sfaccettature”.
Il vostro game è una ricerca profonda sull’abitare italiano, con riferimenti a finti e maestri precisi: quali?
Lashup: “I nostri riferimenti partono sempre da concetti di stratificazione e contaminazione di situazioni, da qui il nome Lashup. Non abbiamo dei riferimenti fissi e canonici e neanche dei linguaggi veri e propri a cui ci ispiriamo.
Quello che ci interessa è comprendere intrecci e paradigmi che provengono sia dal mondo analogico che dal mondo digitale. Questo perché rappresentano al meglio la complessità della società contemporanea.
Per il progetto An Individual Peace Of Mind si creano interferenze di riferimenti che arrivano dalle poesie visive di Robert Barry, di Nancy Holt e di Allan Kaprow, dalla fotografia di Luigi Ghirri nei paesaggi italiani del sud Italia e dall’approccio psicologico usato da Alvar Aalto nell’architettura, unite alle atmosfere delle seconde case dei film con Vitti e Tognazzi e dai testi Poetry of Architecture di John Ruskin e Architettura Rurale Italiana di Giuseppe Pagano e Guarniero Daniel”.
La gamification può rendere più popolare l’architettura?
Lashup: “Più che popolare, la gamification può permettere di esplorare l’architettura sotto più punti di vista percettivi.
Se questo aiuta ad avvicinare il concetto di architettura a un pubblico diverso, senza farlo scadere in un mero atteggiamento di intrattenimento e senza sminuire la professionalità dell’architetto, allora lo strumento può ritenersi utile nel dare una visione più chiara e completa dell’idea di architettura.
Al contrario potrebbe essere il mondo dell’architettura a iniziare ad affacciarsi al mondo del gaming attraverso una progettazione degli spazi o dei luoghi, così da contribuire all’educazione dei giocatori che si trovano involontariamente all’interno di un’architettura progettata”.