Il Festival di Sanremo 2023, il 73esimo, è qui.
Ventotto artisti in gara, dal pop melodico al trap per i più giovani, ce n’è per tutti i gusti. Ma come nascono le canzoni per Sanremo?
Ce lo spiega Maurizio Parafioriti, produttore e regista del suono, che al Festival si occupa del sound design di Paola & Chiara.
Come nasce una canzone?
Maurizio Parafioriti: “Il modo di fare musica è incredibilmente cambiato negli ultimi cinquant’anni.
La tecnologia ha smembrato quello che una volta era un processo collettivo, corale ma destinato a pochi. Per mettere insieme una canzone, musica, testi e arrangiamento, ci si doveva incontrare. In fasi diverse tutti erano coinvolti nella costruzione di un pezzo.
Senza dubbio questo portava la creatività a un livello diverso e le competenze erano decisamente meno diffuse, in mano a pochi.
Il prodotto che ne usciva aveva una forza e un’intensità diversa.
Oggi un pezzo può essere registrato per metà a Budapest da un’orchestra, per un quarto in uno studio e per il resto a casa dell’autore. E la tecnologia ha molto democratizzato le competenze. Si mettono insieme i file e nasce la canzone finita.
Non è peggio e non è meglio: è solo un modo diverso. La ricaduta più immediata è quello strano effetto Ikea: canzoni piacevoli, ben scritte e ben arrangiate, che però creano un mood molto omogeneo e con pochi picchi”.
Come sono le canzoni del Festival di Sanremo 2023?
Maurizio Parafioriti: “C’è una qualità alta, sia di artisti che di musica. Marco Mengoni è in un momento di grande maturità e ha un pezzo molto bello.
Giorgia, pur essendo una grandissima voce, ha un pezzo forse meno incisivo del solito. I più giovani, come Madame, Ariete, i Coma_Cose, proseguono la loro linea stilistica, ma a Sanremo portano ovviamente canzoni più adatte al contesto melodico e all'eterogeneità del pubblico.
E l’orchestra si adegua a arrangiamenti più tecnologici: un atteggiamento che fino a qualche tempo fa era inviso. C'è uno scambio interessante tra due modi diversi di fare musica, in un la tradizione si adegua al nuovo e viceversa. I risultati spesso sono interessanti”.
Parliamo di trap?
Maurizio Parafioriti: “È facile dire che è elementare, volgare, in mano a dei ragazzini poco acculturati e con pochissime competenze musicali. Però il trap ha una sua specificità tipologica.
I testi ripetitivi e semplici descrivono realtà di emarginazione, in cui saltano tutti i valori condivisi. Le donne sono trattate come oggetti, la droga è normalizzata, così come la violenza e le armi.
Voglio però sottolineare alcune contraddizioni degne di essere osservate. L’uso della lingua, benché elementare, ha una decisa sperimentazione metrica.
La ripetizione e la semplicità dei concetti riverberano una cultura che si affida sempre più alle immagini e sempre meno alle parole. I concetti sono quindi espressi con allegorie e metafore spesso molto ironiche e creative.
Senza dimenticare che ci sono trapper con una grande capacità poetica”.
Un pezzo trap però non si costruisce come qualsiasi altra canzone…
Maurizio Parafioriti: “Normalmente il produttore è la figura centrale, ovvero la persona capace di costruire una base arrangiata in modo sensato. Non è semplice, tanto è vero che ci sono produttori quasi più famosi dei cantanti.
Sulla base il trapper costruisce un fraseggio, un testo parlato e cantato. La dinamica è quella del rap americano, in cui l’improvvisazione era il talento centrale dell’artista. Il beat viene spesso affidato a società specializzate. Questo vale in generale: ci sono anche singoli casi in cui il trapper fa un lavoro a 360°, come un cantautore”.
Cosa decreta il successo di un artista oggi?
Maurizio Parafioriti: “La comunicazione è il fattore principale, posto che ci sia un contenuto sufficientemente solido. Che siano le etichette discografiche o gli artisti stessi, la diffusione di contenuti social e il grande investimento del marketing sono i veri motori di un successo importante dal punto di vista dei numeri”.
Molti giovani però sono diventati famosi attraverso YouTube però…
Maurizio Parafioriti: “È un fattore iniziale, valido soprattutto per il circuito trap. I social danno visibilità, chi ha talento emerge.
Vale la stessa cosa per i programmi televisivi come Amici o XFactor: sono le aziende discografiche a scegliere su chi investire davvero”.
La moda sembra essersi ritagliata un ruolo nell’industria musicale. È davvero così?
Maurizio Parafioriti: “La maison Gucci è quella che più ha scommesso su questa strategia. E finora ha avuto ragione. I Maneskin, Achille Lauro… dal punto di vista stilistico sono sue creature.
E uscendo dai confini italiani c’è Harry Style, probabilmente il cantante più famoso del mondo.
È uno scambio che funziona, ma non è mai casuale. Vengono scelti artisti che hanno la potenzialità di esprimere temi vicini al mondo fashion, come i Maneskin che hanno fatto della fluidità di genere e del poliamore una cifra comunicativa fondamentale”.
Come è cambiato il modo di fare musica rispetto agli inizi del melodico italiano?
Maurizio Parafioriti: “La nascita dell'industria musicale in Italia coincide con l’arrivo in Italia negli anni ‘50 della RCA. Un’etichetta statunitense che ha compreso il valore della musica melodica e per qualche tempo è stata davvero l’iniziatrice di qualsiasi successo popolare.
In quegli anni le cose funzionavano in modo semplice: c’era una canzone abbozzata, normalmente si partiva dalla melodia, veniva ingaggiato un direttore d’orchestra che scriveva le parti musicali di tutti gli strumenti e si andava in studio a registrare.
Le registrazioni erano rapide e, per così dire, indolori. La filosofia era: buona la prima”.
Cosa succede con l’avvento degli studi di registrazione?
Maurizio Parafioriti: “Le cose cambiano, non nella forma ma nella pratica. C’è la possibilità di registrare individualmente gli strumenti in momenti diversi, e di arrangiare poi la canzone scegliendo le parti meglio eseguite e funzionali al pezzo.
È una prima sofisticazione della produzione, un processo che definirei più complesso. Ci sono delle scelte di suono, di timbro vocale, di atmosfera, di arrangiamento.
Si aggiungono professioni con l'evolversi della tecnologia di registrazione. Il cantante arriva per ultimo e può correggersi, scegliere le fioriture e replicare singole parti finché non si raggiunge il risultato giusto”.
E poi è arrivata la tecnologia digitale…
Maurizio Parafioriti: “Con un qualsiasi software musicale chiunque può mettere insieme un pezzo in tempi brevi.
La differenza a questo punto è completamente in mano al talento individuale: bisogna avere qualcosa di importante da dire in termini artistici.
Gli strumenti tecnologici facilitano l’accesso alla creatività musicale, ma ovviamente non bastano”.