Quello di Niko Romito è un mondo così articolato che non basterebbe un libro per raccontarne le tante sfaccettature: quelle che portano a definirlo più un imprenditore che uno chef, ma che essenzialmente sono l’espressione di una visione creativa in continua ebollizione, fatta di cibo e di tanta ricerca, di alta cucina e di impegno per la collettività, di etica e di estetica, di luoghi, spazi e oggetti, di amore per l’arte e per le cose belle.
Al ristorante Reale di Castel di Sangro, unico tre stelle in tutto l’Abruzzo, aperto nel 2011 assieme alla sorella Cristiana, Romito associa oggi un vero e proprio sistema di attività: l’accoglienza di Casadonna, un monastero del ’500 che al Reale affianca dieci camere da letto; la cura dell’offerta di tutti i ristoranti della catena Bulgari Hotels & Resorts nel mondo; il format di ristorazione per viaggiatori ALT Stazione del gusto, un’inedita versione italiana del diner americano che, grazie alla nuova partnership con Eni, oggi punta a 100 nuove aperture nel giro di quattro anni; l’Accademia Niko Romito, una scuola di alta formazione e specializzazione professionale; Spazio Niko Romito, una formula di bistrot urbano oggi presente a Roma e Milano; il Laboratorio Niko Romito, un centro di sperimentazione e sviluppo di nuovi prodotti di pasticceria e panificazione.
Ultima, ma non certo per importanza, l’attività di ricerca su nutrizione e salute che Romito dedica alla collettività, da cui è nato nel 2017 il progetto Intelligenza Nutrizionale per la ristorazione ospedaliera e che a breve confluirà in un progetto per le mense scolastiche abruzzesi.
“Sono più bravo a fare le cose che non a raccontarmi”, esordisce chef Niko. Ma diventa un fiume in piena quando ripercorre la storia, il metodo e i valori che lo hanno portato a tracciare un modello diventato di riferimento per la cucina contemporanea.
“Nel 2000, quando avevo 24 anni e studiavo economia, mi sono ritrovato a occuparmi della trattoria di famiglia senza avere mai cucinato e questo mi ha indotto a sviluppare un approccio conoscitivo nei confronti del cibo. Mi interessava comprendere i processi di trasformazione degli ingredienti che portano alla costruzione del gusto: il modo in cui una bistecca da cruda diventa cotta, oppure le ragioni per cui una verdura, cuocendo, cambia la propria struttura e consistenza.
Mi sono sempre posto tante domande proprio perché non sapevo nulla. Ancora oggi ragiono così e questo atteggiamento mi ha spinto a costruire un modello gastronomico molto personale e identitario”.
Quali sono i contenuti che distinguono il metodo Romito?
Niko Romito: "Sono quelli di una cucina etica e salutare, rappresentata, per esempio, dal menu vegetale che il Reale propone da due anni a questa parte. Sin dall’inizio, ho scelto di concentrarmi sulla selezione di alcuni ingredienti e sulla loro trasformazione in un’ottica di salute.
Mi sono da subito appassionato a quelli vegetali, più difficili da lavorare rispetto a carne e pesce: sono così diversi l’uno dall’altro che ciascuno necessita di tecniche e studi specifici.
Questo tipo di approccio mi ha portato grandi stimoli in termini di creatività; nello stesso tempo, mi ha indirizzato su contenuti molto chiari e precisi per quanto riguarda il rispetto della materia, la salute e la sostenibilità.
Oggi scegliere cosa mangiare è un atto politico. E io credo che i cuochi debbano utilizzare la loro forza mediatica per educare il consumatore: comunicando valori forti e messaggi socialmente utili, si possono orientare i consumi verso nuove direzioni".
Dal ristorante a tre stelle al suo impegno nella ristorazione collettiva. Cosa accomuna tutte queste attività?
Niko Romito: "Con il Reale faccio del fine dining il laboratorio di un’innovazione che poi declino su modelli gastronomici più semplici, portando la mia ricerca ai grandi numeri. Quello del rapporto tra arte della ristorazione e industria è un tema a me molto caro.
L’industria è l’unico strumento che ci consente di democratizzare la qualità, di proiettarla su economie di larga scala.
Il problema è che spesso manca di innovazione di pensiero: è dotata di tecnologie molto avanzate, ma non ne coglie le rivoluzionarie potenzialità applicative. Nel mio laboratorio mi sono dotato di attrezzature che, in miniatura e con un minimo investimento, sono in grado di effettuare le stesse lavorazioni svolte da costosissime macchine industriali; con queste sperimento e ottengo preparazioni incredibili.
Il mio obiettivo è trasferire questi risultati all’industria per far sì che l’innovazione possa essere applicata ai grandi numeri. Si tratta di cambiare l’approccio alla trasformazione degli alimenti. E di farlo in una logica più salutare: potrebbe nascere una rivoluzione vera e propria".
Come si fa a innovare in cucina?
Niko Romito: "Fare innovazione con il cibo è molto più difficile che innovare in altri settori, specie in un Paese come l’Italia dove la tradizione gastronomica è così ingombrante: quando si mangia si tende sempre a fare riferimento a ciò che si conosce già.
Oggi si pensa che l’innovazione risieda nell’utilizzo di un nuovo prodotto, proveniente per esempio da un’altra cultura gastronomica.
Secondo me, nasce invece dagli alimenti comuni che l’abilità dello chef riesce a trasformare in qualcosa di inedito, portandolo in strutture, consistenze e gusti di cui non abbiamo ancora esperienza".
In una visione così articolata della cucina come quella di Niko Romito, quale parte ha la componente estetica?
Niko Romito: "È fondamentale. Ma è fondamentale anche che la visione estetica si coniughi con quella etica. Faccio l’esempio di Casadonna: io e mia sorella Cristiana abbiamo curato in prima persona ogni dettaglio della ristrutturazione di questo ex monastero, dalla distribuzione degli spazi ai materiali, dagli arredi alle finiture.
Abbiamo agito in una logica di recupero e di estrema semplicità, per rispettare la natura di questi luoghi che in origine erano molto poveri. Il lusso di Casadonna non è ostentazione, ma spazio, silenzio, luce, dialogo con la natura.
Tutti gli elementi che compongono questa esperienza hanno una coerenza ben riconoscibile, che si esprime nell’antico cancello arrugginito come nella tovaglia di lino scelta per le colazioni. Per arrivare ovviamente alla proposta gastronomica: estremamente semplice ed essenziale all’apparenza, nasconde in realtà una grande complessità di preparazione e costruzione".
Da sei anni lei segue i ristoranti degli hotel Bulgari nel mondo, progettati tutti dallo studio ACPV Architects Antonio Citterio Patricia Viel. Ci racconti di questa collaborazione.
Niko Romito: "Ogni ristorante nasce da un interscambio tra me e lo studio, che ne definisce l’identità architettonica in relazione al contesto in cui si colloca. A Tokyo, per esempio, è stato fatto ricorso a pochissimi materiali e l’ambiente presenta la pulizia formale tipica della cultura giapponese. Il ristorante di Roma è invece più ricco: marmi, boiserie e cassettoni riprendono la monumentalità della Città Eterna.
Il nostro intervento creativo ha riguardato il set up della tavola: in ogni città utilizziamo lo stesso tipo di porcellane, la cui classicità dialoga perfettamente sia con il minimalismo giapponese che con l’opulenza romana.
Anche l’offerta gastronomica si basa su un’unica carta, messa a punto in un anno di lavoro, che propone i piatti iconici della cucina italiana, attualizzati secondo i principi di salubrità che pongo sempre al centro del mio lavoro.
Abbiamo definito un protocollo unico: tutte le cucine si basano sullo stesso manuale di procedure, ogni tecnica, grammatura, tempo di cottura e finitura sono codificati. In questo modo è possibile mantenere l’offerta costante e monitorabile in ogni location.
Uno dei principali argomenti di confronto con Patricia Viel è stato lo studio dei layout delle cucine: prima nasce il menù e poi la cucina, che deve ovviamente essere funzionale alla preparazione dei piatti stabiliti. Per questo, prima di abbozzare i progetti, è stato fondamentale che Patricia conoscesse il modo in cui io cucino".
Quali altri progetti intende sviluppare nel prossimo futuro?
Niko Romito: "Stiamo lavorando all’apertura dei ristoranti di tre nuovi hotel Bulgari che saranno inaugurati a Miami, Los Angeles e alle Maldive tra il 2025 e il 2026.
Ma il progetto a cui tengo di più è la realizzazione di un campus che metta assieme le competenze professionali di tanti settori diversi. Un luogo di creatività e di ricerca dove architetti, designer e stilisti affianchino cuochi, nutrizionisti e scienziati.
L’obiettivo è democratizzare un cibo di qualità, ma anche creare dei nuovi modelli di ristorazione capaci di fare del cibo lo spunto di un’esperienza sensoriale e culturale più allargata".
Foto di copertina: la sala del Reale dotata di 30 coperti, con opere di Ettore Spalletti. Ph. Helenio Barbetta