Violenza, intime confessioni, droga o sesso: quando la macchina da presa oltrepassa la porta di una toilette sta per accadere qualcosa. E sono sempre scene ad altissimo livello di tensione

In tutta la nostra vita ci passiamo un mucchio di tempo, l’equivalente di quasi cinque anni, eppure tra i vari ambienti che possono fare da sfondo a una storia, il bagno è stato a lungo il grande assente.

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Anche nel cinema, dove per il comune senso del pudore e la censura era considerato una stanza-tabù: le prime apparizioni di un bagno nei film italiani (definite “indecorose” dall’allora sottosegretario Giulio Andreotti, che - all’epoca - proprio di cinema si occupava) avvengono nel dopoguerra, con i registi del Neorealismo.

Poi però la sua presenza diventa via via più “famigliare”, fino a trasformarsi nella location ideale per gli snodi narrativi (drammatici, erotici o comici) più interessanti: da Psycho a Pulp Fiction, da Arancia Meccanica a Trainspotting, da Ultimo tango a Parigi ad American Beauty e Parasite: l’elenco dei titoli internazionali che vantano qualche sequenza girata in bagno è lunghissima. E si tratta sempre scene-climax.

Il bagno: uno spazio filmico privilegiato

«Io considero il bagno uno spazio filmico privilegiato, con caratteristiche estetiche molto sfruttabili dal punto di vista cinematografico» spiega Raffaella De Antonellis, docente di critica cinematografica all’Università nazionale autonoma di Città del Messico e autrice del saggio El purgatorio del Cine (ed. Ojas).

Un libro che prende in analisi le più significative sequenze girate non nei bagni privati ma nelle toilette pubbliche, dunque spostandosi tra stazioni di servizio, hotel, ristoranti, centri commerciali, stazioni ferroviarie o aeroporti.

Spazi dotati di un’estetica un po’ standardizzata, che, a ogni latitudine, tendono tutti a somigliarsi.

«Aperta la porta del bagno, si entra in uno spazio comune con i lavandini, lo specchio, i saponi e gli asciugamani, e l’infilata di porte dei cubicoli con i wc. Un luogo sottomesso alla dicotomia pubblico/privato, come alle trasformazioni dei valori morali della società, soprattutto in quelle collegate alle funzioni, alle pratiche e alle immagini del corpo» continua l’autrice.

È nelle toilette pubbliche infatti che, nei film, si compiono azioni illecite come nascondere o consumare droga, fare a botte, nascondere o prendere un’arma, uccidere o suicidarsi. Oppure fare sesso, etero o omosessuale ma, comunque, quasi sempre clandestino.

Elementi estetici e simbolici nel bagno

Se la toilette è la stanza che - dal punto di vista reale e da quello simbolico - raccoglie la nostra sporcizia, fare “cose sporche” in questo luogo è quasi rimettere le cose a posto.

«È come se in bagno la violenza possa essere più accettabile. Allo stesso tempo, questo è un luogo di purificazione. Ed ecco allora le scene in cui ci si rifugia in bagno per confessare un segreto a un amico, per piangere senza essere visti o trovare un momento di raccoglimento».

Il tutto su uno sfondo cromatico caratterizzato da una palette piuttosto limitata.

Il bianco: il backdrop perfetto per l'azione

«A dominare è quasi sempre il bianco, in tutte le sue variazioni, dunque lo scenario perfetto per far risaltare gli schizzi di sangue come in un quadro di Pollock, come in una memorabile sequenza di Full Metal Jacket di Kubrick. Ma il bianco evoca anche sentimenti di calma, spiritualità e pace: anche nei locali più rumorosi, questa è la stanza più silenziosa e luminosa».

Bianco, ma con le mattonelle del pavimento che creano effetti grafici, è il bagno in cui l’insegnante del conservatorio Isabelle Huppert fa sesso con il suo giovane studente (La pianista di Hanecke); verde e con i sanitari bianchi è invece il bagno scelto da Scorsese per la scena di The Aviator nella quale Di Caprio ha una crisi di mania igienica; bianco e rosso sangue (una premonizione?) infine è quello dell’Overlook Hotel di Shining nel quale Kubrick ambienta l’incontro tra l’inquietante Jack Torrance, interpretato da Jack Nicholson, e il suo lato oscuro rappresentato dal cameriere, Mr Grady.

E che i due siano le anime di una stessa persona ci viene suggerito dagli scavalcamenti di campo che portano a confondere le due figure.

Il ruolo dello specchio colori a parte, gli altri elementi della scena sono ricorrenti

«Lo specchio, le piastrelle, l’infilata di lavandini e rubinetti, le porte dei wc che non arrivano al pavimento, le finestre basculanti, la luce fredda: anche se non è facile girare in un posto così piccolo, la macchina da presa sfrutta tutti questi elementi.

A partire dallo specchio, che può limitarsi a riflettere l’immagine del protagonista intento a lavarsi le mani oppure rivelarci qualcosa che è alle sue spalle, magari l’ombra di chi lo sta spiando o di qualcuno che si sta nascondendo.

In un film lo specchio fa apparire o scomparire i personaggi, è come se aprisse un'altra porta, un luogo privilegiato di riconoscimento e, quindi, di identità» continua Raffaella de Antonellis. Ma un altro contributo decisivo all’atmosfera è dato dal sonoro.

Bagno come rifugio

Quello dell’acqua che scorre, di un neon che sta bruciando oppure dei rumori che provengono da dietro la porta di una toilette: si tratta di sesso o di violenza?

«In Witness di Peter Weir, film del 1985, il bagno diventa infine un rifugio. Succede nella famosa scena in cui un ragazzino, involontario testimone di un omicidio, si nasconde nella toilette di una stazione ferroviaria.

La scena è ad altissima tensione: vediamo l'occhio del bambino scrutare tra le porte del bagno e, dall’altra parte, l'assassino che, pistola in pugno, lo cerca e, una ad una, apre violentemente tutte le porte.

Lo spettatore sa dove si nasconde il piccolo e la tensione cresce finché, aperta anche l’ultima porta, l’assassino non trova nessuno: ad aumentare la suspense ecco un fuori campo che ci mostra il bambino in piedi sul WC nel cubicolo precedente».

E in pochi minuti, una scena girata nel ristretto spazio di un bagno, regala allo spettatore mille emozioni.