Per il creator Philippe Starck è una dichiarazione d’intenti, la metafora di un traguardo evolutivo verso cui il progresso umano deve necessariamente proiettarsi. Per l’imprenditore Claudio Luti, presidente di Kartell, è essenzialmente una sfida tecnologica e industriale, iniziata nel 1999 e oggi approdata a un prodotto da record che ribadisce la vocazione della sua azienda a fare la storia nel mondo del design. La trasparenza. Non si direbbe, ma sono solo 15 anni che questa proprietà fisica della materia ha fatto il suo ingresso nel panorama degli oggetti domestici realizzati industrialmente in plastica.
E se il policarbonato è il materiale che ha reso possibile la traduzione sintetica di una qualità sempre appartenuta al vetro, Kartell è l’azienda che con questa innovazione ha segnato un passo importante della sua grande mission: fare della plastica una materia nobile dell’industria del design.
Incontriamo i protagonisti di questa storia, Philippe Starck e Claudio Luti, in occasione di un loro incontro nello showroom Kartell a Milano. Mancano poche settimane al Salone del mobile 2014 ed è necessario mettere a punto il progetto dei nuovi prodotti che rinnoveranno la consolidata collaborazione professionale tra l’archistar e l’azienda di Noviglio. Sul tavolo di lavoro, i disegni e i prototipi di una nuova poltroncina imbottita su base in policarbonato e di un set di accessori per la tavola. Ma la vera novità è un’altra ed è una di quelle che non si esprime in forme bensì in cifre: un metro e 80 di lunghezza, 95 cm di altezza, quasi 29 chili di peso. Che per una seduta in policarbonato trasparente, realizzata con la tecnologia dell’iniezione in un unico stampo, rappresentano un primato assoluto.
Claudio Luti: “Con il divano Uncle Jack disegnato da Philippe Starck, che quest’anno presentiamo nella versione trasparente, raggiungiamo un importante traguardo tecnologico. Non credo ci sia un’altra azienda al mondo in grado di fare questo genere di prodotto in una dimensione industriale. Siamo arrivati al massimo delle possibilità che uno stampo può offrire grazie a un enorme investimento di risorse umane ed economiche. Già nel 1998, quando abbiamo realizzato la sedia La Marie disegnata da Starck, ci sembrava di avere raggiunto un risultato impensabile. La stessa General Electric non aveva assicurato la riuscita totale dello stampaggio a iniezione di una sedia in policarbonato che pesava 3,5 chili. Progressivamente siamo passati a prodotti sempre più grandi e pesanti, come il comodino Ghost Buster che pesava 18 chili e che rappresentava una vera e propria avventura per via dei suoi spessori variabili. Poi abbiamo realizzato il tavolo Invisible di Tokujin Yoshioka, che è ancora un po’ più grande e presentava ulteriori difficoltà per via della sua superficie piana che non consentiva alcuna imperfezione. E infine siamo arrivati al divano e alla poltrona della famiglia Aunts and Uncles che rappresentano sicuramente il punto più alto della ricerca sul policarbonato”.
Philippe Starck: “Questo progetto segna la nuova tappa di un processo d’innovazione che è cominciato con Anna Castelli Ferrieri (moglie di Giulio Castelli, fondatore di Kartell, ndr) che è il grande precursore e colei che ha avuto la visione della plastica nobile. Non si era mai visto qualcosa di tanto complicato da fare… È più di un anno e mezzo che lavoriamo sul prototipo del divano. Uno dei designer del nostro studio si occupa solamente di questo, ventiquattro ore su ventiquattro, da 18 mesi; lavora sulle linee, le studia, le perfeziona, affinché siano compatibili da un punto di vista sia fisico che ‘spirituale’”.
Cosa rappresenta per Philippe Starck la trasparenza, in senso progettuale ma anche da un punto di vista più filosofico e personale?
P.S. “La trasparenza è il risultato di un importante processo evolutivo, inscritto nel nostro DNA, che racconta la nostra mutazione. Siamo stati amebe, batteri, pesci, rane, scimmie, super-scimmie e non sappiamo cosa diventeremo, secondo linee di evoluzione nettamente definite e riconoscibili. Una di queste linee-guida è la smaterializzazione, ovvero la diminuzione della materia a favore dell’aumento dell’intelligenza delle cose prodotte dall’uomo. Oggi ci troviamo a vivere in una situazione di grande fragilità; lo squilibrio e l’instabilità dell’ecosistema fanno sì che la specie umana corra il rischio di scomparire nel futuro.
Fatto alquanto straordinario, è la prima volta in cui possiamo veramente prevedere il nostro epilogo, misurarlo e confrontarci con la storia di civiltà passate, scomparse per cause ecologiche e di cattiva gestione delle risorse. Da questo punto di vista, la trasparenza – secondo un approccio che va oltre il significato puramente visivo – è l’effetto della scomparsa di tanti prodotti determinata dall’intelligenza umana, anche se molti altri ‘resistono’ perché non sappiamo ancora come eliminarli o sostituirli con un’ergonomia alternativa. Per esempio, ancora non abbiamo individuato le modalità per fare a meno dei mobili. Però è importante sensibilizzare la gente su quanto avverrà e un modo per farlo è assumere una metafora visiva della smaterializzazione. Non si tratta di una sfida ma del recepimento di una linea evolutiva chiaramente segnata”.
Come è nato, nel 1999, il progetto de La Marie, la prima sedia in policarbonato che ha introdotto la trasparenza nel mondo dell’arredo?
P.S. “L’idea era ridurre il mio intervento su tutto, fare radicalmente il ‘meno possibile’. Quindi, ridurre anche lo stile, che in questo progetto scompare del tutto. La Marie è l’espressione di ciò che si può produrre con uno stampo, con il minimo intervento umano e culturale nonché di design. La Marie non è disegnata, ma è definita dallo scorrere della plastica fluida in uno stampo. Inoltre impiega il minimo della materia, che volutamente abbiamo pesato grammo per grammo. Anche la sua presenza è minima, perché rappresenta una sedia trasparente percepibile solo a una ‘seconda lettura’: per vederla è necessario operare una scelta”.
Da un punto di vista espressivo, cosa ha rappresentato per te questa innovazione?
P.S. “Una specie di passaggio obbligato perché non si può costruire niente senza tornare prima ai ‘principi fondamentali’. La Marie è un ‘principio fondamentale’ che mi ha permesso di prendere coscienza di un dato importante: eliminato ogni aspetto materiale, ciò che rimane è l’intangibilità delle relazioni tra le persone, il sentimento e l’affettività. Per cui, una volta ideata La Marie, ne ho ripreso l’idea di immaterialità e vi ho aggiunto l’affettività attraverso la memoria collettiva occidentale. Così è nata la Louis Ghost, che altro non è che una La Marie arricchita della memoria collettiva di tutti i milioni di persone che hanno vissuto nel passato e nel presente”.
Dopo la celebre Louis Ghost con lo schienale ovale di riminiscenza settecentesca, è venuta la Mr Impossible con la scocca bicolore, un’altra seduta disegnata da Starck per Kartell che ha scandito l’evoluzione tecnica e linguistica del policarbonato nel mondo del design.
P.S. “Sono tutte declinazioni dello stesso concetto di minimo introdotto da La Marie: Louis Ghost aggiunge il sentimento del passato; Mr Impossible il sentimento del futuro”.
C.L. “In generale, dalla collaborazione di Kartell con Philippe Starck sono nate tante innovazioni che riguardano la concezione estetica della plastica. Con la sedia Dr Glob del 1985, per esempio, abbiamo sperimentato per la prima volta l’abbinamento di due materiali diversi, ma anche la finitura opaca della plastica, la realizzazione di forme spigolose e quella di spessori più forti e importanti di quelli precedentemente impiegati. Non solo: abbiamo lavorato sul touch della plastica, ottenendo un effetto più morbido, e poi sulla colorazione, convincendo i produttori della materia prima ad abbandonare le loro cartelle standard e a mettere a punto colori diversi e personalizzati per ogni prodotto. Quando ai tempi abbiamo presentato la Dr Glob, tutti sono rimasti piacevolmente stupiti, perché la plastica aveva assunto un’identità completamente diversa”.
Quali sono i concetti materici che oggi appassionano di più Philippe Starck nel progetto di design?
P.S. “Innanzitutto i materiali che non si conoscono ancora oggi e che costituiranno l’era ‘post-plastica’. Sappiamo tutti quanti che il petrolio è destinato ad esaurirsi nell’arco di 25-35 anni; la cosa potrebbe non essere rilevante in termini energetici, in previsione dello sviluppo di nuovi fonti di energia, ma lo è di sicuro per i prodotti plastici derivati dalla petrolchimica, che sono invece insostituibili. Al momento non esiste un materiale alternativo al policarbonato per la realizzazione della Louis Ghost o de La Marie. Oggi si possono realizzare sedie con plastiche riciclate e materiali di recupero, cosa che ho già fatto, ma non siamo in grado di ottenere la qualità strutturale e la trasparenza di una Louis Ghost. E questo costituisce un grossissimo problema. La plastica, così come la conosciamo oggi, scomparirà e si affermeranno materie plastiche di qualità molto, ma molto inferiore. Per cui non si potranno offrire le stesse prestazioni e gli stessi servizi. Il compito più importante per i produttori è allora questo: fare ricerca e investire sulle materie post-plastiche”.
Per Kartell, invece, quali sono le sfide più importanti del presente e del prossimo futuro?
C.L. “Attualmente Kartell è presente in 140 Paesi e vanta una collezione che comprende più di 150 famiglie di prodotti, firmate dai progettisti internazionali più all’avanguardia. La nostra mission è ampliare sempre più la visione produttiva, rimanendo comunque fedeli a una dimensione industriale. Due gli obiettivi principali: allargare i canali di vendita e allargare l’offerta dei prodotti, perché oggi non esiste solo il retail ma anche il contract e la vendita on line. La nostra è, per fortuna, un’azienda che può permettersi di investire, per cui ci guardiamo attorno per cogliere le tante opportunità che il mondo oggi offre. Non c’è mai stato un mercato così grande come quello attuale. Anche se l’Italia e il sud Europa oggi soffrono una grave crisi interna, le sfide che si presentano all’estero sono tante e un marchio forte a livello internazionale come Kartell non può certo perdere l’occasione di coglierle”.
Qual è la prossima innovazione che Philippe Starck vorrebbe sviluppare con Kartell?
P.S. “Oggi dobbiamo affrontare una sfida legata a un grande paradosso: da una parte vogliamo prodotti industriali che abbiano tutte le qualità che solo l’industria può garantire, dall’altro desideriamo oggetti individuali, perché siamo tutti diversi e tutti vorremmo cose fatte su misura. È un problema da risolvere. L’altra sfida naturalmente è quella dell’era post-plastica. Cosa farà Kartell nell’era post-plastica? Continuerà ad esistere? Certo che sì, ma dovrà lavorare e investire per essere pronta al cambiamento”.