Da Meret Oppenheim ad Alison Knowles, da Janine Antoni a Laura Letinsky: le artiste che hanno rotto gli schemi nel rapporto con il cibo

Il legame tra arte figurativa e arte culinaria ha radici antiche che, probabilmente, risalgono alle origini della storia dell’arte.

Rappresentazioni di banchetti e tavole imbandite sono state rinvenute in mosaici e pitture murali nell’arte greca e romana, e poi via via, attraverso i secoli fino ai giorni nostri, in un numero davvero difficile da quantificare di opere che hanno nel cibo l’elemento dominante.

L’immenso repertorio di nature morte, pranzi, cene, bancarelle piene di alimenti di ogni tipo non rappresenta solo una mera raffigurazione gastronomica, ma è lo specchio della società in un determinato periodo storico.

Il cibo: un topos versatile

Come elemento universale, il cibo è un topos versatile e dall’alto valore simbolico, utilizzato da pittori e scultori, seppure in tempi e con stili diversi, per esplorare una vasta gamma di temi che toccano l’estetica, il simbolismo, la ritualità, la ricerca sociale.

Ogni epoca ha offerto una visione di sé attraverso la raffigurazione delle pietanze – dai banchetti imperiali intesi come invito al godimento dei beni terreni alla contrapposizione tra cibo povero e pranzi luculliani, alla romanticizzazione dei piatti dei lavoratori – ma è con l’avvento dell’età moderna che l’aspetto figurativo diventa sempre più marginale a favore di una neanche troppo velata trasposizione di questioni altre.

E paradossalmente, in un campo come quello dell’arte da sempre a netta predominanza maschile, sono le artiste a rompere gli schemi e a rivendicare un ruolo privilegiato nell’ambito del rapporto fra arti visive e cibo, dando vita a nuove prospettive che infrangono le regole e valicano i canoni tradizionali di genere.

Meret Oppenheim, disagio all’ora del thé

Nel 1936, l’appena ventitreenne Meret Oppenheim ha l’ispirazione di ricoprire di pelo di lince una tazza e un piattino acquistati in un grande magazzino parigino. Un’idea tanto semplice quanto geniale: la pelliccia è piacevole al tatto ma disgustosa quando si appoggia alla bocca: due elementi incompatibili sono dunque messi insieme per produrre un oggetto che crea disagio.

L’opera, intitolata Oggetto o Colazione in pelliccia, è una delle più iconiche del Surrealismo ed ebbe un successo tale da essere la prima di un’artista donna a entrare nella collezione del MoMA di New York. Se alle donne spetta il ruolo di curare e proteggere il focolare domestico, le artiste assumono su di sé l’onere di demolirlo.

Il dinner party di Judy Chicago: la prima opera femminista

Impossibile non citare il celeberrimo The Dinner Party di Judy Chicago del 1974, considerato a ragione la prima vera opera dichiaratamente femminista della storia dell’arte.

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Judy Chicago apparecchia un’enorme tavola, di una forma triangolare che ricorda una vagina, per trentanove grandi donne della storia e della mitologia. Una sorta di rivisitazione dell’Ultima Cena, richiamata dalle tredici commensali disposte su ogni lato del triangolo, questa volta tutte donne.

L’insalata gigante di Alison Knowles

Il cibo è individuo e comunità, un binomio sondato in un numero considerevole di performance. Tra le più note c’è Make a Salad, che Alison Knowles, appartenente al gruppo Fluxus, mette in scena fin dagli anni Sessanta in giro per musei e gallerie. Si tratta di preparare un’insalata gigante davanti agli occhi degli spettatori che, al termine della performance, avranno anche la possibilità di assaggiarla.

Cioccolata e lardo: Janine Antoni

Cambiano gusti, tendenze e raffigurazione, ma ciò che si porta in tavola è da sempre oggetto d’arte e segno dei tempi.

Nel 1992, l’artista americana Janine Antoni ha creato Gnaw, due sculture, una di cioccolato e l’altra di lardo, realizzate a partire da due enormi blocchi da 300 chili plasmati solamente attraverso l’uso della bocca.

Disegnato, rappresentato, introiettato, morsicato, sputato, le variazioni sul tema sono tante.

La cena (scultorea) barocca di Sissi

Nel 2016, Sissi realizza L’Imbandita, una cena scultorea ispirata ai cerimoniali gastronomici dell’epoca barocca.

Nulla è lasciato al caso, dalla tavola allestita con un servizio di ceramiche biscottate smaltate di bianco, eseguite ad hoc, al menù cucinato dall’artista e messo a disposizione di tutto il pubblico che può toccare, annusare, mangiare.

Ciò accade anche nella serie dedicate alle “Cene” in cui una certa teatralità liturgica si afferma nella mensa imbandita e si declina nella comunione dei commensali. Tavole addobbate nei modi più insospettabili, nei luoghi più insoliti, con cibi golosi e lumache vive lasciate libere di muoversi, con un pubblico pronto a completare il rito nel gesto di consumare l’opera.

Il tempo sospeso negli scatti di Laura Letinsky

Agli antipodi rispetto all’opulenza delle cene di Sissi sembrano collocarsi le fotografie di Laura Letinsky, che nella serie To Say It Isn't So sospende il tempo nel momento esatto in cui il banchetto è finito e quasi tutto è stato consumato.

Ciò che resta sono solo avanzi, bicchieri di polistirolo scartati, tovaglioli di carta, posate di plastica, piatti di carta, lattine schiacciate: Letinsky ripropone il topos classico della natura morta ma come spazio di denuncia dello spreco che tanto affligge la moderna civiltà dei consumi.

È la svolta in chiave ecologista degli anni Duemila, in cui la bellezza senza tempo della natura si confonde con la caotica banalità della cultura consumistica contemporanea.

Testo di Mariacristina Ferraioli