La 23ª Esposizione Internazionale di Triennale Milano apre al pubblico dal 15 luglio all’11 dicembre con il titolo Unknown Unknows. An Introduction to Mysteries e parte dal presupposto che ci siano cose che non conosciamo, ma che in realtà sono sotto i nostri occhi

Al via il 15 luglio alla Triennale di Milano, la 23ª Esposizione Internazionale curata da Ersilia Vaudo, astrofisica e Chief Diversity Officer all’Agenzia Spaziale Europea, insieme all’architetto Francis Kéré, Pritzker per l’architettura 2022.

In linea con la tradizione delle Esposizioni Internazionali di Triennale di occuparsi di temi urgenti in maniera trasversale e multidisciplinare, l’edizione di quest’anno riunisce alcune mostre, 23 padiglioni nazionali – di cui ben 6 dedicati al continente africano – con incursioni nel lavoro di grandi maestri nel Novecento.

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Lo sconosciuto: una riflessione a cui lasciarsi andare

Allestita al primo piano dell’edificio di Muzio come mostra nevralgica della nuova edizione dell’Esposizione Internazionale, l’esposizione curata dall’astrofisica Ersilia Vaudo mette in scena il mistero di ciò che non conosciamo, i processi invisibili che parlano di una natura parallela, di fisica delle particelle e di gravità quantistica. Per dirla alla Merleau-Ponty, la mostra "rende visibile l’invisibile".

Lo fa cercando una via poetica, anche attraverso le parole dell’arte. "Per fare in modo che lo sconosciuto non diventasse un antagonista, ma piuttosto una riflessione a cui lasciarsi andare, un’occasione di stupore o di poesia", spiega Ersilia Vaudo, "abbiamo raccolto 500 opere che mettono insieme, in una modalità corale, le voci di artisti, ma anche di architetti, di designer e di ricercatori."

La smaterializzazione della dimensione antropocentrica

Il percorso si snoda progressivamente percorrendo un semicerchio. Si parte da una prospettiva intima, con l’installazione di Yuri Suzuki: un’opera sonora digitale, proposta sia per dare il senso di un pianeta interconnesso sia per ricordarci che i 5 sensi sono una delle trappole per la comprensione dello sconosciuto. Gradualmente, la dimensione antropocentrica viene abbandonata lungo la mostra per raggiungere realtà che sono inaccessibili e per poi ritornare a noi e al privilegio di abitare questa Terra.

Ci rendiamo conto di essere un piccolo tassello di tanti tasselli che sono concatenati. La mostra ce lo ricorda da tanti punti di vista diversi: da Anish Kapoor a Tomàs Saraceno, alle immagini originali dell’ESA – una mappa del cosmo, la migliore che abbiamo, che ha una forma ovalizzata perché è una specie di planisfero di miliardi di anni luce di diametro.

Tra le opere che rendono visibile il linguaggio del cosmo, c’è l’Arkenian Mirror di Luca Pozzi: uno specchio da tavolo ingegnerizzato con un rilevatore di particelle, realizzato in collaborazione con l’INFN (Istituto Nazionale di Fisica Nucleare) di Torino. Un semplice specchio, presente nelle case di tutti, che è stato trasformato in un piccolo alieno con due puntini che si accendono quando la particella proveniente dalla stratosfera (muone) tocca la sua superficie. Uno sciame che ci attraversa costantemente e di cui non ci rendiamo conto.

La matematica è l’unica possibilità di una connessione con ciò che non sappiamo di non sapere

Quella della matematica è una sottotraccia della mostra che viene ripresa in più punti lungo il percorso espositivo. Ci potrebbe essere una forma di rassegnazione davanti a ciò che non conosciamo. La matematica, invece, non accetta questa possibilità e ci consegna, attraverso il suo linguaggio, dei mondi che ancora non abbiamo immaginato.

E noi, solo dopo, ci rendiamo conto che sono realtà. Un esempio è l’installazione di Andrea Galvani. Un altro è il lavoro di Protey Temen, un artista russo che affronta il problema della matematica anche attraverso il materiale: il canvas.

Nella sua opera la matematica è rappresentata su tele appese come panni al sole. Dall’opera, emerge un’idea di familiarità e di complessità, ma anche la sensazione di sentirsi esclusi, di non capire, ma, allo stesso tempo, di percepire che la matematica è un mondo dentro cui vale la pena entrare.

Un display stampato in 3d con materiali di riciclo

Il display espositivo è stato realizzato da una stampante 3d industriale direttamente in loco. La Triennale si è trasformata in un cantiere, dove Space Caviar, lo studio di progettazione guidato da Joseph Grima, ha disegnato i supporti per l’allestimento delle opere, prodotti con un materiale che ricicla scarti di riso, brevettato dall’azienda italiana RiceHouse, recentemente premiata con il Compasso d’Oro ADI.

Ogni piedistallo ha una sua locazione precisa, determinata da un ragionamento sulla forma orbitale che ha lo spazio che ospita la mostra. La planimetria è stata progettata digitalmente, interpretando la forma orbitale che ha l’edificio della Triennale al piano superiore. Un punto invisibile all’origine della curva, nascosto nel cavedio centrale dell’edificio, è stato preso come riferimento per determinare la forma dell’intero allestimento.

Le partecipazioni nazionali

Per la prima volta, c’è una presenza forte dell’Africa in un’Esposizione Internazionale: tra le 23 le partecipazioni internazionali presenti il continente africano è rappresentato da 6 stati (Burkina Faso, Ghana, Kenya, Lesotho, Repubblica Democratica del Congo e Ruanda.

Francis Keré ha realizzato quattro installazioni, all’esterno e all’interno di Triennale. Tra queste, The Future’s Present è una torre alta 12 metri, collocata nel piazzale davanti a Triennale, decorata con interpretazioni contemporanee di motivi tradizionali dell’architettura del Burkina Faso.

Mentre l'installazione Yesterday's Tomorrow costruita nella piazza centrale della sezione della mostra che ospita le partecipazioni internazionali, è un omaggio all’architettura vernacolare del Burkina Faso. Si compone di due pareti che si curvano l’una nell’altra, creando uno spazio intimo che invita il visitatore alla riflessione.

Il Padiglione Italia: La tradizione del nuovo

La mostra curata da Marco Sammicheli, Direttore del Museo del Design Italiano di Triennale, con lo studio Zaven, rappresenta il Padiglione Italia.

Allestita al piano terra, nella manica lunga del Palazzo dell’Arte, La tradizione del nuovo è una mostra storica che rilegge il percorso che va dalla seconda metà degli anni Sessanta fino al temine degli anni Novanta, dalla 13° alla 19° Triennale, mettendo in scena le ricerche del design italiano: il corpo, la casa, la città, l’abito e i materiali. Domande ancora estremamente valide a cui non sono state date risposte definitive.

Gli altri contributi: dalla musica al teatro

Oltre alla mostra tematica, ai padiglioni internazionali e al Padiglione Italia, la 23ª Esposizione Internazionale ospita la mostra Mondo Reale, ideata da Hervé Chandès, Direttore Artistico Generale della Fondation Cartier pour l’art contemporain.

Parte integrante della manifestazione sono inoltre le installazioni e i progetti speciali che coinvolgono gli storici dell’arte Giovanni Agosti e Jacopo Stoppa, il musicista e scrittore Francesco Bianconi, il filosofo Emanuele Coccia, la ricercatrice e docente del Dipartimento ABC del Politecnico di Milano Ingrid Paoletti, l’artista e Grand Invité di Triennale 2021-2024 Romeo Castellucci, il maestro dell’architettura e del design Andrea Branzi, con l’architetto Lapo Lani.

L’armonia di sentirsi parte del tutto

Partendo dal linguaggio delle particelle, andando in progressione sulla materia, sull’energia, sul cosmo e sulle galassie, la mostra ci ricorda che siamo tutto allo stesso tempo: siamo fatti di particelle, siamo degli esseri informatizzati, siamo dei devices che vivono lo spazio della galassia.

Le opere esposte ci fanno sentire parte del tutto che ci circonda. In un momento in cui i saperi sono frammentati, ci sono pericoli di guerre, scarsità di risorse energetiche, crisi climatica, Unknown Unknowns è un punto di vista che dà speranza, che offre una prospettiva di presunta armonia. La difficoltà è che per farlo, dobbiamo barattare la centralità che l’uomo ha in tutti questi processi.