Nell’architettura, nel design, nell'arte occidentale tutto è definitivo, perfetto, de-finito e finito. Difficilmente opere e progetti di Tadashi Kawamata coincidono con questa visione. Nato a Hokkaido nel 1953, l'artista giapponese ha più volte rivelato nel corso della sua attività di non avere un’idea precisa di quando un’opera è finita, perché un’opera non è mai finita e, in ogni caso, non è mai perfetta. E del resto Kawamata non può e non vuole creare qualcosa di perfetto. Le sue installazioni sono sempre qualcosa in divenire: questa è la vita, un work in progress, non una realtà perfetta. L'uomo stesso non è perfetto, fa parte della sua natura. E' una visione che rimanda alla filosofia buddista zen di cui è figlio, quella dell'imperfetta perfezione, dell'estetica tradizionale giapponese del Wabi Sabi (“niente è eterno, tutte le cose sono imperfette e incomplete”) che richiama la capacità di trovare bellezza, benessere, armonia nell’imperfezione, nell’accettazione del non convenzionale, nella transitorietà delle cose.