I nidi dell'artista giapponese a Milano: fino al 23 luglio, installazioni in continuo movimento, transitorie e fluttuanti

Nell’architettura, nel design, nell'arte occidentale tutto è definitivo, perfetto, de-finito e finito. Difficilmente opere e progetti di Tadashi Kawamata coincidono con questa visione. Nato a Hokkaido nel 1953, l'artista giapponese ha più volte rivelato nel corso della sua attività di non avere un’idea precisa di quando un’opera è finita, perché un’opera non è mai finita e, in ogni caso, non è mai perfetta. E del resto Kawamata non può e non vuole creare qualcosa di perfetto. Le sue installazioni sono sempre qualcosa in divenire: questa è la vita, un work in progress, non una realtà perfetta. L'uomo stesso non è perfetto, fa parte della sua natura. E' una visione che rimanda alla filosofia buddista zen di cui è figlio, quella dell'imperfetta perfezione, dell'estetica tradizionale giapponese del Wabi Sabi (“niente è eterno, tutte le cose sono imperfette e incomplete”) che richiama la capacità di trovare bellezza, benessere, armonia nell’imperfezione, nell’accettazione del non convenzionale, nella transitorietà delle cose.

Installazioni d'artista

Fino al 23 luglio 2022, Building (via Monte di Pietà 23 - da martedì a sabato, orario 10/19) presenta la mostra Nests in Milan a cura di Antonella Soldaini. Noto in tutto il mondo per i suoi progetti multidisciplinari, l'artista ha realizzato una serie di installazioni concepite appositamente per l'occasione, sia negli spazi interni e sulla facciata di Building sia in quelli esterni di altri edifici vicini: Grand Hotel et de Milan (via Monte di Pietà 24), Centro Congressi Fondazione Cariplo (via Monte di Pietà 10), Cortile della Magnolia - Palazzo di Brera (via Brera 28).

Una sfida urbanistica

La sue opere, realizzate prevalentemente in legno, sono una riflessione sul contesto sociale e sulle relazioni umane. Le sfide urbanistiche sono all’origine del suo lavoro. I cantieri in costruzione o in demolizione, le aree non edificate che restano nello spazio urbano sono al centro del suo interesse: Kawamata, nella realizzazione dei suoi progetti, utilizza i materiali presenti sul sito “riciclandoli”. Superando i confini dei luoghi chiusi e delimitati, i suoi interventi coinvolgono non tanto un singolo edificio ma inglobano una porzione del tessuto urbano della città: nello specifico, architetture che, per Milano, racchiudono un valore civile e culturale e che attraverso le installazioni sono sottoposte a un delicato e spettacolare processo di trasformazione.

Il tema del nido

Appropriandosi di spazi interni ed esterni (facciate, balconi, tetti) degli edifici, grazie a una serie di installazioni ottenute con l’intreccio di assi di legno che vanno a formare un’inestricabile griglia, Kawamata ne sollecita una diversa lettura e interpretazione. Ad accomunare gli interventi, la scelta del tema del nido dal forte valore simbolico che l'artista ha iniziato a indagare dal 1998 quando le sue costruzioni lignee, che in passato avevano forme astratte, si sono visualmente avvicinate a raffigurare dapprima una baracca e poi un nido. La cui funzione è fornire un rifugio per i volatili appena nati, il cui valore simbolico rimanda alla necessità universale di costruire un luogo in cui trovare riparo.

Il movimento e il tempo

I nidi di Kawamata, a metà tra frutto di un casuale assemblaggio e risultato di una preordinata costruzione, rimangono legati al linguaggio artistico. Il loro aspetto è elegante e delicato e rimanda a una concettualità le cui origini sono nella visione di una realtà in continuo movimento, transitoria, fluttuante, soggetta al trascorrere del tempo. Non per niente le installazioni (così accade anche a Milano), una volta terminata la mostra, saranno smontate e gli elementi in legno utilizzati per altro scopo. In un'ottica in cui il tempo, indicatore della grandezza o del declino di un monumento o di un sito, diventa l'elemento chiave.

In occasione della mostra, una serie di workshop organizzati in collaborazione didattica con l’Accademia di Belle Arti di Brera. Il catalogo, edito da Building, comprende testi di Antonella Soldaini, curatrice della mostra, Emilia Giorgi, critica e curatrice di arti visive e architettura, Chiara Rita Contin, psicologa e docente di letteratura italiana e storia contemporanea, e un’intervista inedita all’artista realizzata dalla curatrice in occasione della mostra.

Foto installazioni di Paolo Riolzi, ritratti di Ilaria Maiorino/Daniele Perani.