Un percorso intellettuale solido, fruibile da tutti perché confezionato all’insegna del gioco e dello stupore. Salto nel vuoto alla GAMeC di Bergamo (fino al 28 maggio) è una mostra da non perdere

Salto nel vuoto. Arte al di là della materia è il terzo e ultimo capitolo di un ciclo dedicato all’indagine sulla materia nell’arte del XX e del XXI secolo che la GAMeC di Bergamo ha messo in scena negli ultimi due anni.

Della trilogia (che precedentemente ha toccato il tema della materia macro- e microscopica e poi nel suo divenire trasformativo) è il momento più alto e più complesso visto che indaga il vuoto: il confine tra presenza e assenza, l’opera d’arte oltre la fisicità.

Un percorso ricchissimo di spunti, grazie alla partecipazione di 80 artisti che si sono cimentati su questa tematica, reso particolarmente fruibile a tutti dai curatori, Lorenzo Giusti e Domenico Quaranta, che hanno centrato il tema e lo hanno saputo raccontare con intelligente leggerezza, non disdegnando l’elemento di gioco e stupore nel percorso.

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Una mostra in tre sezioni

Intreccio tra linguaggi e materie complementari sebbene diverse, Salto nel Vuoto è un’esperienza visiva e corporea e si articola in tre sezioni tematiche Vuoto, Flusso e Simulazione.

Il Vuoto come indagine intrapresa dai primi movimenti dell’avanguardia storica e poi sviluppata dai gruppi sperimentali del secondo dopoguerra. Il Flusso risalente agli anni della prima informatizzazione. Infine i nuovi linguaggi e realtà simulate nell’epoca post-digitale.

Il titolo della mostra e la sezione Vuoto

Il titolo si riferisce a una celebre performance di Yves Klein nel 1960 che ritrae l'artista nel momento in cui si getta nel vuoto dal cornicione di una casa in strada a Parigi, chiaramente un fotomontaggio.

Si riferisce però in parte anche all’esposizione di Klein Le Vide (Il Vuoto) alla Galleria Iris Clert di Parigi. Una mostra senza niente, in cui la galleria era stata completamente dipinta di bianco.

La sezione Vuoto inizia con questo omaggio al bianco e al quadrato bianco di Kazimir Malevic che è il grande assente (oltre a Yves Klein il cui riferimento è presente solo nel titolo) di questa mostra di cui si parla di assenza.

Nella prime sale sono riunite opere degli anni 60 e 70, prevalentemente autori italiani, ma non solo, le esperienze di Agostino Bonalumi ed Enrico Castellani, i fogli in plastica trasparente perforati di Dadamaino, le composizioni minimaliste di Jean Degottex e Aiko Miyawaki fino alle sperimentazioni con la luce e lo spazio di Ann Veronica Janssens.

La sezione Flusso

La seconda sezione Flusso si concentra più direttamente sul paradigma della informazione e del software e di come abbia trasformato la società contemporanea e la condizione di esistenza delle opere d'arte e culturali.

Flusso è anche la sezione più corposa della mostra, un itinerario storico che ha delle tappe ben precise nella nascita dell'arte programmata. Da non tralasciare la sezione dedicata al lavoro del movimento Fluxus che arriva fino alla contemporaneità.

Le sale ospitano lavori di Giacomo Balla, Umberto Boccioni, František Kupka, Pablo Picasso; opere da Agnes Martin a Roman Opałka, da Vera Molnar a Lillian F. Schwartz.

In ogni sala un dialogo aperto, quasi a rispecchiarsi o contaminarsi, di opere del primo e secondo Novecento (che nulla hanno di tecnologico, ma che fanno i conti con una realtà che sta evolvendo) con opere recenti di artiste e artisti internazionali.

La sezione Simulazione

Nella sezione Simulazione l'esperienza della realtà virtuale e realtà aumentata oltre i confini, snodo tra reale e virtuale, con opere che si possono fruire; nuovi mondi modellati attraverso i codici informatici.

Sono in atto grandi cambiamenti della percezione della dimensione materiale, corporea e spirituale.

Da Rebecca Allen a John Gerrard, da Jon Rafman a TimurSi-Qin. I MSHR (Brenna Murphy e Birch Cooper) presentano invece una nuova installazione della serie Nested Landscapes.

Il coinvolgimento è anche dato dalla possibilità di visualizzare l'esperienza che il fruitore della realtà virtuale fa nello spazio fisico.

Se ne esce con una visione più ampia e meglio strutturata (termine in apparente contraddizione con i temi enucleati dalla mostra) del processo di contemporaneo accomplishment dell’arte prodotta nell’arco di questi 100 anni.