La mostra antologica presenta 156 fotografie che raccontano la storia di una delle più importanti fotoreporter del Novecento. Dal 17 marzo al 16 luglio, nelle Sale Chiablese dei Musei Reali torinesi

Ruth Orkin è stata tante cose: fotoreporter, cineasta, regista, autrice insieme con il marito Morris Engel del lungometraggio indipendente Little fugitive, premiato con il Leone d'Argento al Festival del cinema di Venezia nel 1953. Nata a Boston nel 1921, cresce a Hollywood dove la madre, Mary Ruby, è un'affermata attrice del cinema muto. A dieci anni, riceve in dono la sua prima fotocamera, una Univex del costo di 39 centesimi, e inizia subito a sperimentare fotografando amici e insegnanti a scuola. A 17 anni decide di attraversare l'America in bicicletta, partendo da Los Angeles e arrivando a New York per l'Esposizione Universale del 1939. Ruth Orkin è stata tante cose, ma soprattutto una donna moderna, coraggiosa che voleva essere regista e che, osteggiata da un mondo esclusivamente maschile come quello del cinema in quegli anni, ha dovuto trovare il suo posto altrove non rinunciando al suo sogno, ma affrontandolo in modo diverso, creando un linguaggio singolare ricco e nuovo attraverso la fotografia.

Reinventare la fotografia

La mostra Ruth Orkin: una nuova scoperta, curata da Anne Morin, raccoglie 156 fotografie che raccontano la storia di una delle personalità più importanti della fotografia del XX secolo, affrontando il suo lavoro da una prospettiva completamente nuova tra immagine fissa e in movimento.“Come curatore e storico della fotografia”, spiega Anne Morin, “mi è sempre sembrato che il lavoro di Ruth Orkin non abbia ricevuto il riconoscimento che merita. Eppure, se questa fotografa ha un destino affascinante, il suo lavoro lo è altrettanto. Il lavoro fotografico di Ruth Orkin riguarda le immagini, il cinema, le storie e, in definitiva, la vita. Questa mostra è l'affermazione definitiva del lavoro di una donna che ha inventato un altro tipo di fotografia.”

Narrazione per immagini

La rassegna svela i meccanismi che evocano il fantasma del cinema nel suo lavoro. Come avviene nel suo primo Road Movie del 1939 quando, attraversando in bicicletta gli Stati Uniti, aggiorna un diario scandito da sequenze cinematografiche che documentano un reportage di viaggio. Ispirandosi ai taccuini e agli album in cui la madre documentava le riprese dei suoi film, e utilizzando lo stesso tipo di didascalie scritte a mano, Orkin inserisce l’immagine fotografica in una narrazione che riprende lo schema della progressione cinematografica, quasi le fotografie fossero immagini fisse di un film mai girato e di cui vengono esposte 22 pagine.

Filmare fotografando

Il percorso propone, inoltre, lavori come I giocatori di carte o Jimmy racconta una storia, del 1947, in cui Orkin usa la macchina fotografica per filmare, o meglio, per fissare dei momenti, lasciando allo sguardo dello spettatore il compito di comporre la scena e riprodurre il movimento, ma anche le immagini e il film Little fugitive (1953), candidato al Premio Oscar per la migliore storia cinematografica e vincitore del Leone d'argento alla Mostra del Cinema di Venezia.

Una fotografia sociale

Negli anni 40 si trasferisce a New York, diventa membro della Photo League (cooperativa di fotografi che - riconoscendosi negli insegnamenti di Lewis Hine che definiva il proprio lavoro fotografia sociale per differenziarlo nei modi e negli intenti dal puro reportage - condividevano la convinzione che la fotografia fosse arte e che la sua estetica fosse un veicolo essenziale per il messaggio), e inizia a collaborare con importanti riviste imponendosi come una delle firme femminili più autorevoli. In questo periodo realizza alcuni degli scatti più interessanti della sua carriera: con la serie Dall’alto cattura perpendicolarmente da una finestra quanto accade per strada, riprendendo persone ignare di essere oggetto del suo sguardo fotografico: un gruppo di signore che dà da mangiare ai gatti randagi; due poliziotti che fanno cordone attorno a un materasso logoro abbandonato per strada; alcune bambine che volteggiano.

Il tempo e il suo scorrere

A molti anni di distanza, tornerà a questo genere di scatti: da una finestra con vista su Central Park riproporrà lo stesso gesto e la stessa inquadratura, nell'alternarsi delle stagioni, registrando la fisionomia degli alberi, la tonalità delle foglie: soggetto è il tempo e il suo scorrere in una sequenza che racconta l’elasticità del tempo filmico.

Uno sguardo visionario

La più ampia antologica mai realizzata su una delle fotoreporter più importanti del XX secolo, la cui opera è ancora oggi poco nota, per scoprire e conoscere un’artista sensibile. Una riflessione attenta ai diversi linguaggi che le hanno permesso di affermarsi nel panorama della fotografia mondiale, testimoniando la visionarietà di uno sguardo ancora da approfondire, fedele alla narrazione di un’epoca in cui l’affermazione di genere era una conquista lontana, anche in ambito artistico.

La mostra è corredata dal catalogo edito da Skira.