Dal 14 febbraio al 2 giugno, Camera - Centro Italiano per la Fotografia di Torino racconta il rapporto professionale e sentimentale tra i due reporter di guerra

Il 1° agosto 1937, un corteo di bandiere rosse attraversa Parigi. E’ il corteo funebre per Gerda Taro, prima fotografa caduta sul campo di battaglia. Quel giorno avrebbe compiuto 27 anni. Pablo Neruda e Louis Aragon ne leggono l’elogio funebre, mentre la banda intona la marcia funebre di Chopin. Alberto Giacometti disegnerà la tomba che custodisce le sue spoglie al cimitero Père-Lachaise. Robert Capa è distrutto, erano stati felici insieme, lui le aveva insegnato a usare la Leica, si erano innamorati ed erano partiti per la guerra di Spagna.

Una mostra racconta quella storia d’amore e di guerra: Camera - Centro Italiano per la Fotografia di Torino ha allestito dal 14 febbraio (la ricorrenza di San Valentino è una scelta voluta o casuale?) fino al 2 giugno, nelle sale di via delle Rosine 18, “Robert Capa e Gerda Taro: la fotografia, l’amore, la guerra”, a cura di Walter Guadagnini e Monica Poggi.

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Un sodalizio artistico e sentimentale

Gerta Pohorylle, esule dalla Germania nazista ed Endre Erno Friedmann, emigrato ungherese, si conoscono a Parigi nel 1934, iniziano a frequentarsi e si innamorano, stringendo un sodalizio artistico e sentimentale che li porta a collaborare nella fotografia, a impegnarsi nella lotta politica, a frequentare i locali del Quartiere Latino: celebre lo scatto di Fred Stein in cui Gerda e Robert, seduti a un tavolino del Cafè de Dome non si accorgono di essere fotografati da Stein sull’altro lato del marciapiedi di rue Vavin e sorridono complici come solo gli innamorati sanno fare.

Nascita di un duplice mito

Negli anni Trenta, Parigi è in grande fermento, frequentata da intellettuali e artisti di tutta Europa; trovare committenze è difficile. E’ Gerta a inventarsi il personaggio di Robert Capa, ricco e famoso fotografo americano arrivato da poco nel Vecchio Continente. Anche lei cambia nome e diventa Gerda Taro. Nasce un duplice mito del fotogiornalismo: lui il più grande fotoreporter di guerra del Novecento, lei, la ragazza con la Leica, giornalista e fotografa senza paura.

Due punti di vista complementari

Nell’agosto del 1936 sono in Spagna a documentare la guerra civile tra repubblicani e fascisti: Robert Capa realizza il suo scatto più conosciuto, il miliziano colpito a morte, mentre Gerda Taro scatta la sua immagine più iconica, una miliziana in addestramento, pistola puntata e scarpe con i tacchi, con un punto di vista inedito della guerra fatta e rappresentata da donne: se è vero che una fotografia racconta anche di chi l’ha fatta, in quello scatto c’è tutta Gerda.

Il conflitto e la vita quotidiana

Gerda e Robert realizzano scatti-testimonianza di una partecipazione attiva al conflitto, sia dal punto di vista del reportage di guerra, sia da quello della vita quotidiana di soldati, soldatesse e popolazione. Le fotografie sono pubblicate sulle più importanti testate giornalistiche dell’epoca, e regalano alla coppia (che firma con un’unica sigla, senza distinguere autore o autrice) fama e occasioni di lavoro.

Tra Parigi e la Spagna

Per documentare gli scioperi nella capitale francese, le elezioni del 1937 sempre in Francia, il Convegno Internazionale degli Scrittori Antifascisti a Valencia, dove Gerda Taro fotografa André Malraux, Ilya Ehrenburg, Tristan Tzara, Anna Seghers, i due si spostano da Parigi alla Spagna tra il 1936 e il 1937.

La morte di Gerda

Dopo la vittoria del Fronte Popolare, al ritorno dal fronte di Brunete, Gerda Taro perde la vita: il 25 luglio 1937 viaggiava sul predellino esterno di una vettura colma di feriti, quando aerei tedeschi volarono a bassa quota sul convoglio mitragliandolo. Nel caos generale un carro armato urtò l’auto alla quale era aggrappata Gerda che cadde sotto i cingoli restando schiacciata. Si spegnerà il 26 luglio. L’anno successivo, Robert Capa pubblicherà “Death in the Making”, dedicato alla compagna, che raccoglie molte fotografie presenti in mostra. A distanza di poco meno di vent’anni, nel 1954, anche Capa troverà la morte, tragicamente, sul campo di battaglia saltando su una mina in Vietnam.

La valigia messicana

La mostra è arricchita dalla riproduzione di alcuni provini della "valigia messicana", con i 4.500 negativi scattati in Spagna insieme a David Seymour. La valigia, di cui si erano perse le tracce nel 1939 (quando Capa la affidò a un amico per evitare che i materiali potessero essere requisiti e distrutti dalle truppe tedesche) è stata ritrovata nel 2007 a Mexico City, permettendo di attribuire correttamente una serie di immagini di cui fino ad allora non era chiaro l’autore o l’autrice.